Con Zelensky il presidente americano ha usato un metodo di potere simile a dittatori come Stalin e Mao. Le sue intimidazioni hanno già inibito il Gop e i media. Il rischio è che la pressione arrivi presto sui tribunali
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha interpretato un’altra pagina del copione delle strategie autoritarie. Il suo attacco verbale al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, avvenuto nello studio ovale di fronte a giornalisti armati di telecamera, è il tipico rituale di umiliazione che gli autocrati hanno a lungo utilizzato per innalzare e divertire sé stessi, intimidendo tutti gli altri.
Metodo stalinista
Uno dei più famigerati dittatori della storia, Iosif Stalin, si dedicava regolarmente a screditare il mio bisnonno, Nikita Krusciov, e i suoi colleghi del Politburo. Come Krusciov raccontò molto tempo dopo, una volta Stalin lo costrinse a ballare il gopak, una danza popolare ucraina, davanti ad alcuni funzionari di alto rango del partito. «Dovevo calciare i talloni in posizione accovacciata, il che sinceramente non era proprio facile per me», ha ricordato.
«Ma quando Stalin dice di ballare, un uomo saggio balla». Nell’orchestrare tali spettacoli, Stalin era sicuramente motivato dal desiderio di mantenere i suoi subordinati in stato di assoggettamento. Ma la sua motivazione non era esclusivamente politica: come ha osservato Krusciov, Stalin trovava “divertente” l’umiliazione altrui.
Come poteva un dittatore megalomane non apprezzare la vista degli uomini più potenti del suo impero mentre si ridicolizzavano volontariamente per compiacere lui, l’unica figura che li sovrastava tutti?
Nemmeno i figli di Stalin venivano risparmiati. Durante l’ultima festa di capodanno della sua vita, uno Stalin ubriaco ordinò alla figlia Svetlana di intrattenere gli ospiti ballando davanti a loro. Krusciov descrisse così la scena: «Stalin le afferrò con la mano un ciuffo di capelli e tirò». Nonostante il suo «viso fosse diventato rosso e gli occhi le si fossero riempiti di lacrime», lui «tirò ancora più forte», trascinandola di nuovo sulla pista da ballo.
L’umiliazione rituale era una specialità anche di Mao Tse-tung. Questi costrinse Zhou Enlai, architetto del comunismo cinese e premier più longevo della Repubblica Popolare, a recitare monologhi di “rettifica” autoironici, che in genere si concludevano con Zhou che lodava sperticatamente la saggezza di Mao, che lui era stato troppo cieco, o troppo corrotto sul piano morale, per cogliere. Ma per quanto Zhou si mettesse in ridicolo, per Mao non era mai abbastanza, e alla fine gli negò addirittura le cure per il cancro.
Un despota dilettante
Certo, Trump non è Stalin o Mao, che erano dittatori con intenti feroci e seri, decisi a trascinare con la forza i loro paesi al vertice del potere mondiale. (L’altro grande dittatore del ventesimo secolo, Adolf Hitler, riservava la propria crudeltà a coloro che la sua ideologia razzista considerava inferiori, mentre spesso fungeva da consulente matrimoniale per l’élite nazista – arrivando persino a fare da testimone alle nozze di Joseph Goebbels, il suo famoso capo della propaganda).
Trump andrebbe considerato come un despota dilettante, l’imperatore romano dei reality. Davvero sorprende che l’uomo che concludeva ogni episodio di The Apprentice con un licenziamento rituale possa orchestrare spettacoli degradanti nello studio ovale? Dopo aver redarguito pubblicamente Zelensky, il leader di un paese alleato degli Stati Uniti e in guerra, Trump stesso ha detto che l’episodio avrebbe fatto «grande televisione».
Zelensky non è l’unico leader mondiale che Trump ha sminuito pubblicamente. Un altro bersaglio recente delle sue prese in giro è stato il primo ministro canadese uscente Justin Trudeau, che ha chiamato «governatore» del «grande stato del Canada». Il successore di Trudeau, Mark Carney, appena riconfermato, dovrebbe prepararsi ad affrontare uno scherno simile, che con Trump sembra essere diventato un nuovo strumento della diplomazia statunitense.
Trumpvs ZelenskyNemici e amici
Com’era prevedibile, Trump ha rivolto svariate cattiverie anche contro i suoi avversari e detrattori negli Stati Uniti, esibendosi in imitazioni offensive e lanciando insulti goliardici. Sembra che il suo divertimento si limiti a poco più che inventare soprannomi da confraternita studentesca: “Sleepy Joe” per l’ex presidente Joe Biden, “Camerata Kamala” per l’ex vicepresidente Kamala Harris, “Ron DeSanctimonious” per il suo rivale alle primarie repubblicane, il governatore della Florida Ron DeSantis.
Tuttavia, come Stalin e Mao, anche Trump si diletta a sminuire i suoi colleghi più stretti. La sua prima riunione di gabinetto dell’anno è stata una fiera della piaggeria cui hanno partecipato alcuni degli uomini più potenti al mondo (e sono quasi tutti uomini, anche se il procuratore generale Pam Bondi è altrettanto brava come leccapiedi).
Nel frattempo, Elon Musk, la persona più ricca del pianeta, apparentemente intenzionato a distinguersi dalla massa, si è posizionato dietro il tavolo indossando una maglietta con la scritta “supporto tecnico” e si è limitato ad annuire meccanicamente alla saggezza e alla leadership di Trump.
In una successiva riunione di gabinetto, Musk è apparso un po’ più moderato, stavolta indossando un completo, come richiesto da Trump. Tuttavia, gli è stato anche permesso di attaccare il Segretario di Stato Marco Rubio per non aver licenziato abbastanza personale, insinuando che tutto ciò che Rubio ha da offrire è «fare bella figura in tv».
Nessuno vuole essere sminuito davanti ai propri colleghi, men che meno davanti alle telecamere, a poche settimane dall’inizio del suo incarico, soprattutto da chi tanto per cominciare non è dell’ambiente. Ma se i repubblicani hanno dimostrato qualcosa, è il fatto di essere pronti a ingoiare qualsiasi rospo pur di tenersi buono Trump.
Lo adulano, piegano la testa e rimangono in silenzio, a prescindere da quanto siano capricciosi e distruttivi i suoi piani. I repubblicani al Congresso esultano mentre il presidente rinuncia a ciò che prima difendevano, dall’apertura economica fino al sostegno alla Nato e al finanziamento della scienza di base.
La reazione dei media
Anche gran parte dei media statunitensi è stata portata alla sottomissione. Jeff Bezos, il secondo uomo più ricco del mondo (o il terzo, a seconda dell’andamento del mercato azionario), ha distrutto la reputazione del Washington Post, testata di sua proprietà, annunciando che la pagina editoriale sarebbe di fatto diventata un portavoce del Maga. D’altro canto, Abc News si è umiliata attraverso i suoi avvocati, patteggiando una causa per diffamazione che avrebbe quasi certamente vinto.
Con le azioni del presidente soggette a un maggior controllo giudiziario, i tribunali non potranno che avvertire la pressione intimidatoria di Trump. Ma se perfino la magistratura dovesse cedere, la democrazia statunitense rischierebbe di fare la stessa fine.
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