La fondatrice dell’ong russa Memorial: «Quello che sta succedendo in Italia è pericoloso». «Le trattative di pace in Ucraina sono un bluff. La pace arriverà solo con una vittoria di Kiev»
«Le offerte di pace di Vladimir Putin? Sono un bluff. La pace in Ucraina arriverà solo con una vittoria militare di Kiev che costringa Putin a trattare». Parole di peso, se arrivano da un premio Nobel per la pace. A pronunciarle è Irina Scherbakova, storica russa che nel 1989 ha contribuito a fondare Memorial, organizzazione per la ricerca e la riabilitazione delle vittime della repressione durante l’Unione sovietica e per la tutela dei diritti umani in Russia, insignita del premio Nobel per la pace nel 2022 e dichiarata illegale dal regime di Putin. In Italia per ritirare il premio Hemingway, Scherbakova parla degli ultimi episodi che riguardano il suo paese e del pericolo, per Europa e Italia in particolare, di ignorare le lezioni del passato e seguire così la strada intrapresa dalla Russia di Putin.
Al vertice di pace in Svizzera organizzato dal governo ucraino, Putin ha risposto con le sue richieste, che comprendono la cessione di territori che le sue truppe non hanno ancora occupato. Come leggere questa sua posizione?
Sono assolutamente sicura che in questo momento non sono possibili negoziati reali con Putin. Perché ci ingannerebbe, mentirebbe come ha già fatto con i trattati di Minsk I e II (le trattative di pace iniziate dopo l’annessione della Crimea e l’intervento in Donbass del 2014, ndr). I negoziati potranno iniziare solo se l’Ucraina otterrà successi sul piano bellico e riuscirà a creare una linea di difesa sicura, da cui poter trattare in sicurezza. Per trattare Putin dovrà essere costretto. Non ci sono altre possibilità. Capisce solo il linguaggio della forza e nient’altro.
Un anno fa il leader mercenario Prigozhin si ribellava a Putin, che poche settimane fa è stato riconfermato alla presidenza. Oggi il regime russo è più forte o più debole che in passato?
Non dobbiamo farci illusioni: il regime rimane piuttosto forte e stabile. Non c’è stato un collasso dell’economia, e le sanzioni non hanno portato alla catastrofe che si pensava. Ma io ho la speranza che il regime non sia poi così in salute e che soprattutto non si sia rafforzato. Ne vediamo prove ogni giorno: è un fuoco che brucia lentamente, che si prova a spegnere, ma che continua ad accendersi. Per quanto le persone a Sebastopoli (nella penisola di Crimea dove avvengono spesso attacchi ucraini, ndr) vadano in spiaggia e provino a fingere che non stia accadendo niente, anche su di loro piovono pezzi di missili. Non possono ignorare che qualcosa sta accadendo. Credo che Putin non possa vincere questa guerra e che la guerra stessa sarà un fattore importante nella fine del suo regime. Quando accadrà non possiamo saperlo. Ma come storica mi sento di aggiungere che a volte accadono cose inaspettate, svolte miracolose e inattese. Questo è quello in cui possiamo sperare.
L’Unione europea ha votato il suo parlamento e rinnovato le sue istituzioni, cosa pensa di questi cambiamenti?
Queste elezioni nell’Unione europea sono state preoccupanti, abbiamo visto un rafforzamento dei partiti di destra che sostengono Putin. Ma, grazie al cielo, il parlamento europeo ha “tenuto” e non c’è stata una forte deriva a destra. È rimasta von der Leyen, la prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas è diventata il capo della diplomazia europea. Penso che sia qualcosa di positivo. I baltici capiscono meglio di altri paesi e leader europei che bisogna avere paura di Putin, e quindi sono molto felice per la sua nomina: mi dà speranza che l’Ucraina otterrà davvero aiuto.
Kallas è considerata un falco e ha dichiarato che vedrebbe in modo positivo una frammentazione della Russia in diverse nazioni dopo la fine della guerra. Non è una retorica che rischia di rafforzare Putin e la sua propaganda sul rischio esistenziale per la Russia in questa guerra?
Non è uno scenario possibile, al di là che gli si dia un giudizio positivo o negativo. Negli anniNovanta, anche noi speravamo che la Russia diventasse una vera federazione democratica, e questo avrebbe cambiato la situazione, ma questo non è successo. Le minacce all’occidente sono parte della propaganda di regime da 20 anni, non si è voluto vederlo, ma il regime è fondato su questo. Trovo difficile immaginare che questa propaganda possa persino peggiorare.
Tra i grandi sconfitti della Seconda guerra mondiale l’Italia è quello che ha avuto le maggiori difficoltà a fare i conti con il suo passato totalitario. Lo vediamo anche oggi, con inchieste giornalistiche che mostrano quanto sia ancora presente la nostalgia del regime nei partiti di governo. Cosa può insegnare l’esperienza di Memorial agli storici e agli attivisti italiani che si battono per la tutela di una memoria democratica?
Purtroppo dobbiamo ammettere che noi, in Russia, abbiamo perso, ed è quindi difficile dare consigli agli altri. Memorial ha passato trentacinque anni a ripetere che se il passato fosse stato lasciato come un cadavere abbandonato per strada, senza raccoglierlo, senza ripulirlo, si sarebbe potuto trasformare in una sorta di mostro di Frankenstein, sarebbe potuto ritornare in vita e minacciarci di nuovo. Non siamo stati ascoltati, non siamo stati ascoltati in Russia, non ci hanno ascoltati i politici europei, e questo lo abbiamo visto ad esempio in Italia, con l’amicizia tra Putin e Berlusconi. È difficile dare raccomandazioni. Quello che vediamo ora in Italia, e anche in Germania, è che questi cadaveri hanno la caratteristica di poter risorgere, almeno in alcune delle loro componenti. Stalin e Hitler avevano sostenitori perché fornivano risposte semplici a problemi complessi. Dicevano alla gente che era colpa di un qualche nemico se dovevano affrontare le difficoltà della vita. Per Putin questi nemici sono l’occidente e l’Ucraina, in Italia la sinistra o i migranti, per Trump il confine con il Messico. Canalizzare le paure della società purtroppo funziona. In Italia capisco che c’è questo pericolo per ragioni storiche e legate al passato. Ci sono fronti definiti: l’estrema sinistra, dove a volte permangono posizioni staliniste, e l’estrema destra che si fonda sulle tradizioni di Mussolini, e questo è sempre un pericolo per la democrazia. Lo vediamo anche in Germania, ma in Italia penso che questo fenomeno sia particolarmente pericoloso.
Ha perso la speranza nel ruolo sociale degli storici, nel fatto che con il loro lavoro possano contribuire a evitare questi pericoli?
Qualche anno fa ci era stato detto che la storia era finita, che non sarebbe più potuto accadere niente di importante, che il futuro dell’Europa era ormai segnato e che non bisognava aspettarsi alcun cataclisma. Non solo non è stato così, ma queste previsioni sono state smentite in modo particolarmente brutale. Oggi Trump e Putin usano un passato mitico, una pseudo storia, falsificazioni e strumentalizzazioni per ottenere consenso. Accade anche in Italia. Agli storici resta il dovere di combattere tutto questo, anche se non è facile. Gli storici possono lanciare un avvertimento, dire che si tratta di miti, che questo passato di cui si parla non è mai esistito e avvertire del pericolo di questa deriva. Se devo essere davvero onesta, devo ammettere che combattere contro i miti è estremamente difficile. Ma bisogna provarci.
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