Assistiamo al degrado di quelli che definiamo i valori occidentali. La guerra al terrore è stato il primo passo verso la caduta delle difese immunitarie
Mentre ci accapigliamo su una questione che sarebbe sostanziale ma nel dibattito pubblico è diventata puramente semantica, se quanto avviene a Gaza sia genocidio oppure altro, stiamo perdendo di vista l'essenza e cioè il degrado di quelli che pomposamente definiamo i valori fondanti dell'occidente, sacrificati sull'altare delle convenienze politiche e delle scelte aprioristiche di campo. Un degrado che manda in frantumi la nostra credibilità agli occhi del resto del pianeta, che ci accusa senza mezzi termini di doppiopesismo, e corrompe alle basi il nostro patto di convivenza.
Il Novecento già si peritò di ribaltare i metodi e il senso stesso delle guerre. Nel Primo conflitto mondiale, 90 per cento di vittime militari e 10 per cento civili. Nel Secondo, 50 e 50. A fine secolo 90 per cento morti civili e 10 per cento militari. Non guerre civili ma guerre contro i civili, fino alla necessità di coniare il termine raccapricciante di pulizia etnica.
I progressi della tecnologia bellica permisero agli Stati maggiori di rassicurare opinioni pubbliche scosse promettendo l'uso di “bombe intelligenti” in grado di colpire esattamente il bersaglio designato. Che si dimostrarono tuttavia particolarmente stupide visti i numerosi “danni collaterali”, un grottesco eufemismo dietro il quale di nascondeva la carneficina di persone innocenti. Ma almeno l'eufemismo nascondeva un imbarazzo, la vergogna di un errore fatale.
A mano a mano ci siamo assuefatti ai danni collaterali, in Afghanistan come in Iraq, considerandoli incidenti necessari nella battaglia fatale contro un nemico subdolo come il terrorismo. Era il primo passo verso la caduta di difese immunitarie al cospetto dell'inaccettabile, dell'accettazione supina di regole nuove in nome della difesa reboante del nostro stile di vita minacciato. Senza considerare la differenza che dovrebbe esserci chiara tra i comportamenti di una democrazia e di un'organizzazione terroristica o uno Stato totalitario. L'ultimo passo è Gaza.
Si può lambiccare sulla reale entità di donne, vecchi e bambini uccisi nella Striscia da nove mesi a questa parte. Delle oltre 40 mila vittime, l'Onu sostiene che solo il 25 per cento siano combattenti di Hamas e altre formazioni jihadiste. Gli “altri” sarebbero trentamila. Anche fossero molti meno, come ribatte Israele, saremmo comunque davanti a una cifra iperbolica. Al contrario del recente passato, nessun imbarazzo e nessuna vergogna.
In decine e decine di occasioni, dopo la carneficina in un campo profughi, in un ospedale, in un luogo religioso, nella struttura di una ong, abbiamo dovuto leggere o ascoltare giustificazioni che tali non sono da parte dello Stato ebraico. In pratica, si siamo stati noi ma tra quei civili, si nascondevano dei terroristi. Talvolta addirittura si nascondeva “un terrorista”.
Come se questo emendasse da ogni colpa e senza il bisogno almeno di una prece, se non di un pentimento. E questo fino all'aberrazione dei più estremisti tra gli israeliani per cui ogni palestinese è un terrorista, infanti compresi. La logica di chi, soprattutto coloni, partendo dall'esempio di Gaza, sogna l'espulsione di tutti gli arabi dalla Palestina storica, la creazione di uno Stato ebraico dal mare al fiume, dal Mediterraneo al Giordano.
Ci si sarebbe aspettata almeno una reazione robusta da parte degli amici che Israele vanta nella Vecchia Europa come in America, Paesi che considerano lo Stato ebraico come un avamposto di occidente incastonato in Medio Oriente. Gli amici sono tali proprio se sono capaci di ammonire sulla via sbagliata che si è intrapresa. Ci ha provato Joe Biden, con le parole più dure mai ascoltate da un inquilino della Casa Bianca nei confronti dello storico alleato. Ci ha provato Macron e ci ha provato, molto più flebilmente, anche la Meloni. Ma le parole se le è portate via il vento, non sono seguiti atti concreti. E al dunque è sempre prevalsa la scelta di stare al fianco di Benjamin Netanyahu e del suo esecutivo farcito di elementi razzisti.
I governi hanno dunque accettato di fatto anche il “come” aberrante di una reazione al pogrom del 7 ottobre che sarebbe stata ampiamente giustificata senza gli eccessi rodomontici all'inseguimento dell'impossibile chimera della distruzione totale di Hamas.
Al contrario le piazze si sono riempite di gente indignata per la carneficina continua (ultima quella di Chicago in occasione della convention che incorona Kamala Harris come candidata alla Casa Bianca). Alimentando in qualche caso l'accelerazione della crescita dell'antisemitismo, sentimento ovviamente riprovevole e già segnalato in aumento anche in precedenza. Una eterogenesi dei fini.
© Riproduzione riservata