Attacco terroristico a Haifa: un morto e quattro feriti. L’attentatore è un ventenne druso di cittadinanza israeliana. Ed è ancora muro contro muro tra Israele e Hamas sull’inizio della fase due dell'accordo di tregua: per fare pressione fermato l'ingresso di merci a Gaza
Sul volo che solca i cieli sopra Tel Aviv planando verso l’aeroporto Ben Gurion si respira un’atmosfera di relativa calma: per gli israeliani quella appena iniziata è la prima settimana dall’inizio della guerra in cui i due principali fronti, a nord e a sud, perlopiù tacciono, e al contempo non sono in corso snervanti scambi di prigionieri con Gaza. Le compagnie low cost tornano ad incrementare il numero di voli per lo stato ebraico e alleviano la sensazione di isolamento divenuta soffocante durante le peggiori fasi del conflitto.
Fra i passeggeri c’è chi riserva parole dolci per il piano di Trump per Gaza («sarebbe bello, ma certo è difficile, sono due milioni di persone…») ma anche chi festeggia il trionfo agli Oscar di No Other Land, il documentario critico dell’occupazione israeliana nella Cisgiordania («Bene, così nel mondo lo guarderanno in tanti»). I più, tuttavia, riguardano le foto delle vacanze che gli hanno regalato una boccate d’ ossigeno fuori dal Paese.
Spintoni alla Knesset
All’atterraggio però il conflitto ci mette poco a ritornare ad essere una presenza palpabile. I telefonini si illuminano con le notifiche su un attacco a Haifa, con un morto e quattro feriti.
L’attentatore è un ventenne druso con la cittadinanza israeliana. E arriva la notizia di percosse e spintoni fra familiari di vittime di guerra e forze di sicurezza alla Knesset, il parlamento israeliano.
Ai due lati della discesa a piedi verso il controllo passaporti rimangono le foto e i poster dedicati agli ostaggi di Gaza, compresa una bandiera di Batman simbolo dei fratellini Bibas. Gli adesivi coi volti delle vittime ricoprono gli uffici dei controlli doganali e le stazioni ferroviarie. Nella zona di Kaplan e della Kyrià, la sede strategica delle forze di difesa, si vedono i segni delle proteste, come gli sticker “7 ottobre, la Shoah di Netanyahu”. E le manate di vernice rossa sul pavimento ad accusarlo di avere le mani sporche di sangue.
Lo scontro fra Netanyahu e i sostenitori del rilascio degli ostaggi, cioè chi sostiene li abbia messi in secondo piano, dura praticamente dall’inizio della guerra. Ma quello della rissa di lunedì alla Knesset è uno degli episodi più gravi. Il padre di una vittima è svenuto durante gli scontri e poi ha dichiarato: «Sul pavimento? È quello il nostro posto?».
Le guardie non volevano consentire ai membri di un’associazione di parenti delle vittime, ostili a Netanyahu, di assistere a una seduta con lo stesso premier e altri deputati. La sessione riguardava l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui fallimenti degli apparati statali e di sicurezza il 7 ottobre 2023. Alla fine i familiari hanno ottenuto l’accesso e incassato le scuse del presidente della camera, Amir Ohana.
Nel suo discorso Bibi, interrotto dai contestatori, ha dichiarato di rifiutare «un comitato le cui conclusioni sono già predeterminate e sono state scritte, tutte concentrate a un’estremità dello spettro politico». Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha detto: «Il più grande disastro che è accaduto al popolo ebraico dopo l’Olocausto appartiene a te. Apparterrà per sempre a te».
Netanyahu ha anche colto l’occasione per tornare a parlare della guerra e delle trattative con Hamas per la continuazione della tregua. «Non ci fermeremo finché non avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi di vittoria: il ritorno di tutti i nostri ostaggi; la distruzione del potere militare e governativo di Hamas; e la garanzia che Gaza non rappresenterà più una minaccia per Israele», ha detto.
Incognita sulla tregua
La prima fase dell’accordo per il cessate il fuoco fra Israele e Hamas è scaduta sabato mentre l’orizzonte di una possibile fase due rimane un’incognita. Secondo lo schema di massima concordato fra le due parti lo scorso gennaio il secondo capitolo dell’intesa avrebbe dovuto prevedere il ritiro israeliano da Gaza e la fine della guerra.
Ma ora il governo di Netanyahu ha fatto marcia indietro e vuole rimodularne la prosecuzione in termini più simili alla fase uno, continuando la liberazione degli ostaggi senza fare concessioni strategiche significative.
Per fare pressione in questo senso Israele ha dichiarato che non permetterà più l’ingresso di merci a Gaza a causa del rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase. Ha minacciato «ulteriori conseguenze» e persino la ripresa della guerra. Il titolo di Israel Haiom, il quotidiano di destra gratuito che si trova nei bar e nelle stazioni israeliane, recita infatti: «Eccola, la fase due: Niente più acqua o elettricità».
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