Al centro dell’incontro dei capi di stato e di governo per il settantacinquesimo anniversario dell’Alleanza Atlantica in teoria ci sarebbe il sostegno all’Ucraina e la posizione controversa di alcuni membri. In realtà diverse ricostruzioni parlano di una crescente preoccupazione sulla tenuta mentale del presidente e sui timori sul ritorno di Donald Trump sulla scena internazionale
Fino a qualche mese fa, un vertice Nato per Joe Biden avrebbe avuto al centro questioni internazionali come la continuazione del sostegno all’Ucraina oppure la riottosità di alcuni membri dell’Alleanza. Il meeting che si apre martedì 9 a Washington, invece, è tutto su di lui, quasi una prima volta per un presidente che ha dovuto lottare per togliere i riflettori di dosso da Donald Trump.
Certo non si aspettava che al centro dell’attenzione mediatica ci fosse la sua pervicacia nel voler rimanere ad ogni costo candidato dopo la sua catastrofica performance nel dibattito contro Donald Trump lo scorso 27 giugno. Uno degli argomenti che il presidente ha utilizzato nei giorni scorsi è stato proprio quello del suo standing come statista globale: «Vedete cosa diranno i leader di me».
E invece sono proprio i leader stranieri a dubitare di lui. Secondo diversi retroscena, l’età del presidente è al centro delle chiacchiere lontano dal tavolo dei leader. Secondo una ricostruzione dal Guardian, è un anonimo diplomatico europeo a dichiarare che «non si può più mettere il genio della lampada», mentre un altro partecipante al summit cita l’età e l’acume dell’inquilino della Casa Bianca come il maggior tema in discussione. Forse è un racconto eccessivamente caricato dai media, ma è evidente che il tema dell’età dominerà senz’altro le discussioni di corridoio. Non foss’altro perché qualora Biden persista nella sua linea di non mollare, l’alternativa è il secondo mandato di Donald Trump, con tutto ciò che comporta.
Anche perché le interviste radiofoniche della scorsa settimana, insieme al colloquio sulla Abc con George Stephanopoulos, hanno fatto ben poco per dissipare i dubbi. Le solite incertezze, i consueti bisticci verbali, nonostante i giornalisti interessati fossero benvolenti e amichevoli. Il presidente però non vuole saperne di lasciare il suo posto alla testa del ticket. Lunedì ha mandato una lettera ai membri del Congresso dicendo che «non va da nessuna parte» e rimane. Anzi, sostiene che gli sforzi di allontanarlo sono di una certa elite che pensa di sapere cosa sia meglio per l’elettorato.
La sfida
Tutto questo mentre accade che diversi membri del Congresso stanno cercando di convincere i rispettivi leader di Camera e Senato Hakeem Jeffries e Chuck Schumer per convincere il presidente a lasciare. Il modello a cui pensano i nuovi ribelli, tra cui il deputato Jerry Nadler di New York e il collega della California Adam Schiff, fa riferimento a quanto avvenuto alla Casa Bianca nell’agosto 1974: all’epoca una delegazione di senatori comandata da Barry Goldwater, autorevole membro della destra repubblicana, convinse il presidente Richard Nixon a dimettersi per evitare l’infamia dell’impeachment per aver ordinato segretamente la celebre irruzione nel palazzo del Watergate due anni prima.
Qui a essere tenuta segreta per molti anni, quindi, sarebbe stata la capacità mentale del presidente, che una serie di articoli del New York Times, forse il primo giornale vicino al mondo progressista ad aver sollevato dubbi sull’effettiva possibilità che Biden avrebbe potuto reggere alla Casa Bianca fino agli 86 anni nel 2028, sta dipingendo come uno scenario abbastanza inquietante.
Per ragioni non meglio precisate, dunque, la stretta cerchia presidenziale avrebbe protetto in modo ossessivo il loro capo per evitare scivoloni di qualsivoglia tipo, a costo di far crescere i dubbi nell’opinione pubblica. Fino al momento di rottura avvenuto a fine giugno. Ora che fare? La campagna presidenziale cerca di rappezzare la falla cercando di dipingere i nuovi ribelli come parte di un’intellighenzia mediatica che non comprende le esigenze di minoranze etniche e sindacati, che a questo punto diventano le colonne su cui si reggerebbe l’ipotetica fase due di Biden, fino alla convention di agosto. Ed è stato proprio il presidente a sfidare i dubbiosi dicendo loro di «sfidarlo apertamente».
Cosa che in teoria non sarebbe possibile ma alcuni leader come l’autorevole esponente afroamericano Jim Clyburn hanno ventilato l’ipotesi di una “mini-primaria” proprio in quella sede. Dall’altra parte invece i repubblicani tacciono, forse temendo che il piano per sostituire Biden vada in porto e che Kamala Harris si riveli un osso più duro di quello che fino a qualche mese fa si pensava.
Trump tace
Trump non tace soltanto sull’età di Biden in questi giorni, ma anche sulle idee che avrebbe per la Nato. I suoi portavoce smentiscono la voce che il tycoon voglia abbandonare l’Alleanza per creare un nuovo sistema di relazioni internazionali dove gli Stati Uniti si affidano soltanto ai trattati bilaterali dove impongono dure condizioni agli aspiranti alleati. Presumibilmente però, le idee cambieranno a seconda delle circostanze, come accaduto nel suo primo mandato e non si esclude nemmeno che per un caso fortuito Trump assuma una postura violentemente antirussa.
Nel frattempo, però il tycoon ha detto parole chiare sul Project 2025, il dettagliato piano di 900 pagine stilato da alcune organizzazioni conservatrici capeggiate dalla Heritage Foundation su una trasformazione in senso autoritario del governo americano: «Non so chi siano e credo che alcuni punti del loro programma siano orrendi». In realtà alcuni esponenti del Project 2025 sono stati membri di rilievo della prima amministrazione, a cominciare da Russell Vought, a capo dell’Ufficio del Management e del Bilancio dal 2019 al 2021, noto esponente della destra nazionalista cristiana. L’ennesima menzogna di Trump per moderare la sua immagine, in vista di un suo ritorno alla Casa Bianca, mentre il suo avversario testardamente rifiuta di farsi da parte a costo di fare altri scivoloni di fronte ad altri capi di stato al vertice Nato.
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