La nostra attitudine a correggere la realtà perché non disturbi, non smentisca l’ideologia, non costringa a riflessioni sgradite, non ci aiuterà ad affrontare la temperie futura. Siamo al centro del Mediterraneo, a due passi dai Balcani, periferici in un’Europa a sua volta periferica. Aiuterebbe un po’ di sana angoscia, se producesse domanda di pensiero innovativo, magari perfino qualche proposta
Grandi sommovimenti sono in gestazione alle porte della serafica Europa. Secondo quanto ricavano i servizi segreti egiziani dai negoziati in corso al Cairo, i sondaggi elettorali negli Usa hanno convinto il governo Netanyahu a prolungare le ostilità fino a novembre, quando la probabile vittoria di Donald Trump lo metterebbe nelle condizioni di realizzare il suo progetto: l’esercito asserragliato nel nord di Gaza, il West Bank spopolato dai coloni, l’annessione, pezzo dopo pezzo, di vaste porzioni dei Territori occupati.
Queste esuberanze suprematiste darebbero ulteriore impeto al nemico simmetrico, l’islamo-fascismo sunnita e scita, proiettando onde d’urto in Medio Oriente e nel Mediterraneo. Tanto più se l’integralismo cristiano al seguito di Trump si inserisse nella mischia tra presunte “civiltà”.
Fronte est
Invece da est è il cristiano-fascismo russo che incalza l’Europa. Come Benjamin Netanyahu, così Vladimir Putin potrebbe ottenere dalle presidenziali americane la vittoria che non gli arride sul campo di battaglia. Ma prima che Trump lo aiuti a piegare Kiev, cercherà di consolidare le prospettive gran-russe in due indocili stati ex vassalli: la Georgia e la Moldavia.
In ottobre le elezioni decideranno il futuro di quei due paesi, se un giorno nella Ue o subito di nuovo nel cortile di Mosca. I partiti filo-russi invitano la popolazione a non dimenticare la lezione dell’Ucraina: emanciparsi dalla Russia porta guai. Infine Putin aiuterà gli amici serbi a prendersi un pezzo della Bosnia, altro paese incongruo con il mondo slavo-ortodosso su cui Mosca si ritiene in diritto di esercitare il suo primato.
Dunque da qui alla fine dell’anno l’Europa si potrebbe scoprire vulnerabile, minacciata, sfidata ai confini da spettri che brandiscono testi antichi e armi modernissime, e sghignazzano quando se richiamati a rispettare i trattati del diritto internazionale. Sarebbe abbastanza per metterci in ansia e indurre la Ue a concordare progetti, pressioni, iniziative, ripensamenti.
Rassegnati alla futilità
Invece il messaggio al mondo che trasmettono le istituzioni del mai così Vecchio Continente è tutt’altro. Potremmo riassumerlo così: non ci importunate con i vostri guai. Lasciateci in pace. Abbiamo già abbastanza problemi. Discuteremo, vareremo, ci atteggeremo a grande potenza. Ma siamo rassegnati alla nostra futilità.
Che in Europa lo spirito del tempo soffi in questa direzione l’hanno confermato i successi nelle elezioni europee del nuovo nazionalismo: il nazionalismo degli impauriti. Che si pretendono superiori ai diversi da loro, come da tradizione, ma non aspirano più ad assoggettare nazioni, non perseguono destini manifesti, non si vedono al centro della Storia e anzi, vorrebbero uscirne.
Che la Storia si dimentichi di noi, che non ci coinvolga, non ci rifili responsabilità di sorta. Che Putin si prenda quel che vuole, che Netanyahu maciulli “islamici” anche bambini, che i migranti affoghino lontano dalle nostre spiagge. Noi first, al diavolo il mondo, al diavolo le élite, al diavolo l’Europa! Però, sia chiaro, non detestiamo gli ebrei, purché israeliani e in guerra con gli arabi.
Confusione e smarrimento
Opporre a questi (non più sacri) egoismi la memoria del passato ha aiutato la Francia a tenere a bada il Rassemblement national ma non ha impedito che quello diventasse il primo partito anche tra i giovani; nella fascia d’età sotto i 24 anni sono cresciute quasi tutte le destre radicali, dalla Germania all’Austria, alla Danimarca.
Anche in Italia comincia a essere difficile evocare l’Ur-fascismo quando gli esempi sono le esternazioni di babbei cui scatta il braccio teso come allo scienziato nazi impersonato da Peter Sellers nel film Il dottor Stranamore.
Per ridare senso all’antifascismo sarebbe più produttivo costruire un sistema di idee nuove, trascinanti: ma pare vano attenderle dai governi europei e rischioso restare appiattiti su Washington.
L’Europa è ancora capace di produrre pensiero politico: però all’interno di circuiti che con rare eccezioni non intersecano più i media e le nomenklature dei partiti.
