La guerra in corso nella Striscia di Gaza sta devastando l’enclave palestinese ma sta anche impoverendo la Cisgiordania in quello che è ormai è diventato un altro fronte del conflitto. Dopo gli attentati del 7 ottobre perpetrati da Hamas i checkpoint tra Israele e i territori palestinesi sono stati chiusi limitando drasticamente ogni passaggio. I permessi di lavoro dei palestinesi sono stati sospesi, gli imprenditori arabi israeliani hanno perso i loro operai e la possibilità di fare acquisti al di là della barriera di separazione.

Persone che fino a pochi giorni prima avevano stipendi che in Cisgiordania permettevano di mantenere intere famiglie sono diventate disoccupate, causando il crollo del commercio locale e un’ulteriore ondata di rabbia e risentimento nei confronti dello Stato ebraico.

La dipendenza da Israele

L’economia palestinese dipende totalmente da Israele, sia per gli input finanziari che come mercato di sbocco. Lo shekel è la valuta de facto della Cisgiordania e Israele è praticamente il suo unico partner commerciale. Nel 2022 le esportazioni palestinesi (Cisgiordania e Gaza) sul mercato israeliano costituivano il 90 per cento del commercio, le importazioni il 57 per cento. Secondo la Banca Mondiale, dall’ottobre 2023 in Cisgiordania – dove vivono circa 3,2 milioni di palestinesi – sono andati persi 292mila posti di lavoro, di cui 144mila dentro i territori palestinesi (compresi gli insediamenti israeliani) e 148mila tra i pendolari transfrontalieri che ogni giorno entravano in Israele.

Prima del 7 ottobre la disoccupazione in Cisgiordania era di circa il 13 per cento (rispetto al 45 per cento di Gaza), adesso è più che raddoppiata e le previsioni del Palestinian Central Bureau of Statistics indicano che alla fine del 2024 sarà arrivata al 35 per cento. Una parte dei permessi è stata ripristinata in seguito alle richieste degli imprenditori israeliani, ma si tratta di poche decine di migliaia di persone, a malapena un quarto degli ingressi che venivano concessi nel periodo prebellico.

Le trattenute fiscali

Ma i problemi per l’economia palestinese non si limitano all’inasprimento delle misure di sicurezza e a un calo dell’attività economica che in misura minore riguarda anche Israele.

Da novembre 2023 il governo di Benjamin Netanyahu sta trattenendo le entrate fiscali sulle importazioni ed esportazioni che riscuote per conto dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), privando Ramallah delle risorse necessarie per amministrare i territori di sua competenza, dalla pulizia delle strade alla sicurezza. Una politica coercitiva in totale violazione degli Accordi di Oslo che mette sotto pressione l’Anp. I fondi raccolti da Tel Aviv per conto di Ramallah infatti costituiscono quasi il 70 per cento del bilancio annuale palestinese (pari a circa 5,27 miliardi di dollari), che in gran parte vengono usati per pagare gli stipendi dei 140mila dipendenti del settore pubblico.

Le misure per privare l’Anp delle sue entrate fiscali sono spinte dai membri di estrema destra del governo Netanyahu e sono fonte di preoccupazione per la Casa Bianca. I funzionari statunitensi vogliono che l’Anp svolga un ruolo chiave nella gestione di Gaza del dopoguerra, cosa a cui Netanyahu si oppone, e temono che il collasso economico della Cisgiordania possa portare a un’ondata di violenza e di conseguenza a un’ulteriore stretta nella repressione israeliana. Washington ha fatto pressione su Tel Aviv e il 3 luglio sono stati trasferiti 116 milioni di dollari, ma l’Anp afferma di dover ricevere entrate per almeno 1,6 miliardi.

Per coprire il deficit Ramallah ha preso in prestito denaro dalle banche commerciali e accumulato ingenti arretrati con i fornitori del settore privato, con il suo fondo pensione e con i dipendenti pubblici, ai quali nel frattempo vengono pagati stipendi dimezzati o comunque ridotti. Nello scenario peggiore gli analisti temono che si arrivi a un collasso dell’Anp che costringerebbe Israele a riprendere il controllo di tutti territori, cancellando ciò che rimane degli Accordi di Oslo sull’autogoverno palestinese, creato per diventare il nucleo amministrativo del futuro stato di Palestina.

Soccorso europeo

In soccorso di Ramallah è arrivata la Commissione europea, che il 31 luglio ha erogato 150 milioni di euro in aiuti finanziari di emergenza che includono una voce di 58 milioni per pagare stipendi e pensioni dei dipendenti pubblici e sostenere le famiglie più vulnerabili. Si tratta della prima tranche di un pacchetto di aiuti da 400 milioni di euro da versare tra luglio e settembre, vincolati all’attuazione dell’agenda di riforme di Ramallah ma che hanno come scopo principale scongiurare l’implosione dell’Anp.

A questi fondi vanno aggiunti 92 milioni di euro forniti dalla Banca europea per gli investimenti (Bei). L’Unione europea si conferma come il primo donatore di aiuti esteri all’Anp, ed è anche il principale partner commerciale di Israele. Ciò nonostante, Bruxelles continua ad avere un ruolo marginale nella mediazione del conflitto israelo-palestinese.

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