«Da quando è iniziata la guerra a Gaza, l’esercito israeliano ha proibito a me e ai miei fratelli di entrare nella nostra terra con pretesti legati alla sicurezza. Ogni volta che abbiamo provato ad andarci, i soldati ci hanno detto che ci era proibito stare lì e ci hanno espulsi. I coloni ne hanno approfittato e hanno completamente distrutto la struttura e danneggiato tutto ciò che c'era al suo interno».

Tahsin Hamed ha 72 anni e sei figli che sfama anche grazie al raccolto prodotto dal suo piccolo appezzamento di terra a Shufa. Dal 7 ottobre scorso si trova a fare i conti con le violenze dei coloni, che denuncia essere sostenute anche dai militari israeliani. Tahsin Hamed ha raccontato la sua storia a B’tselem, una delle ong israeliane più attive nella difesa dei diritti dei palestinesi nei territori occupati. insieme a Peace Now.

Storie come quelle di Tahsin non sono nuove, è dal 1967 che i palestinesi della Cisgiordania si trovano a fare i conti con la violenza dei coloni e l’espropriazione di terre da parte dello stato di Israele. Ma nell’ultimo anno, la situazione ha raggiunto una tensione senza precedenti. «Nessuna decisione anti-israeliana e anti-sionista fermerà lo sviluppo degli insediamenti», scriveva su X lo scorso agosto uno degli esponenti più estremisti dell’esecutivo israeliano, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. 

Negli ultimi undici mesi il governo israeliano ha impresso un’accelerazione alla creazione di nuovi insediamenti di coloni nei territori palestinesi, nonostante siano considerati illegali dalle Nazioni Unite. Lo sta facendo a furia di decreti, decisioni politiche contestate ed espropriazioni coattive di terre. Un’avanzata territoriale meno visibile di quella nella Striscia, da dove provengono giornalmente le immagini della distruzione.

Secondo l’organizzazione israeliana a difesa dei diritti umani Peace Now, nel 2024 il governo di Benjamin Netanyahu ha approvato la più grande espansione territoriale in Cisgiordania dagli accordi di pace di Oslo del 1993. «Ogni giorno torniamo dalla West bank e vediamo come i coloni stabiliscono nuovi avamposti vicino ai villaggi palestinesi. Molti di questi sorgono in terre private palestinesi, con l’obiettivo di espellerli da queste aree. Dal 7 ottobre a luglio del 2024 sono almeno 30 i nuovi avamposti illegali sorti in Cisgiordania», racconta a Domani Mauricio Lapchik, direttore delle relazioni esterne di Peace Now.

Tutta la terra per i coloni

Secondo i dati della ong, nell’ultimo anno lo stato di Israele ha annesso più di 24 chilometri quadrati di territorio, più di quanto fatto negli ultimi venti anni. Numeri senza precedenti. In alcuni casi sono territori militari, in altri di proprietà palestinese, ma l’obiettivo finale è sempre lo stesso: avere più terreno edificabile. «Teoricamente, secondo il diritto internazionale queste nuove terre non sono solo a disposizione dei coloni, ma anche dei palestinesi per costruire servizi, strade e nuove abitazioni. Secondo i nostri dati, il 99,67 per cento della terra statale israeliana va ai coloni ebrei e solo lo 0,25 per cento ai palestinesi».

I circa 700mila coloni (500mila nella West Bank, il resto a Gerusalemme Est) che vivono in 300 insediamenti godono di strade e servizi, mentre i palestinesi sono isolati tra di loro da circa 700 checkpoint. E in questo clima, la popolazione ebraica continua a crescere. Secondo i dati di WestBankJewishPopulationStats.com, un sito web gestito da coloni, nel 2023 la popolazione è aumentata a 517.407 al 31 dicembre, rispetto ai 502.991 dell'anno precedente. Un aumento del 15 per cento negli ultimi cinque anni. Secondo le stime del gruppo, entro il 2030 in Cisgiordania ci saranno circa 600mila coloni.

