- L’Ucraina avanza nella controffensiva e ottiene successi militari sul campo, mentre dall’altra parte le ritorsioni hanno soprattutto l’effetto di diminuire ancora la disponibilità di armamenti.
- Mentre gli alleati si dissociano sempre di più da Mosca, Kiev spera nell’inverno perché, con l’arrivo di nuove truppe, potrebbe riuscire a infliggere altre sconfitte.
- La verità è che Mosca ha gettato in Ucraina tutto l’arsenale a sua disposizione e lo sta esaurendo, combattendo solo contro l’esercito ucraino e venendo respinta su tutti i fronti.
Chi predicava l’inevitabile vittoria russa è rimasto deluso dai successi convenzionali e asimmetrici delle forze ucraine. L’esercito di Kiev, dopo aver ripreso Izium, Kupiansk e Lyman, si appresta ad avanzare nell’oblast di Lugansk, recentemente annesso alla Russia con la farsa dei referendum. Hanno liberato più territorio gli ucraini in una settimana di controffensiva di quanto ne abbiano occupato i russi in cinque mesi. Anche l’avanzata su Kherson non si è fermata, mentre più a est è possibile che gli ucraini tentino di aprire un altro fronte su Melitopol, dove opera la resistenza partigiana, per disarticolare la catena logistica russa dopo l’attacco asimmetrico sul ponte di Kerch.
Restano i dubbi su quale sia stata la causa dell’esplosione, dal camion-bomba al missile, ma è certo che il punto colpito, oltre l’isoletta di Tuzla, non è territorio russo e il ponte è stato costruito illegalmente con la penisola occupata di Crimea. Si tratta di un legittimo obiettivo militare da cui affluivano centinaia di mezzi e rifornimenti.
L’esplosione ha danneggiato una carreggiata stradale ma, quel che è più importante a fini militari, uno dei binari della ferrovia, perché tradizionalmente i russi movimentano su ferro. Hanno privilegiato la rete in Crimea perché la ferrovia che passa per Melitopol è a tiro dell’artiglieria e missilistica ucraina. La reazione rabbiosa di Mosca non si è fatta attendere, con il bombardamento di obiettivi civili a Kiev e in altre città, preludio di una strategia cara al nuovo comandante russo dell’invasione, il generale Sergej Surovikin, già responsabile della mattanza nella guerra civile siriana con uso di armi chimiche e attacchi indiscriminati.
L’arsenale russo sta finendo
La Russia sembra sprecare preziosi e costosi missili contro obiettivi non strategici, solo per seminare panico nella popolazione. L’obiettivo dichiarato a febbraio era quello di smilitarizzare l’Ucraina, ma in realtà Mosca sta smilitarizzando sé stessa.
Secondo l’intelligence militare di Kiev, la Russia dispone ormai del 45 per cento del suo arsenale missilistico. Il ministro della Difesa ucraino ha pubblicato un’infografica per cui i russi hanno usato almeno 272 missili da crociera Kalibr, lanciati da navi e sottomarini, sui circa 500 disponibili nel loro arsenale (la maggior parte dei quali sono stati intercettati). Lo stesso vale per i missili Kh-101 e Kh-555 usati circa al 50 per cento, mentre restano più missili balistici tattici del sistema Iskander, con una gittata fino a 500 chilometri, di cui ne sono stati usati circa 124 su una scorta di 900.
Un rapporto di giugno del Center for European Policy Analysis di Washington analizza nel dettaglio lo stato dell’industria missilistica russa, mettendo in evidenza le gravi carenze di produzione e componenti per rimpiazzare gli arsenali utilizzati.
Da maggio il Cremlino ha aumentato il ritmo di produzione in due fabbriche nella regione degli Urali, per missili Iskander, Buk, Kalibr e Bulava. La prima, dell’azienda Novator, produce circa 100 missili Kalibr all’anno. I turni sono stati aumentati a tre ma mancano ingegneri, meccanici e altri tecnici per garantire il ritmo richiesto.
