Dopo cinquanta giorni è arrivata la telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, a cui ha assistito anche la vicepresidente democratica Kamala Harris.

Se siano bastati a Biden i cinquanta minuti di chiamata per evitare una guerra aperta tra Israele e Iran è ancora presto per saperlo, di sicuro il colloquio tra i due è avvenuto in un contesto diverso dall’ultimo avuto nell’agosto scorso.

In due mesi si è arrivati all’invasione israeliana del sud del Libano, alla “decapitazione” dei vertici di Hezbollah e in questi giorni la leadership ebraica sta valutando la risposta all’Iran dopo l’attacco del 1° ottobre scorso.

Netanyahu e i capi militari hanno promesso “vendetta”. Una vendetta che secondo media statunitensi e israeliani sarà servita presto, forse in questa settimana. Un presagio l’incontro avvenuto martedì sera nel quartier generale militare di Kirya, a Tel Aviv, dove sarebbe stata presa già una «decisione chiave» secondo un funzionario israeliano. Al momento sarebbero nel mirino delle Idf strutture e postazioni militari. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Galant ha assicurato che l’attacco all’Iran sarà «letale, preciso e a sorpresa».

«Non capiranno cosa è successo e come», ha detto durante una visita a un’unità militare. Del suo piano ne avrebbe dovuto discutere a Washington in una visita con Joe Biden che però è stata rimandata. Tra Gallant e Netanyahu, infatti, non scorre buon sangue da tempo viste le divergenze di strategia.

Diplomazia araba

Nel giorno in cui Biden parlava con Netanyahu, il suo alleato saudita ospitava il ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi che ha incontrato il suo omologo arabo Faisal bin Farhan. Un incontro importante data la distensione dei rapporti diplomatici tra Riad e Teheran avvenuta soltanto poco più di un anno fa.

Secondo il portavoce del ministero saudita i due hanno avuto «colloqui utili e costruttivi sugli ultimi sviluppi nella regione e sulla situazione a Gaza e Libano». Dopo la visita nel regno Araghchi è atteso in Qatar e in altri stati della regione.

Al Cairo, invece, si sono incontrati leader di Hamas e Fatah. L’obiettivo è di trovare una via per un cessate il fuoco e pensare alla formazione di un governo tecnocratico post conflitto.

L’ordine di Sinwar

Continua il conflitto a Gaza con l’assedio a nord delle forze israeliane, focalizzate soprattutto nel campo profughi di Jabalia. Nell’area, secondo l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, ci sono almeno 400mila persone bloccate che non riescono a evacuare. Dalla Striscia, il leader di Hamas, Yahya Sinwar avrebbe ordinato di riprendere gli attacchi kamikaze contro Israele. A riferirlo sono fonti di intelligence arabe citate dal Wall Street Journal.

Un accoltellamento nel centro di Israele ha ferito almeno sei persone, di cui due sono in gravi condizioni. In Libano, intanto, sono stati superati i 2.141 morti in poco più di una decina di giorni, con l’esercito di Tel Aviv che non accenna a ritirarsi dal sud del paese. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) «la crisi umanitaria in Libano si sta deteriorando a un ritmo allarmante e un quarto del territorio libanese è ora sottoposto a ordine di sfollamento israeliano».

L’Idf ha comunicato di aver condotto oltre 1.100 attacchi aerei con il paese confinante. Dal Libano sono invece partiti almeno 90 razzi, alcuni dei quali sono stati intercettati, mentre altri sono caduti nei pressi di Safed e a Kiryat Shmona dove sono state uccise due persone.

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