Le aree più critiche

Attualmente sono 205 gli avamposti nella West bank non riconosciuti dallo stato ebraico. «Ma di fatto è come se lo fossero», spiega Lapchik. «Questo governo fornisce supporto ai coloni. Dal 7 ottobre ha deciso di legalizzare cinque di questi avamposti come quello di Evyatar nel villaggio di Beita», aggiunge. È lì che è stata uccisa dall’Idf Aysenur Ezgi Eygi, l’attivista turco-statunitense. Eygi stava partecipando insieme a decine di altre persone a una manifestazione contro l’insediamento illegale quando è stata colpita da un cecchino. 

Le Forze di difesa israeliane hanno affermato che «molto probabilmente è stata colpita indirettamente e involontariamente dal fuoco delle Idf che non era diretto a lei». Tuttavia, la situazione più critica è a sud di Hebron, Ramallah, Gerusalemme est. Ma anche a nord di Nablus. «A Masafer Yatta lo scenario è serio, non solo per gli avamposti ma anche per la violenza dei coloni. Le leggi israeliane sono chiare, ma con questo governo non hanno più paura. Non ci pensano due volte a compiere azioni criminali».

Motivazione sicurezza

Nei discorsi pubblici i ministri del governo Netanyahu e lo stesso premier hanno speso giustificato l’espansione territoriale adducendo motivazioni di ordine pubblico e sicurezza. A febbraio, il ministro delle Finanze, Smotrich, ha annunciato la costruzione di 3.300 nuove case dopo che tre uomini armati palestinesi hanno sparato contro alcune auto nei pressi dell'insediamento di Maale Adumim.

Nell’attacco sono morti un israeliano e ne sono stati feriti altri cinque. «Il grave attacco a Ma'ale Adumim deve avere una risposta di sicurezza determinata, ma anche una risposta di insediamento», ha scritto Smotrich su X nei giorni seguenti. «I nostri nemici sanno che qualsiasi danno a noi arrecato porterà a più costruzioni e più sviluppo in tutto il paese».

Secondo i dati dell’ufficio dei diritti umani delle Nazioni unite (Ocha) dal gennaio 2008 al 26 settembre 2024 sono stati 106 i civili israeliani uccisi in Cisgiordania, 159 se si contano anche i soldati e le forze di polizia, per mano dei palestinesi. Nello stesso periodo, invece, sono stati uccisi 1.549 civili palestinesi. Si tratta tuttavia di dati al ribasso, l’Ocha specifica che le morti avvenute dopo il 7 ottobre vengono sommate al conteggio soltanto nel momento in cui vengono verificate in maniera indipendente. E questo non è sempre facile.

A fine agosto le forze armate israeliane hanno condotto una campagna militare in Cisgiordania nella quale sono state uccise decine di palestinesi e arrestate altrettante. Per l’Idf si trattano di persone affiliate ad Hamas o comunque persone pericolose per la sicurezza nazionale. Ma non è così in tutti i casi. L’esempio è l’uccisione dell’attivista Aysenur Ezgi Eygi che stava manifestando in forma pacifica. 

Gaza

Quale sarà invece il futuro della Striscia? Al momento le trattative sono arenate, con il gabinetto di guerra israeliano concentrato nell’offensiva nel sud del Libano e nel valutare una risposta all’attacco iraniano del 1° ottobre. Non c’è ancora un piano per la Striscia, al momento Israele vuole mantenere un controllo militare soprattutto sul corridoio di Filadelfia, che l’Egitto non intende cedere.

Nei mesi scorsi diversi esponenti del governo di Netanyahu hanno paventato la possibilità di costruire insediamenti di coloni anche a Gaza, suscitando forti critiche e reazioni da parte della comunità internazionale. «Non è la linea ufficiale del governo, ma se guardiamo a come si stanno comportando non è da escludere. L’idea di stabilire una presenza militare permanente a Gaza va in questa direzione», dice Lapchik. «Ci sono coloni che stanno aspettando non tanto lontano da Gaza il giorno in cui possono entrare nella striscia per stabilire i loro avamposti. D’altronde è così che è iniziato tutto».

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