Dopo il confronto più duro con il “partito di Dio” si apre una fase di studio sulle prossime mosse. L’Iran vuole vendetta, ma non cerca un conflitto più ampio
Il giorno dopo essersi scambiati micidiali raid in uno dei confronti più duri della loro battaglia transfrontaliera che dura da 10 mesi, Israele e Hezbollah sembrano fare un passo indietro rispetto a uno scontro più ampio. Anche il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, è «profondamente preoccupato» per l’escalation e invita a impegnarsi nelle trattative di pace.
Intanto i negoziati per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi continueranno, dopo che l’incontro del fine settimana al Cairo non ha prodotto un accordo. A dare notizia dei “tempi supplementari” è stato un funzionario americano, secondo quanto riportato dall’Associated Press.
Sul tema l’Egitto ha fatto sapere che non accetterà una presenza israeliana al valico di Rafah o sul Corridoio Filadelfia, così come previsto dagli accordi di pace di Camp David. Lo ha dichiarato un alto funzionario egiziano alla tv al Kahra al Ahbariya. E ha aggiunto: «L’Egitto conduce la mediazione tra le due parti in conflitto in modo coerente con la sua sicurezza nazionale e protegge i diritti del popolo palestinese».
Intanto l’Idf non cessa di colpire la Striscia, e il ministero della Sanità di Gaza, governata da Hamas, ha aggiornato a 40.435 morti il bilancio delle vittime della guerra con Israele. Sono almeno 33 le persone morte nelle ultime 24 ore, ha detto il ministero.
La risposta dell’Iran
Il regime di Teheran nel frattempo resta alla finestra. La risposta all’uccisione del capo di Hamas a Teheran sarà «definita e calcolata», ha detto il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, in una nota dopo la telefonata con il ministro Antonio Tajani.
L’Iran incolpa Israele per l’assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh il 31 luglio a Teheran, che Araqchi ha dichiarato essere stato «una violazione imperdonabile della sicurezza e della sovranità del paese». «L’Iran non cerca di aumentare le tensioni. Tuttavia non ne ha paura», ha detto Araqchi al suo omologo italiano al telefono. Ha affermato che la risposta dell’Iran sarà «definita, calcolata e precisa». Evidentemente Teheran preferisce mandare avanti i suoi alleati.
Nel frattempo il ministro degli Esteri del Qatar è giunto nella capitale iraniana. Si tratta della prima visita ufficiale di un ministro degli Esteri per il nuovo governo del presidente iraniano Masoud Pezeshkian, escludendo la cerimonia di insediamento. La visita è particolarmente importante alla luce del ruolo svolto dal Qatar come mediatore nei colloqui per una tregua nella Striscia, ma anche per i rapporti di Teheran con Hamas. Al Thani è arrivato in Iran dopo che la settimana scorsa si sono svolti a Doha e al Cairo nuovi round negoziali, nei quali i mediatori s’ostinano a dirsi ancora fiduciosi. La Casa Bianca sta cercando in tutti i modi di raggiungere una tregua e lo scambio degli ostaggi.
La provocazione
Come se non bastasse, il ministro israeliano della Sicurezza nazionale, l’esponente di estrema destra messianica Itamar Ben Gvir, ha scatenato una nuova polemica dichiarando che, se potesse, costruirebbe una sinagoga nel complesso della moschea di al Aqsa, a Gerusalemme. Ben Gvir, che ha spesso ignorato il divieto del governo agli ebrei di pregare nel sito sacro per i musulmani, ha affidato questa ennesima provocazione alla radio dell’esercito. Il complesso di al Aqsa è il terzo sito più sacro dell’islam e un simbolo dell’identità nazionale palestinese, ma è anche il luogo più sacro dell’ebraismo, venerato come secondo tempio distrutto dai Romani nel 70 d.C.
In base allo status quo mantenuto dalle autorità di Tel Aviv, agli ebrei e ad altri non musulmani è consentito visitare il complesso nella Gerusalemme Est annessa da Israele durante orari specifici, ma non è consentito loro di pregarvi o di esporre simboli religiosi. Negli ultimi anni, le restrizioni al complesso sono state sempre più ignorate da nazionalisti religiosi ed estremisti come Ben Gvir, provocando reazioni violente da parte dei palestinesi. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha accusato Ben Gvir di mettere «in pericolo la sicurezza». Dopo l’intervista, scrive il Times of Israel, il ministro dell’Interno Moshe Arbel ha chiesto a Netanyahu di rimuovere Ben Gvir, avvertendo che le sue dichiarazioni «irresponsabili» potrebbero «essere pagate con il sangue».
Anche i capi dei partiti di opposizione hanno immediatamente puntato il dito contro Netanyahu e la coalizione per aver permesso a Ben Gvir di mantenere la sua posizione. «L’intera regione vede la debolezza di Netanyahu nei confronti di Ben Gvir», ha scritto su X il leader dell’opposizione Yair Lapid. «Non è in grado di controllare il governo nemmeno di fronte a un chiaro tentativo di destabilizzare la nostra sicurezza nazionale».
L’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha dichiarato che l’affermazione del ministro della Sicurezza israeliano Itamar Ben Gvir, che sostiene l’ipotesi di una sinagoga sul Monte del Tempio a Gerusalemme, equivale a un appello esplicito affinché la moschea di al Aqsa venga rasa al suolo e sostituita con un luogo di culto ebraico. Il ministero degli Esteri dell’Anp invita la comunità internazionale a «fare pressione su Israele affinché lo obblighi a porre fine alle dichiarazioni e alle posizioni provocatorie di Ben Gvir». Netanyahu ha già dimostrato molte volte cosa è pronto a fare per contenere i suoi alleati più estremisti: assolutamente nulla.
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