La conseguenza è confusione e smarrimento. Tra gli otto gruppi presenti nel parlamento europeo alcuni sono congerie di politiche tra loro incongrue (Renew, per esempio, riunisce dirigisti e liberisti, liberal e alleati di razzisti); altri rappresentano somme di partiti a loro volta “plurali” le cui leadership devono scansare posizioni nitide su questioni dirimenti, pena scissioni. Spezzoni di ideologie ufficialmente defunte fanno capolino dentro curiosi miscugli.
Un giornalista tra i più apprezzati della nostra stampa moderata collabora con Arutz sheva, sito israeliano caro ai coloni, dove scrive testualmente che i 1.400 milioni di arabi sono “selvaggi” e non è possibile civilizzarli. Sia pure con qualche cautela mimetica il giornalista propone la stessa tesi ai suoi lettori italiani, senza che alcuno di loro colga assonanze con l’atavismo lombrosiano o con l’equivalenza tra razza e “civiltà” proposta dal Manifesto degli scienziati razzisti (1938).
Edulcorare è scansare
Infine in Italia contribuisce alla vaghezza del discorso pubblico una certa timidezza intellettuale, per la quale pare troppo rischioso aggiornare convinzioni e strumenti concettuali.
Dopo anglosassoni e francesi anche l’Unione europea ha colpito i capi dei coloni del West Bank con sanzioni, una misura equivalente a dichiarare che Israele non è una democrazia liberale (altrimenti avrebbe punito quei tagliagole). Ma questo non impedisce che Israele risulti tuttora «l’unica democrazia del Medio Oriente», certezza che unifica un’area estesa dall’estrema destra al gruppo Sinistra per Israele, ex renziani del Pd.
Per fare tornare i conti si evita come la peste l’idea che nel West Bank sia in vigore un regime di apartheid, formula condannata come stupida e antisemita benché sia utilizzata dai titolisti di Haretz, autorevole quotidiano israeliano (esempio: «I palestinesi di Hebron rimpiangono l’Apartheid quale era prima della guerra di Gaza», perché adesso è più feroce di prima).
Oppure: talvolta i più audaci insistono sulla necessità di una «autonomia strategica» dell’Europa dagli Stati Uniti, ma appena aggiungono che va costruita un’industria bellica europea non più dipendente dal complesso militare-industriale Usa, i primi a protestare sono proprio i più anti-americani.
Per tutto questo non sorprende che quando in Italia i partiti parlano di Gaza o di Ucraina si ascoltino appassionate perorazioni (pace!) e molto sdegno selettivo (per i bombardamenti terroristici di Putin ma non per i bombardamenti israeliani, e viceversa), raramente progetti e idee.
Per evitarsi imbarazzi si tende a spostare il dibattito su questioni laterali. Acri dibattiti sull’uso e l’abuso della parola genocidio, scarso interesse per i fatti che hanno spinto la Corte di giustizia internazionale a ipotizzare che a Gaza vengano commessi «acts of genocide».
Chi indaga, in questo caso il tedesco Spiegel, approda al sospetto che l’aviazione israeliana abbia bombardato più volte in un giorno e senza preavviso un palazzone di Gaza city (129 civili uccisi) perché all’inizio della guerra era sua politica colpire edifici residenziali del ceto medio-alto, banche e uffici amministrativi privi di qualsiasi funzione militare. Il futuro porterà chiarezza. Anche sul numero dei morti. Secondo il britannico Lancet in nove mesi di guerra e di assedio il governo Netanyahu ha fatto fuori fino all’8 per cento dei gazawi, record mondiale per il secolo in corso.
Il modello di molto opinionismo mainstream lo traccia quella commossa affabulazione sui bambini di Gaza che un quotidiano corredava con l’immagine di una palestinese di quattro o cinque anni accudita da sorridenti soldati israeliani: si era «smarrita», precisava la didascalia. Avesse aggiunto che a Gaza migliaia di bambini “si sono smarriti” perché qualcuno ha sterminato la loro famiglia, sarebbe stato inevitabile chiedersi se non sia urgente reagire. Se per esempio la Ue non debba sospendere l’accordo di cooperazione con Israele, come chiede il lib-lab Raphaël Glucksmann.
Edulcorare è scansare: dubbi, dilemmi. Spacciare il raid di Hamas per azione di una guerra anti-coloniale, come tale chissà perché legittima a priori, aiuta a ignorarne la giudeofobia omicida. Al più la si addebiterà all’islamismo, omettendo che parteciparono anche miliziani di organizzazioni “laiche” come Fatah, Fplp e Fdlp (lo attesta Human Rights Watch), circostanza in teoria sufficiente perché la Ue pretenda dall’Olp una leadership decente e una stretta collaborazione con la Corte penale internazionale. Non è solo Netanyahu che deve rispondere di crimini contro l’umanità.
La nostra attitudine a correggere la realtà perché non disturbi, non smentisca l’ideologia, non costringa a riflessioni sgradite, non ci aiuterà ad affrontare la temperie futura. Siamo al centro del Mediterraneo, a due passi dai Balcani, periferici in un’Europa a sua volta periferica. Aiuterebbe un po’ di sana angoscia, se ci scrollasse dalla nostra inerzia e producesse domanda di pensiero innovativo, magari perfino qualche proposta.
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