Mentre gli israeliani accusano il premier Benjamin Netanyahu di agire contro la volontà del paese, nel disinteresse generale in Cisgiordania è in corso l’incursione militare più vasta dai tempi della Seconda Intifada. L’operazione è iniziata qualche giorno dopo l’attentato suicida del 19 agosto a Tel Aviv, rivendicato da Hamas e Jihad Islamica, ma neutralizzare miliziani e prevenire nuovi attentati potrebbe non essere l’unico obiettivo.

Nei suoi 19 mesi di potere il governo Netanyahu ha ampliato l’impronta di Israele in Cisgiordania, intensificando la campagna del movimento dei coloni per ostacolare la creazione di uno stato palestinese attraverso la costruzione di insediamenti nei territori occupati, illegali secondo il diritto internazionale.

Il governo più a destra della storia di Israele ha approvato sistematicamente il sequestro di terreni in posizioni strategiche, autorizzato nuove costruzioni, regolarizzato blocchi di insediamenti illegali anche per la legge israeliana, demolito proprietà palestinesi e dato maggiore sostegno ai nuovi avamposti illegali costruiti dai coloni più oltranzisti.

L’occupazione continua

Mentre infuriava la guerra nella Striscia di Gaza, durante il 2024 lo Stato di Israele si è appropriato di 5978 acri di terreni (pari a 24 km2), più dei 4961 acri sequestrati in quasi vent’anni dal 2004 al 2023. Dalla fine dell’anno scorso a oggi le autorità israeliane hanno approvato la costruzione di 12mila nuove abitazioni, contro le 8mila dei due anni precedenti.

Tutti questi fattori hanno segnato i più significativi cambiamenti territoriali della Cisgiordania degli ultimi decenni, complicando ulteriormente la possibilità di risolvere la questione palestinese attraverso la soluzione a due stati, che nonostante tutto resta la visione ampiamente condivisa della comunità internazionale. Dalla vittoria nella Guerra dei sei giorni nel 1967 i governi israeliani hanno permesso la costruzione di circa 160 insediamenti nella Cisgiordania occupata, che negli anni sono cresciuti fino a diventare la residenza di 700mila ebrei israeliani, 230mila dei quali a Gerusalemme Est.

La posizione geografica degli insediamenti ha gradualmente diviso la Cisgiordania in enclavi, frammentando il territorio dell’ipotetico Stato di Palestina in tante «isole» etniche arabe amministrate dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), separate tra loro dagli insediamenti e collegati da strade a cui si accede solo attraversando i posti di blocco dell’esercito israeliano. In Cisgiordania vivono quasi 3 milioni di palestinesi.

L’aggravarsi delle tensioni

Lo sforzo per espandere e consolidare la supremazia di Israele sull’area è guidato da Bezalel Smotrich, un estremista nazional-religioso di lunga data diventato ministro delle Finanze.

L’anno scorso Netanyahu gli ha anche affidato un incarico all'interno del ministero della Difesa, dandogli ampi poteri sulla Cisgiordania. Insieme a lui Itamar Ben-Gvir, colono oltranzista oggi ministro della Sicurezza nazionale, che negli ultimi mesi si è distinto per aver detto che è arrivato il momento di costruire una sinagoga sul Monte del Tempio, dove sorge la Moschea di Al-Aqsa, terzo luogo sacro dell’Islam.

La situazione in Cisgiordania è particolarmente tesa da mesi: dopo gli attentati del 7 ottobre, insieme alle operazioni militari israeliane a Gaza sono aumentati gli attacchi dei coloni oltranzisti contro i palestinesi e gli attentati dei miliziani locali di Hamas e Jihad Islamica. Negli ultimi 10 mesi in Cisgiordania sono stati uccisi almeno 600 palestinesi.

Smotrich e Ben-Gvir hanno soffiato sul fuoco, chiedendo sempre più apertamente l'annessione formale dei territori, l’approvazione di nuove colonie, la rimozione dei poteri dall’Anp e azioni più dure dell’esercito.

Ai nazionalisti israeliani Gaza non interessa veramente, per loro l’enclave sul Mediterraneo è principalmente una questione di sicurezza e controllo. Il fronte del conflitto israelo-palestinese è la Cisgiordania e Gerusalemme.

Quello che i manifestanti che riempiono le strade di Tel Aviv oggi sembrano non aver compreso è che l’occupazione non ha solo danneggiato i palestinesi e alimentato il consenso per Hamas, ma ha indebolito la società e le istituzioni della democrazia israeliana.

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