La storia politica della candidata dem ci offre almeno due tracce per capire in che direzione potrebbe andare sul clima: la sua esperienza da procuratrice generale della California e la breve campagna perdente nelle primarie democratiche per le elezioni del 2020
Saranno questi cento giorni di campagna elettorale a definire le proposte sul clima di Kamala Harris e quale posto avranno tra le priorità di una sua eventuale presidenza degli Stati Uniti.
La sua storia politica però ci offre almeno due tracce per capire in che direzione potrebbe andare: la sua esperienza da procuratrice generale della California e la breve campagna, perdente, nelle primarie democratiche per le elezioni del 2020.
La differenza con un’amministrazione Trump sarebbe ovviamente abissale. Per il candidato repubblicano il cambiamento climatico è una bufala, la decarbonizzazione sarebbe la fine dell'economia americana e l'unico mandato all'industria petrolifera sarebbe drill, baby, drill, continuare a estrarre fino all'ultima goccia. Sembrano però evidenti le differenze di impostazione anche rispetto al lavoro sul clima da presidente di Joe Biden, che è stato allo stesso tempo imponente e limitato.
Le politiche di Biden
Con l'Inflation Reduction Act, Biden ha riversato un'enorme quantità di fondi pubblici, 370 miliardi di dollari, sulla scommessa che le industrie delle rinnovabili, delle batterie e dell'auto elettrica avrebbero da sole la capacità di vincere la sfida contro i combustibili fossili, per far raggiungere agli Stati Uniti i loro obiettivi climatici: tagliare le emissioni della metà entro la fine del decennio.
Con il ritmo attuale, secondo il centro studi Rhodium è più probabile che si arrivi a quel risultato entro il 2035. Da presidente, però, Biden si è dimostrato meno propenso a limitare in modo diretto l'espansione dell'industria di petrolio e gas.
In questo momento gli Stati Uniti sono ancora il primo produttore al mondo di entrambe queste fonti fossili, davanti all'Arabia Saudita (per il petrolio) e alla Russia (per il gas). Biden non ha mai avuto la forza né la capacità di andare allo scontro, e ha approvato espansioni come il controverso giacimento Willow, in Alaska.
Approccio muscolare
Kamala Harris si è dimostrata predisposta a un approccio più muscolare, che non affidi solo all'inerzia del mercato e al pompaggio di fondi pubblici la riduzione delle emissioni. Insomma sul clima, Harris è percepita più radicale e ambiziosa di Biden, infatti ha già avuto l'appoggio pieno di diversi gruppi ambientalisti rilevanti negli Stati Uniti, come la League of Conservation Voters, il Sierra Club, il Clean Energy for American Action.
Durante le primarie 2020, Harris era tra i candidati che si erano schierati a favore di un bando al fracking, la pratica di fratturazione idraulica delle rocce che ha completamente cambiato la storia dell'energia americana, facendo degli Usa il primo produttore mondiale di petrolio e gas.
Sul tema, ci fu anche uno scontro con l'allora presidente Barack Obama, che verso la fine del suo mandato, nel 2016, aveva dato via libera a un piano di fracking nell'oceano Pacifico, nel delicato ecosistema del canale di Santa Barbara.
L'amministrazione Obama aveva stabilito che quell'operazione non avrebbe avuto un impatto significativo né sull'ambiente locale, né sul clima. All'epoca Harris era ancora procuratrice della California e aveva fatto causa all'amministrazione Obama per fermare quei permessi di estrazione.
Un giudice federale ha dato ragione alla California e ha imposto uno stop a tutte le nuove operazioni di fracking offshore nel Pacifico. ExxonMobil e l'American Petroleum Institute sono arrivati fino alla Corte Suprema, per contestare quella decisione partita dall'ufficio di Harris, ma sono stati sconfitti, e il bando è ancora oggi in vigore.
È un esempio non irrilevante del fatto che Harris potrebbe completare la seconda parte del lavoro iniziato da Biden: il presidente ha avviato la macchina della reindustrializzazione verde, Harris potrebbe frenare le resistenze dell'industria fossile, che in questo momento è più agguerrita che mai nel difendere profitti e rendite di posizione (e sta puntando tutte le sue carte sulla vittoria di Trump).
Contro le compagnie petrolifere
«Sono orgogliosa di essere una combattente e di aver preso di mira le grandi compagnie petrolifere e i loro potenti interessi», aveva detto Harris nel 2019 in un incontro pubblico organizzato dalla Cnn.
«Per me non è più una questione di mettere in discussione la scienza. L'azione per il clima è una questione di avere il coraggio di attaccare interessi potenti, andare contro gli inquinatori e i loro profitti». Harris era stata anche tra i primi sostenitori del piano Green New Deal, l'ambiziosissima proposta climatica della sinistra dem che poi, in una versione molto smorzata, è diventata il piano e il lavoro di Biden.
Sempre in quelle primarie, Harris si era impegnata a mettere sul piatto 10mila miliardi di dollari per la transizione. Da vicepresidente, non ha quasi mai avuto modo di occuparsi di clima, quello è stato il terreno di Biden, e dei suoi uomini (Regan all'Environmental Protection Agency, Kerry alla diplomazia climatica), quindi quel profilo ambientalista si è perso negli anni e va ricostruito.
Dalla sua, Harris ha anche il fatto che da procuratrice generale aveva più volte citato in giudizio le compagnie petrolifere. Era ovviamente parte del suo ruolo istituzionale, ma Harris non ha risparmiato colpi e non deve essere considerata un'alleata nei consigli di amministrazione del mondo oil&gas.
Negli anni ha fatto causa a Chevron, a BP, a ConocoPhillips, spesso ha vinto, in totale ha ottenuto 50 milioni di dollari in risarcimenti danni, che erano per casi di inquinamento locale causato quasi sempre da infrastrutture fatiscenti e non per la questione climatica in generale.
Nel corso del suo mandato da procuratrice, Harris aveva anche iniziato un'indagine contro il negazionismo di Exxon, che aveva scoperto in anticipo il riscaldamento globale e aveva fatto di tutto per coprire la notizia.
In quel caso, non si è arrivati a un'incriminazione, perché nel frattempo Harris era stata eletta al Senato e il suo successore aveva deciso di lasciar perdere. Durante l'ultima Cop28 a Dubai, Harris è intervenuta dicendo: «L'urgenza del momento è chiara, l'orologio non sta semplicemente scandendo il tempo, lo sta urlando. E noi dobbiamo recuperare il tempo perduto».
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