La seconda fabbrica, di proprietà della Votkinsk, sta cercando 500 nuovi dipendenti per aumentare la produzione di missili per Iskander (circa 60 all’anno). Gli Stati Uniti sono in grado di produrre dalle due alle tre volte più missili di categoria equivalente nello stesso periodo. Tuttavia, l’aumento dei turni, stima il Cepa, non alzerà la produzione più del 20 per cento a causa della carenza di personale qualificato. Si tratta di figure tecniche che vanno formate, ma la mobilitazione sta ulteriormente privando la società di queste figure.
L’effetto delle sanzioni
Il ministero della Difesa russo ha imposto alle aziende obiettivi di produzione. Tuttavia, spesso non hanno le risorse necessarie per raggiungerli. La Tactical Missiles Corporation lavorava a pieno regime durante la guerra in Siria nel 2015 per fabbricare missili da crociera Kh-101, ma al momento produce con meno intensità per la mancanza di componenti fondamentali, limitati dalle sanzioni occidentali.
In particolare, si tratta della componente elettronica che proviene dall’estero. Fino al 2015, il governo russo aveva cercato di sviluppare un programma federale per la produzione di questa tecnologia, ma si è rivelato un fallimento perché il livello e la qualità sono notevolmente più bassi e i costi molto più alti, senza la possibilità di coprire il volume richiesto dall’industria bellica.
Dal 2014, per far fronte alle prime sanzioni dovute all’occupazione della Crimea, il Cremlino ha creato aziende di facciata per comprare componenti elettronici all’estero, che raggiungono l’80 per cento del fabbisogno e spesso includono tecnologia americana o europea. Nel 2019 un altro tentativo è stato fatto con un consorzio di aziende per la produzione di componenti radio-elettroniche entro il 2025, ma gli elementi base arrivano comunque dall’estero e la guerra ha ulteriormente ristretto i canali di approvvigionamento.
L’analisi del Cepa stima che la Russia disponga di materiale sufficiente per una produzione non superiore a un anno. Mosca sta cercando di stabilire triangolazioni con la Cina o altri paesi per assicurarsi il rifornimento a medio termine, ma con scarsi risultati. I sistemi di guida dei missili di precisione richiedono semiconduttori di cui nemmeno Pechino dispone. È per questa ragione che le forze russe si stanno affidando sempre di più a razzi di generazioni superate, meno affidabili e precisi, oltre che ai droni kamikaze iraniani Shaheed-136, chiamati dai russi Geranio-2, che vengono ormai intercettati dalla difesa aerea ucraina all’80-90 per cento e non costituiscono quindi un game changer del conflitto.
Il premier israeliano Yair Lapid ha condannato il bombardamento russo su Kiev e, secondo il New York Times, il suo governo sta fornendo all’Ucraina intelligence sui droni iraniani e immagini satellitari delle truppe di occupazione russe. Inoltre, l’ambasciatore ucraino in Israele ha richiesto il sistema Iron Dome per intercettare gli attacchi russi, ma è costruito per bloccare grossolani razzi palestinesi e iraniani lanciati da Gaza, non missili balistici da crociera. Nonostante ciò, Tel Aviv ha comunque consegnato migliaia di elmetti, giubbotti antiproiettile e altro equipaggiamento a Kiev.
Un servizio televisivo ha mostrato l’attività di una fabbrica russa che sta modificando carri armati T-62 per la guerra in Ucraina. Si tratta di un carro obsoleto, la cui produzione è iniziata negli anni Sessanta. Ciò significa che i nuovi T-72 e T-80 stanno finendo a causa delle perdite sul campo o perché sono stati catturati, ad esempio nell’offensiva di Izium. La Russia ha perso circa duemila carri dall’inizio dell’invasione.
Le perdite di Mosca
Il sociologo Alessandro Orsini si è avventurato ancora una volta in valutazioni strategiche e militari, sostenendo che: «Questa è una guerra tra la Russia e 31 paesi. La Russia è spaventosamente potente perché è contro i 30 paesi della Nato più l’Ucraina. La Russia non sta usando tutto il suo potenziale, sta combattendo con le mani legate».
La verità è che Mosca ha gettato in Ucraina tutto l’arsenale a sua disposizione e lo sta esaurendo, combattendo solo contro l’esercito ucraino e venendo respinta su tutti i fronti. Se la Russia ingaggiasse davvero le forze Nato in un conflitto convenzionale, sarebbe sconfitta in poche settimane.
