Le tensioni sono culminate quando è stato cacciato il capo della banca centrale del paese Al Siddiq al Kabir. Una decisione presa da Tripoli e rigettata da Haftar che ha deciso di ridurre drasticamente la produzione di greggio nonché il suo export. Nella capitale si stanno riorganizzando le difese
I fragili equilibri politici ed economici della Libia rischiano di saltare. Nell’ultima settimana i centri di potere di est e ovest che governano il paese hanno portato a una destabilizzazione dello status quo che rischia di condurre a un’escalation di violenza come non si vedeva da anni nel paese. Ma come si è arrivati di nuovo a questa situazione?
In Libia al momento ci sono diversi organi legislativi ed esecutivi divisi tra la parte Est e Ovest del paese. A Tripoli c’è un governo di unità nazionale (gun), nato sotto l’egida delle Nazioni unite, guidato dal premier Abdul Hamid Dbeibeh. Il suo mandato è scaduto da circa due anni e la promessa di portare il paese a nuove elezioni non è stata mantenuta. L’Onu ha dato vita anche al Consiglio presidenziale guidato da Mohamed Younis Ahmed al-Menfi.
Nella parte est, invece, con centro di potere a Bengasi c’è il generale Khalifa Haftar che comanda. Al momento è in pessime condizioni di salute e sta cercando di distribuire incarichi di poteri tra i suoi sette figli. Tra questi, spiccano Saddam Haftar a capo della brigata Tariq Ben Zayed e Khalifa Haftar, capo di Stato maggiore delle Forze di sicurezza dell’Enl. A est ci sono anche il governo di stabilità nazionale (gsn) guidato da Osama Hammad e la Camera dei rappresentanti, entrambi di fatto sotto il controllo di Haftar.
La nuova crisi è iniziata da settimane, da quando Saddam Haftar ha annunciato di voler ridurre l’estrazione dal giacimento petrolifero più importante, quello di Sharara. Una mossa adottata in segno di protesta contro le autorità spagnole che stanno indagando su di lui e un possibile traffico di armi diretto alla sua brigata. Perché ridurre il flusso energetico? Perché tra le società che hanno quote nel giacimento di Sharara c’è la spagnola Repsol.
Da quel momento ci sono stati diversi giorni di tensioni con le milizie delle varie fazioni pronte a usare la violenza come negli scontri a fuoco nell’area di Zawiya di fine luglio, a pochi chilometri di distanza dalla capitale. Lo scorso 13 agosto, invece, la Camera dei rappresentanti aveva dichiarato scaduti i mandati del premier Dbeibeh e del Consiglio presidenziale. Disconoscendo, per l’ennesima volta, la legittimità delle loro decisioni.
Le tensioni sono culminate il 26 agosto quando il Consiglio presidenziale con base a Tripoli, ha imposto una nuova guida alla banca centrale del paese cacciando Al Siddiq al Kabir. Al suo posto è stato scelto l’economista Muhammad Abdel Salam Shukri. La decisione però è stata rigettata dalla Camera dei rappresentati e dall’Alto consiglio di stato (il senato libico con sede a ovest), nonché dallo stesso Haftar che ha denunciato atti intimidatori e violenti contro il personale della banca.
Immediatamente da Bengasi è partito l’ordine di bloccare alcuni dei giacimenti più importanti del paese e di fermare l’export di greggio verso l’estero. Perché questa importanza? La Banca centrale è una delle istituzioni contese tra i due centri di potere e il nuovo cda non è favorevole ad Haftar. Tanto che oggi è stato sostituito anche il capo dell’Alto consiglio di stato, che si è opposto al nuovo vertice. «Siamo pienamente consapevoli delle grandi responsabilità che gravano sulle nostre spalle in questa fase critica della storia del nostro paese e ci stiamo impegnando con tutte le nostre forze per salvare l'economia statale, garantire benefici ai cittadini libici e contribuire ad affrontare gli effetti delle crisi», si legge nella nota del nuovo cda dell’istituto finanziario. Ma non sarà facile.
Ripercussioni energetiche
In due giorni il blocco ha fatto calare drasticamente la produzione libica che è scesa di almeno 400mila barili al giorno. Dal 7 agosto l’impianto di Sharara ha diminuito le sue capacità di 300mila barili giornalieri, sommati fanno circa 700mila. Si tratta di oltre la metà rispetto alla produzione media giornaliera di 1.15 milioni di barili. Numeri che non si vedevano dal 2011, quando nel paese insorgeva la guerra civile che ha portato poi all’uccisione del leader libico Muhammar Gheddafi e ha gettato il paese in un conflitto brutale. In un articolo della Reuters si specifica che sono in procinto di chiusura anche i campi petroliferi Sarir, Amal, Nafoora. Non è chiaro per quanto tempo durerà ancora il blocco, anche perché per chiudere e riaprire gli impianti ci vuole del tempo. C’è un alto rischio di un possibile intervento armato da parte di alcune fazioni, dato che il settore energetico è l’entrata chiave del paese e delle milizie.
Sicurezza
Nei giorni scorsi il governo di Tripoli, per mano del ministro dell’Interno Imad Trabelsi si è impossessato delle sede di alcune municipalità. Trabelsi aveva chiesto alle milizie attive nelle varie aree di evacuare gli edifici e di consegnarle al governo centrale, con l’obiettivo di creare un comitato supremo che monitorerà la sicurezza a Tripoli. Una mossa che si legge anche in un’ottica preventiva di difesa da un eventuale attacco. Non è poi molto lontano il gennaio del 2020, quando Haftar attaccò direttamente Tripoli violando il cessate il fuoco. A inizio agosto, infatti il generale ha iniziato a spostare parte delle sue truppe dell’Esercito nazionale libico verso il sud-ovest del paese.
Preoccupazioni
L’attuale scenario ha messo in allerta la comunità internazionale. Il capo del Comando Africa degli Stati Uniti, il generale Michael Langly, e l'Incaricato d'Affari dell'Ambasciata americana, Jeremy Berndt, hanno incontrato nei giorni scorsi Khalifa Haftar. Insieme hanno discusso di sicurezza regionale e di stabilità politica per evitare che il paese sprofondi nuovamente nel caos. La missione delle Nazioni unite in Libia, Unismil, ha esortato tutte le parti a convocare una riunione di emergenza per superare la crisi. Secondo la missione «continuare con azioni unilaterali avrà un costo elevato per il popolo libico», con il rischio di far «precipitare il paese in un collasso finanziario ed economico».
I segnali del tramonto del processo di transizione politica c’erano da mesi. Lo scorso 16 aprile l’ex inviato dello speciale dell’Onu in Libia Abdoulaye Bathily aveva salutato il Consiglio di sicurezza annunciando la fine del suo incarico da quando si è insediato nel paese nord africano nell’agosto del 2022. «Signora Presidente, con un profondo senso di delusione, è sconfortante vedere individui in posizioni di potere mettere i propri interessi personali al di sopra delle esigenze del proprio paese», aveva detto nel suo discorso di addio.
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