Una nuova città in Donbass finisce sulla linea del fuoco. All’alba di martedì 8 ottobre, l’esercito ucraino ha comunicato che le truppe russe sono entrate a Toretsk, cinquemila abitanti prima della guerra e oggi cardine di accesso al fianco sud di un’altra città ancora più importante, Chasiv Yar, che dalla collina dove si trova domina l’intera area di Donbass rimasta in mano ucraina.

Toretsk non è importante come Vuhledar, la città caduta la settimana scorsa dopo essere stata difesa dagli ucraini per due anni e mezzo, ma che una seconda cittadella strategica si trovi già a rischio in così poco tempo è un segnale d’allarme rilevante per gli ucraini che difendono il Donbass.

Defezioni e uragani

La situazione militare su questo fronte traballante e come rinforzarlo, insieme al resto dello sforzo bellico ucraino, sarà uno degli argomenti durante il vertice che si terrà in Germania nel cosiddetto “formato Ramstein”, ossia alla presenza di tutti i circa 50 paesi alleati dell’Ucraina. Al vertice mancherà però il leader che lo ha convocato: il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha preferito rimanere negli Stati Uniti per essere presente nel paese quando il terrificante uragano Milton prenderà terra in Florida.

La convocazione della riunione, a livello di capi di governo invece che a quello usuale di ministri della Difesa, era stato uno dei magri risultati ottenuti dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky nella sua visita negli Stati Uniti di settembre, quando ha presentato il suo “piano per la vittoria”, accolto con malcelato scetticismo dalla Casa Bianca. La riunione di Ramstein dovrebbe tenersi ugualmente ma, senza Biden, ne uscirà depotenziata.

Sempre nel capitolo cattive notizie, c’è l’atteso veto ungherese al cambiamento del regime sanzionatorio della Russia, che continueranno a essere rinnovate ogni sei mesi, invece che ogni 36, condizione richiesta dagli Stati Uniti per partecipare al prestito da 50 miliardi di dollari destinato all’Ucraina e finanziato con proventi degli asset russi congelati.

Dagli Stati Uniti è invece intervenuta sull’Ucraina la vicepresidente e candidata democratica, Kamala Harris, con notizie leggermente migliori per Kiev. In un’intervista ha detto che non avrà mai un incontro con il presidente russo Vladimir Putin per discutere il conflitto senza includere l’Ucraina. Harris ha anche criticato la linea del suo rivale, Donald Trump, definendo le sue proposte una richiesta di resa all’Ucraina.

A proposito di Trump, secondo l’ultimo libro del giornalista del Washington Post, Bob Woodward, di cui il quotidiano ha pubblicato un’anteprima, Trump e Putin avrebbero parlato sette volte da quando l’ex presidente ha terminato il suo mandato, l’ultima all’inizio di quest’anno. In quell’occasione, Trump si sarebbe allontanato da uno dei suoi assistenti per poter parlare in privato.

L’anno precedente, al culmine della pandemia di Covid-19, Trump avrebbe inviato in Russia un carico di tamponi destinati a Putin e alla sua cerchia. Quest’ultimo gli avrebbe suggerito di non rivelare la notizia per evitare un contraccolpo politico.

Il ruolo di Pyongyang

Nel frattempo, il ministro della Difesa della Corea del Sud, Kim Yong-un, ha detto che è «molto probabile» l’invio di soldati nordcoreani in Ucraina, al fianco delle truppe di Mosca. Interrogato sulle notizie circolate su media ucraini della morte di alcuni soldati nordcoreani in un attacco aereo di Kiev nell’Ucraina occupata, Kim ha detto che si tratta di episodi «probabilmente veri».

Secondo le intelligence della Corea del Sud e dei paesi Nato, la Corea del Nord avrebbe già fornito alla Russia oltre 3 milioni di munizioni di artiglieria, circa metà del suo attuale fabbisogno nel corso del conflitto. Da Pyongyang sono arrivati in Ucraina anche missili balistici, probabilmente con lo scopo di testarli in condizioni di combattimento.

Non è chiaro chi fossero i militari nordcoreani morti nei bombardamenti ucraini, ma all’inizio di quest’anno una delegazione di istruttori delle forze armate di Pyongyang era arrivata in Russia.

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