Da Panama al Canada, da Meta a Capitol Hill fino agli ostaggi di Hamas. Nella conferenza stampa il presidente eletto dice enormità senza logica
In una conferenza stampa a briglia sciolta a Mar-a-Lago, il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha proposto una disordinata carrellata di alcune cose che intende fare nel suo secondo mandato, incluso riprendersi il Canale di Panama che lo scellerato presidente Jimmy Carter – il cui corpo nel frattempo veniva esposto a Capitol Hill con i più altri onori – aveva ceduto, cambiare il nome Golfo del Messico in Golfo d’America e «imporre altissimi dazi alla Danimarca» se non restituisce agli Stati Uniti la Groenlandia. Nel caso resista all’idea, il presidente non ha escluso l’uso della forza: «Può essere che qualcosa vada fatto».
Al Canada è andata relativamente bene: Trump ha riproposto l’idea di unire gli Stati Uniti e il suo vicino a nord, ma ha escluso che questo possa avvenire per via militare. L’applicazione della «forza economica» sarà sufficiente per avviare il progetto, ha spiegato, illustrando i presunti vantaggi in termini di sicurezza nazionale di «liberarsi della linea disegnata artificialmente». Se il Canada resiste, la risposta è la solita: dazi, dazi e ancora dazi.
In teoria lo scopo della conferenza stampa era annunciare un investimento da 20 miliardi di dollari del fondo del miliardario emiratino Hussain Sajwani per la costruzione di due nuovi centri di elaborazione dati negli Stati Uniti, e nelle ultime settimane i suoi consiglieri hanno lavorato duramente per raccontare che il nuovo Trump è diverso, più calmo, ordinato, capace di affrontare un argomento per volta, addirittura ordinati secondo una logica.
In un’ora Trump ha smentito tutto, rimanendo sé stesso. In apertura della conferenza stampa ha servito ai cronisti la solita macedonia di rimostranze, rivendicazioni e fissazioni: la presunta persecuzione giudiziaria, il disastroso ritiro dall’Afghanistan, la sconfitta dell’Isis, le pale eoliche che fanno «impazzire le balene». A un certo punto è sembrato anche confermare quello che qualche giorno fa ha scritto il New York Times a proposito del contributo che chiederà ai membri della Nato: il 5 per cento del Pil investito nella difesa, un incremento enorme rispetto alla soglia classica del 2 per cento o a quella del 3 agitata in altre circostanze.
Trivellazioni e docce
Ieri ce l’aveva particolarmente con la decisione di Joe Biden di vietare le trivellazioni petrolifere in un’area costale di 625 milioni di acri, faccenda che ha promesso di sistemare una volta che sarà alla Casa Bianca. Ha dato a Biden e alla «pessima politica di spesa» dei democratici la colpa dell’inflazione, resa ancora peggiore dal costo dell’energia.
Evidentemente dimenticandosi per un attimo dei prodotti di Elon Musk, ha castigato il presidente in carica sulla sua ossessione per le auto elettriche: «Non so cosa gli è preso sull’elettrico. Quest’uomo ama l’elettrico», e poi è passato all’attacco delle docce a basso consumo: «Si chiama pioggia, scende dal cielo. Non scende acqua dalla doccia, fa drip, drip, drip. Quindi alla fine stai nella doccia dieci volte più a lungo, perché non esce niente dal doccino».
Si è però anche rallegrato della decisione, che gli è stata comunicata in diretta, della giudice Aileen Cannon, nominata da lui, che ha temporaneamente impedito al procuratore speciale Jack Smith di pubblicare i documenti sul suo caso giudiziario: «È una grande storia», ha detto Trump, parlando del fatto come di una decisione definitiva e non appellabile (cosa che non è).
Si è poi preso il merito per la decisione di Meta, che in una clamorosa giravolta evidentemente concepita per abbracciare il nuovo clima politico, ha smantellato il vecchio apparato che gestiva il fact checking della piattaforma per introdurre le “community notes”, sul modello di X. La decisione, ha detto, è «probabilmente» una risposta alle sue minacce.
Il 6 gennaio
Alla domanda inequivoca sull’eventuale intenzione di concedere la grazia agli assalitori di Capitol Hill il 6 gennaio 2021, Trump ha dato la più trumpiana delle risposte: un lungo e sconnesso atto d’accusa all’Fbi e alla giustizia politicizzata. Nelle balze fra un argomento e l’altro è sembrato anche che abbia in qualche modo collegato le operazioni di Hezbollah all’attacco al Congresso, ma le parole si sono sovrapposte in un cocktail incomprensibile, lasciando gli astanti più confusi di quanto non fossero già.
E poi ancora ha aperto il filone della politica in Medio Oriente, dicendo per quattro volte che «scatenerà l’inferno» nella regione se gli ostaggi nelle mani di Hamas non saranno liberati prima del giorno dell’insediamento, il 20 gennaio. «Non sarà uan cosa bella per Hamas, non sarà bella onestamente per nessuno. Non devo dirlo ancora, ma è così che stanno le cose».
Per l’occasione ha invitato a parlare dal podio l’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, facendo sfilare l’ennesimo miliardario e partner d’affari a cui il presidente ha dato una poltrona nell’Amministrazione.
Si è conclusa così un’ordinaria ora di confusione del presidente che qualcuno s’illudeva fosse cambiato.
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