Gli strateghi Nato sognavano una guerra di aerei e tecnologie avanzate, ma la realtà dell’Ucraina è più simile alle grandi battaglie di artiglieria della prima metà del Novecento. Senza l’invio di nuove munizioni, il rischio è di uno stallo sanguinoso in cui, al posto dei proiettili, i generali spenderanno le vite dei loro soldati
«Ho bisogno di munizioni, non di un passaggio». Le parole che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avrebbe rivolto agli americani che gli offrivano l’evacuazione da Kiev nelle prime ore dell’invasione sono diventate una delle frasi simbolo dello spirito di resistenza ucraina. Un elemento della mitologia del conflitto come la risposta che i difensori dell’Isola dei Serpenti avrebbero rivolto all’incrociatore Moskwa che gli chiedeva di arrendersi: «Nave russa: vai a fare in culo».
Se la storia dei difensori dell’isola è stata in qualche modo ridimensionata – si sono arresi e sono stati rimandati in Ucraina in seguito a uno scambio di prigionieri – le parole di Zelensky la sera del 24 febbraio invece hanno assunto un significato letterale.
Con il conflitto che si è trasformato in una estenuante guerra di posizione, l’Ucraina ha un disperato bisogno di munizioni di artiglieria se vuole riconquistare i territori perduti e convincere gli alleati che continuare a sostenerla è un buon investimento. Ma quegli stessi alleati sono stati colti di sorpresa da quanto la vecchia artiglieria sia diventata centrale nel conflitto.
Adesso le loro riserve di munizioni sono in esaurimento e aumentare la produzione per soddisfare la fame di proiettili degli artiglieri ucraini pone una lunga serie di problemi economici, strategici e morali.
Eserciti di artiglieria
Decenni di film d’azione e di guerra hanno creato un’immagine falsa dei campi di battaglia dell’ultimo secolo. Al cinema, eroi ed antagonisti combattono a distanza ravvicinata, praticamente guardandosi negli occhi. Nella realtà, non è l’abilità del singolo soldato con il suo fucile a fare la differenza, ma la quantità di alto esplosivo che si riesce a lanciare sul nemico ben oltre il proprio campo visivo.
«Ti trovi sulla linea del fronte, il nemico sta venendo verso di te, ma non hai nulla con cui sparargli», ha detto un ufficiale ucraino, nome in codice Kupol, al Washington Post, parlando della grave mancanza di munizione che affligge l’artiglieria ucraina (Kupol è stato successivamente rimosso dal suo incarico).
L’importanza dell’artigliere è un elemento costante nei racconti dei militari, nei comunicati stampa degli eserciti e nelle analisi degli studiosi. Anche le famigerate “ondate umane” che i mercenari Wagner avrebbero lanciato contro gli ucraini a Bakhmut, non sono in realtà altro che brutali tattiche per aiutare l’artiglieria a individuare i propri bersagli.
«Tutto inizia intorno alle 18, quando comincia a fare buio. Gruppi di soldati [del gruppo Wagner] privi di esperienza vengono mandati di fronte alle nostre armi e restano lì per alcuni minuti», ha raccontato ad Afp un soldato dal nome in codice “Polyak”. «Il loro compito – aggiunge un maggiore della 53esima brigata – è avanzare verso di noi, costringerci a sparargli addosso e a rivelare le nostre posizioni. A quel punto l’artiglieria ci spara addosso».
Duello vecchio stile
«Dio è dalla parte di chi ha l’artiglieria migliore», diceva Napoleone Bonaparte e sulla carta dovrebbero essere gli ucraini ad avere le armi più potenti. Oltre ai famigerati Himars, gli alleati hanno inviato in Ucraina almeno seicento cannoni di fabbricazione Nato, decine di semoventi in grado di sparare munizioni guidate dal Gps, radar per controbatteria e hanno fornito agli ucraini tutta la potenza della loro intelligence e dei loro sensori.
Ma senza proiettili anche il cannone più moderno è solo un ingombrante pezzo di ferraglia. E in fatto di munizioni per artiglieria, i russi dominano il conflitto fin dall’inizio dell’invasione. In poco più di un anno hanno sparato circa 5 milioni di proiettili e ne lanciano ancora ogni giorno tra i 20 e i 50 mila.
Gli ucraini hanno praticamente consumato le loro riserve di vecchie munizioni sovietiche e l’intero stock di un milione di proiettili che gli Stati Uniti e l’Unione europea gli hanno già consegnato. Il loro consumo giornaliero oscilla tra i 5 e i 7mila.
Sono numeri che hanno lasciato senza fiato gli osservatori internazionali e senza precedenti nella recente storia della guerra. Durante la prima invasione dell’Iraq, nel 1991, gli Stati Uniti hanno utilizzato 60mila proiettili in un mese e mezzo (una giornata normale, sul fronte ucraino). Nella seconda invasione, nel 2003, appena 34mila. Per trovare un conflitto in cui l’artiglieria era usata così intensamente bisogna tornare indietro agli anni ‘50 e alla guerra di Corea, quando i colpi sparati ogni mese si contavano in milioni.
La Nato è stata colta del tutto impreparata dalla domanda di munizioni del conflitto ucraino e dall’importanza dell’artiglieria sul campo di battaglia. Gli alleati sono alla frenetica ricerca di scorte di munizioni e modi per incrementare la produzione, ma non è un compito semplice.