Per quanto concerne le truppe russe, quasi tutte le stime concordano sul fatto che abbiano sofferto tra morti e feriti irrecuperabili circa 60-80mila perdite, nonostante a settembre il ministro della Difesa Sergej Shoigu avesse riconosciuto meno di seimila morti nei suoi ranghi.
Difficilmente potranno essere rimpiazzati con coscritti inesperti, arruolati a forza nella mobilitazione parziale, che Putin ha già annunciato terminerà a breve. Centinaia di migliaia di russi sono fuggiti dal paese in Georgia, Asia centrale e Paesi Baltici, per sfuggire alla leva, incontrando poca accoglienza in questi paesi, compreso il Kazakistan. Il sito The Insider ha anche rivelato la diserzione di due ufficiali dell’Fsb e del gruppo Wagner, che hanno chiesto asilo politico in Francia e testimoniato sui crimini di guerra russi.
L’Asia Centrale si smarca
Anche a livello internazionale, Mosca è più isolata che mai nella sua ex sfera di influenza. Alle Nazioni unite, ben 143 paesi hanno votato per condannare l'annessione alla Russia dei territori ucraini dopo i referendum farsa. Hanno votato con la Russia solo quattro paesi: Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua e Siria. Nessuno in Asia centrale ha sostenuto la posizione del Cremlino all’assemblea del Palazzo di Vetro.
I segnali di sfaldamento del blocco post-sovietico proseguono da mesi, con vari paesi che guardano sempre di più alla Cina, ma anche alla Turchia e ai partner occidentali. Non fanno parte dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (Csto) né il potente Uzbekistan né la dittatura del Turkmenistan, ma anche altri stanno prendendo le distanze dalla linea di Putin.
Il 9 ottobre il Kirghizistan ha annunciato la cancellazione dell’esercitazione “Fratellanza infrangibile” da svolgersi nel paese, a causa di scontri armati alla frontiera con il Tagikistan, teoricamente alleato della Csto. All’esercitazione dovevano partecipare truppe di Bielorussia, paesi centroasiatici compreso l’Uzbekistan, ma anche Serbia, Siria e Armenia. Secondo il governo kirghiso, l’opinione pubblica interna non avrebbe tollerato la presenza di soldati tagiki. Il presidente Sadır Japarov aveva già deciso di non partecipare a una riunione dei leader della Comunità degli stati indipendenti, altra creatura di Mosca per sostituire la rete sovietica.
Durante il summit “Russia - Asia centrale”, tenutosi pochi giorni fa nella capitale kazaka Astana (che dal 2019 al 2022 aveva assunto il nome Nursultan per il presidente emerito), il dittatore del Tagikistan Emomalī Rahmon ha interpellato Putin davanti a tutti i suoi omologhi, chiedendo di non trattare i paesi dell’Asia centrale come se fossero le vecchie repubbliche dell’Unione sovietica, perché ogni nazione ha i suoi problemi e le sue tradizioni da rispettare. Lo stesso presidente kazako Qasym-Jomart Tokayev, che a gennaio aveva chiesto l’intervento delle truppe della Csto per ristabilire l’ordine dopo violente rivolte popolari, ha preso le distanze da Mosca non riconoscendo l’annessione degli oblast ucraini e aprendo sempre di più alla Cina.
Anche nel Caucaso meridionale, dove l’Armenia subisce ancora una forte influenza russa, si sta sgretolando la compattezza come testimonia l’accordo mediato dal presidente Emmanuel Macron a margine del summit della Comunità politica europea di Praga, a cui hanno partecipato anche i presidenti di Armenia e Azerbaijan, con la promessa di una missione civile dell’Unione europea per fermare l’escalation in Nagorno Karabakh. Conflitto lungi dall’essere risolto, ma si tratta di uno spiraglio di cambiamento, dove prima la Russia esercitava un controllo quasi esclusivo su Yerevan.
L’incognita di Minsk
Ultimamente si sono moltiplicate le voci di una possibile entrata in guerra della Bielorussia al fianco di Mosca. Da febbraio Aleksandr Lukashenko ha fornito assistenza logistica all’invasione ma non ha impegnato le sue truppe, a causa della fragilità del regime e della contrarietà di alcuni generali.
