I consiglieri continuano a eludere il problema, ma anche due senatori chiave si uniscono al coro. Lo sproloquio delirante di Trump a Milwaukee è la cosa migliore successa alla sinistra di recente
C’è un’apertura ma non la certezza. La rinuncia alla ricandidatura da parte del presidente Joe Biden è questione di tempo, ma dalle parti del suo staff continuano a minimizzare: la responsabile della campagna elettorale, Jen O’Malley Dillon, ha dichiarato al programma Morning Joe che il presidente intende rimanere fino alla sua rielezione. Quindi, a suo dire, nessuno spostamento.
Secondo altri retroscena invece, lo stato d’animo del presidente è diviso. Andiamo con ordine: bisogna dire intanto che l’inquilino della Casa Bianca nella giornata di venerdì risulta ancora in isolamento nella sua casa di Rehobot Beach, in Delaware. Il suo stato d’animo è secondo il retroscena del Washington Post «riflessivo» e sempre più possibilista sull’abbraccio all’inevitabile.
Una ricostruzione del network tv trumpiano Newsmax avrebbe addirittura affermato che la decisione ormai era presa, tanto che lo storico dei presidenti americani Jon Meacham era stato incaricato di scrivere il discorso di addio, ipotesi poi smentita dallo stesso studioso. Il dubbio sarebbe anche penetrato nelle fila dei familiari, che starebbe cercando di gestire l’uscita di scena in modo da garantire la sua eredità politica e riconoscerne la grandezza.
Un altro leak di Nbc News invece ci parla di un presidente furioso che si sente tradito dai suoi alleati, che una fonte anonima descrive come particolarmente arrabbiato nei confronti dell’ex presidente Barack Obama, della ex Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi e del leader dem al Senato Chuck Schumer, gli stessi, riferisce la stessa voce, che avrebbero favorito la corsa di Hillary nel 2015. Si erano sbagliati allora come adesso, la conclusione.
Eppure, se qualche alleato ancora rimane al presidente (ad esempio Alxeandria Ocasio-Cortez), non si ferma l’emorragia dei consensi tra gli esponenti del partito. Prima il rappresentante Sean Casten dell’Illinois ha chiesto il ritiro del presidente con un editoriale sul quotidiano Chicago Tribune, mentre nelle ultime ore un gruppo eterogeneo composto dai deputati Jared Huffman della California, Mark Veasey del Texas, Jesus Garcia dell’Illinois e Mark Pocan del Wisconsin ha diffuso un comunicato stampa che invita Biden a «passare la torcia» e a «cambiare l’intera dinamica della sfida elettorale».
Huffmann e Pocan fanno parte del caucus progressista, mentre Veasey fa parte del Black Caucus e Garcia del raggruppamento ispanico. Una rappresentanza quindi di tutte le anime del partito.
A unirsi a queste voci sono stati anche due senatori che corrono per essere rieletti a novembre: Martin Heinrich del New Mexico e Jon Tester del Montana. Quest’ultimo in particolare ha davanti a sé una sfida particolarmente impegnativa, dato che nel suo stato Trump nel 2020 ha trionfato con 15 punti di distacco. Quindi la sua unica chance è quella di apparire il più possibile lontano da una figura impopolare come quella dell’attuale presidente.
Scenario incerto
Ma la partita è tutt’altro che chiusa. Nonostante il boom di popolarità acquisito dal suo avversario Donald Trump in seguito al suo tentato omicidio, i numeri restituiscono uno scenario quantomai incerto.
Anche perché l’ex presidente ha concluso in modo bizzarro la convention repubblicana di Milwaukee con un discorso diviso in due parti: se i primi 28 minuti hanno mostrato un Trump con l’orecchio ferito, riflessivo e intento a raccontare quanto accaduto a Butler, Pennsylvania, ma solo una volta «perché troppo doloroso», affermando che «non sarebbe dovuto essere lì» e che è stato salvato «da un intervento di Dio Onnipotente» prima di rendere un commosso omaggio alla memoria di Corey Comperatore, il pompiere in pensione assassinato durante la sparatoria.
Dopo questo però, Trump ha abbandonato il discorso scritto per tornare alle solite tirate, che comprendevano grandi classici dei suoi comizi, come le «elezioni rubate nel 2020» e «l’invasione di migranti», passando per l’elogio del primo ministro ungherese Viktor Orban, definito un «tipo tosto» fino all’incredibile ricordo del «bell’incontro» con Kim Jong-Un, andato bene perché «ha tante testate nucleari».
Il discorso preparato poi, evitava di nominare l’avversario Joe Biden: andando a braccio il tycoon ha detto in modo tranchant che «i peggiori dieci presidente messi insieme non hanno fatto i danni fatti da lui». La dichiarazione più sorprendente però è stata quella riguardante lo stato di El Salvador, dove ha detto, falsamente, che i delitti sono scesi del 70 per cento perché «mandano qui i loro assassini» e che quindi «accadranno cose terribili».
Se nel passaggio precedente l’attacco al Venezuela è abbastanza scontato, nel caso del piccolo Paese centramericano c’è un presidente come Nayib Bukele, ammiratore di Trump e dalle idee vicine alla destra populista, tanto che lo stesso ex presidente lo scorso mese di giugno ha partecipato alla sua inaugurazione.
Un bisticcio notevole che, se fosse stato pronunciato da Joe Biden, avrebbe alzato grandi polveroni da parte repubblicana. Come a ricordare che tutto sommato Trump resta un candidato decisamente battibile e con molti difetti e che spiega perché prima del dibattito del 27 giugno lo staff presidenziale fosse relativamente tranquillo. Ora però l’attuale inquilino della Casa Bianca deve decidersi, se vuole riaprire la partita per i democratici.
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