Nel 1951, gli Stati Uniti avevano 86 stabilimenti per la produzione di munizioni. Oggi ne sono rimasti cinque, di cui uno soltanto produce i proiettili di artiglieria del calibro standard Nato, il famoso 155millimetri. Situato in Pennsylvania, i suoi 300 operai sfornano ogni mese 11mila proiettili, poco più di quanti gli ucraini ne utilizzano in un giorno.
L’Unione europea è messa ancora peggio. Secondo una stima del governo estone, la sua capacità è di 230mila proiettili l’anno. Gli ucraini ne chiedono 250mila al mese.
«Catastrofica mancanza»
Non è una sorpresa che i paesi Nato abbiano così poco capacità di produrre proiettili di artiglieria. «Pensavamo che le guerre del futuro sarebbero state guerre ad alta tecnologia. Ci sbagliavamo. Le guerre sono ancora dominate dall’artiglieria pesante», ha riconosciuto il ministro della Difesa estone, in questi giorni impegnato in un’azione di lobbying per trovare nuove munizioni da inviare in ucraina.
I generali e i politici Nato erano convinti che l’epoca del cannone fosse ormai superata e che i conflitti sarebbero stati dominati da jet ad alta tecnologia per compiere attacchi chirurgici contro i bersagli chiave del nemico. Ma quello tra ucraini e russi è il primo conflitto di grandi dimensioni in cui i contendenti sono dotati di moderne difese antiaeree, in grado di impedire al nemico la conquista della supremaziona aerea.
Senza jet supersonici che sfrecciano impunemente i cieli, il ruolo di vincere le battaglie è tornato alla vecchia artiglieria. Ma senza munizioni per i suoi cannoni, l’esercito ucraino è come un pugile spompato.
Pochi giorni fa, un comandante ucraino impegnato a Bakhmut ha scritto su Facebook che al momento è in corso una «catastrofica mancanza di proiettili» e racconta un episodio in cui non gli è stato possibile eliminare un carro armato russo già danneggiato utilizzando l’artiglieria perché giudicato «troppo costoso». Un altro militare adetto a un mortaio ha detto che la sua unità ha a disposizione meno di due proiettili al giorno.
L’industria della guerra
Già l’estate scorsa durante le prime riunioni alla base aerea di Ramstein in Germania, gli alleati dell’Ucraina avevano concordato sulla priorità di rinforzare l’artiglieria ucraina. I magazzini di mezzo mondo sono stati setacciati alla ricerca di proiettili del calibro utilizzato dalla vecchia artiglieria sovietica, mentre ulteriori sforzi sono stati fatti per inviare in Ucraina cannoni del calibro standard utilizzato dai paesi Nato.
Il problema più acuto, ora, è quello delle munizioni. Gli Stati Uniti puntano ad alzare la loro produzione a 90mila proiettili al mese entro il 2025 e nel frattempo saccheggiano i loro magazzini e firmano contratti con produttori in tutto il mondo, dal Canada a Israele.
L’Unione europea e le sue industrie per il momento esitano. Dopo un anno di guerra, nessun contratto è stato ancora firmato, dicono gli operatori dell’industria. «Ho bisogno di ordini, senza ordini non posso produrre niente», ha detto Armin Papperger, amministratore delegato del gigante degli armamenti tedesco Rheinmetall.
Ma anche l’industria delle armi non sembra essere del tutto convinta che aumentare radicalmente la produzione sia la soluzione. La guerra infatti potrebbe rivelarsi troppo breve. «Penso che ci sia il rischio che parecchie aziende vadano in bancarotta. Se aumenti in modo massiccio la produzione, assumi personale, acquisti materie prime e poi, nel giro di un paio di anni, la domanda precipita, che cosa pensi di fare?», ha detto un rappresentate del settore all’agenza tedesca Dw.
Una parziale soluzione dovrebbe arrivare il prossimo 23 marzo, quando al Consiglio Ue la Commissione avanzerà la proposta di utilizzare fino a 2 miliardi di euro per un programma congiunto di acquisto di nuovi proiettili.
Da un lato il programma aiuterà quei paesi che decideranno di cedere all’Ucraina le loro riserve di munizioni, dall’altro ha l’obiettivo ambizioso di creare un meccanismo a medio termine per l’acquisto comune di proiettili d’artiglieria.
Ma questo piano suscita tutta una serie di interrogativi. Può l’Unione europea aggirare i suoi trattati intrisi di pacifismo e convertirsi in una grande fabbrica di munizioni? È moralmente accettabile rischiare di alimentare il conflitto fornendo proiettili, invece che provare ad “affamare la bestia” della guerra?
Anche senza munizioni, o con una dotazione molto ridotta, gli ucraini probabilmente resteranno in grado di difendersi dagli scoordinati attacchi russi, i quali stanno avendo i loro problemi con le scorte e presto potrebbero trovarsi costretti a ridurre molto il loro utilizzo di artiglieria. Ma senza munizioni, per gli ucraini sarà difficile o persino impossibile passare all’attacco. E in ogni caso sarà molto più costoso in termini di vite umane.
Quando i generali non possono spendere munizioni, le vite dei loro soldati sono l’unica alternativa. Il fronte rischia di restare congelato in uno stallo sanguinoso, con il fronte immobile e un bilancio delle perdite che continuerà a restare terrificante.
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