Nel frattempo, Kiev ha minato le zone di confine con la Bielorussia e trincerato le truppe a nord per far fronte a un’eventuale avanzata, che distoglierebbe sicuramente risorse alle altre regioni, ma non costituirebbe una minaccia reale per l’esercito ucraino. L’opposizione in esilio guidata da Sviatlana Tsikhanouskaya sta lavorando per influenzare i vertici militari di Minsk, che non vogliono finire davanti a un tribunale per crimini di guerra. D’altra parte, l’apparato di sicurezza di Lukashenko fa molto affidamento sulla polizia, mentre l’esercito, se messo alle strette, potrebbe opporsi al dittatore e rovesciarlo.
Allo stesso tempo, Zelensky ha rilasciato dichiarazioni per smentire la disinformazione di Lukashenko, secondo cui l’Ucraina pianifica un attacco contro la Bielorussia. Il presidente ucraino ha anche suggerito una missione di osservatori internazionali alla frontiera per monitorare le condizioni di sicurezza.
Una simile attività potrebbe essere gestita dall’Osce, organizzazione di cui fanno parte anche la Bielorussia e la Russia, non lasciando scuse ai due regimi per provocazioni ad arte. Per quanto militarmente scarsa, Minsk rappresenta comunque una spina nel fianco che ha permesso ai russi di calare su Kiev da nord. Vale la pena ricordare che se nel 2020 l’Unione europea avesse agito con più decisione davanti ai brogli elettorali e alla brutale repressione, oggi Putin avrebbe un alleato in meno e non godrebbe di quel vantaggio geopolitico.
L’opposizione bielorussa scelse legittimamente la via della non violenza contro i mastini di Lukashenko, ma il suo regime è ancora in piedi. Mentre a Euromaidan gli ucraini si armarono di scudi, mazze e molotov contro gli spietati Berkut di Viktor Yanukovich, fu versato sangue, ma si liberarono del governo filorusso corrotto.
Forze fresche per Kiev
Con l’avvicinarsi dell’inverno, c’è chi sostiene che la controffensiva ucraina si fermerà. È probabile invece che continuerà perché i difensori conoscono il territorio, la Nato sta fornendo moderno equipaggiamento invernale e rifornimenti di armi pesanti, mentre i coscritti russi sono demoralizzati e non attrezzati per il freddo e la mimetizzazione.
L’esercito inglese ha addestrato diecimila soldati ucraini all’uso di armi e mezzi sofisticati, tattiche di combattimento e standard operativi Nato. Questi uomini sono pronti ad essere schierati contro i russi mobilitati, privi di esperienza militare e con bassissima motivazione, come dimostrano i casi di diserzione e resa nel sud est. Altri reparti ucraini verranno addestrati in Spagna, Danimarca e Polonia, mentre gli Stati Uniti continuano a fornire armi pesanti vitali come gli Himars.
Di fronte alla minaccia nucleare evocata dal Cremlino, c’è chi in Europa chiede subito che l’Ucraina rinunci a liberare il suo territorio e si sieda a trattare. Curiosamente, chi lavora per un “appeasement” con la Russia sostiene allo stesso tempo che il regime di Mosca sia tutto sommato ragionevole e che invece potrebbe scatenare una guerra nucleare.
C’è da chiedersi se, anche quando i nazisti bombardarono a tappeto Londra nel 1940-41 ci fosse chi spingeva per trattare la pace con Hitler, oppure chi dopo il massacro del Bataclan fosse disponibile a negoziare un compromesso con lo Stato islamico.
Oggi ci troviamo di fronte al terrorismo della Russia, un paese che, anche se si arrivasse a una “pace negoziata”, non potrebbe essere reintegrata nella comunità internazionale come se nulla fosse successo. Quello di Mosca resterà uno stato paria, isolato finché il suo regime non sarà rimosso e possibilmente processato per i crimini di guerra commessi. Ci sono voluti anni per farlo con i responsabili di Srebrenica e degli altri massacri in ex Jugoslavia, forse ce ne vorranno altrettanti per quelli commessi in Ucraina, ma chi sostiene sia impossibile è chi sosteneva anche l’impossibile sconfitta russa sul campo, che invece si sta materializzando.
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