Il corso della nuova Siria è già iniziato. A meno di ventiquattro ore dalla presa di Damasco, il capo dei jihadisti, Abu Mohammed al-Jolani, ha già nominato l’uomo incaricato di gestire il processo di transizione politica.

È Mohammed al Bashir, da gennaio a capo del governo di salvezza siriano di Idlib. Classe 1983, una formazione da ingegnere alla quale ha aggiunto una laurea in Sharia e giurisprudenza, conseguita nel 2021 all’università di Idlib. Tra il 2022 e il 2023 è stato ministro dello Sviluppo e degli Affari umanitari nel governo di Ali Abdulrahman Keda. Da inizio anno è al Bashir che ricopre la carica di primo ministro, e ora è chiamato a guidare un processo di transizione politica molto complicato, il cui futuro è molto incerto.

Troppe le fazioni e le milizie da accontentare e tenere unite, e al momento non ci sono informazioni su come i jihadisti si immaginano la nuova Siria.

Per combattere la diffidenza dei paesi occidentali – che restano a guardare come si evolve la situazione – ieri un portavoce di Hayat Tahrir al Sham ha detto che il nuovo governo non imporrà limiti alle libertà individuali delle donne. «In tutti questi anni di amministrazione a Idlib e nelle altre zone liberate non abbiamo mai imposto il velo a nessuno, né ai musulmani, né ai curdi, né ai drusi, né ai cristiani. Perché dovremmo cominciare a imporre adesso limiti alle libertà individuali?», ha detto Mazen Jaber, uno dei portavoce di Hts.

Un primo gesto distensivo è stata la concessione dell’amnistia nei confronti del personale militare arruolato sotto servizio obbligatorio nel regime di Bashar Assad.

Israele ne approfitta

Tel Aviv è entrata nel Golan: non avveniva dal 1973. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto in conferenza stampa che «le alture del Golan saranno per sempre una parte inseparabile di Israele». I governi di Giordania ed Egitto hanno condannato l’operazione così come le Nazioni unite che hanno accusato Israele di violare gli accordi del 1974. «L’eliminazione di Nasrallah è stata una svolta nel crollo dell’asse», ha detto Netanyahu, aggiungendo che Israele lo sta «smantellando passo dopo passo». «Come ho promesso, stiamo trasformando il volto del Medio Oriente», ha aggiunto il premier.

Ieri i caccia dello stato ebraico hanno continuato a eseguire raid aerei prendendo di mira siti militari con armi e depositi per evitare che vadano a finire nelle mani dei ribelli. Non solo, attacchi sono avvenuti anche nel porto di Latakia. Resta da capire se Hts ha le forze e i mezzi necessari per respingere indietro i carri armati israeliani o se il gruppo sarà più concentrato nel trovare una stabilità politica interna. Da Tel Aviv al momento filtra ottimismo per il raggiungimento di un accordo sugli ostaggi, che potrebbe arrivare anche entro Natale. «L’isolamento di Hamas apre un'altra possibilità di progredire verso un accordo che riporterà indietro i nostri ostaggi», ha detto ieri Bibi.

In cerca di alleati

In ogni caso il nuovo governo è alla ricerca di sponde amiche, forte di un partner affidabile come la Turchia. Ora si tratta con la Russia per capire il futuro delle sue basi militari presenti in Siria per ottenere un credito con Mosca. «La questione è oggetto di discussioni con coloro che saranno al potere in Siria», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, assicurando che Mosca sta facendo «tutto il possibile e tutto il necessario per entrare in contatto con coloro che possono assumersi la responsabilità di garantire la sicurezza».

Washington non vuole perdere il treno e lasciare che altre potenze straniere si pongano come interlocutori principali della nuova leadership. «Lavoreremo con tutti i gruppi in Siria, come ha detto il presidente Biden ieri, anche con quelli che sono stati designati come gruppi terroristici, che in effetti hanno detto tutte cose giuste», ha detto il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan. Anche la leadership di Hamas è in cerca di nuovi alleati dopo la perdita del sostegno militare di Hezbollah e l’indebolimento del regime iraniano dopo la presa di Damasco.

È il momento della realpolitik, anche per evitare uno scenario siriano simile a quello dell’Afghanistan isolato a livello internazionale e in mano ai Talebani. «Hamas si congratula con il fraterno popolo siriano per il successo ottenuto nel realizzare le proprie aspirazioni di libertà e giustizia, e invita tutte le componenti del popolo siriano a serrare le fila», ha affermato l’organizzazione in una nota.

L’elogio del successo di Hts è un chiaro strappo con Teheran e denota l’isolamento intorno alla leadership di Hamas, in cerca ancora del suo successore dopo l’uccisione di Yahya Sinwar avvenuta oramai quasi due mesi fa. Al momento i ribelli jihadisti non si sono espressi nei confronti dell’occupazione israeliana del territorio siriano.

I profughi

Dentro e fuori la Siria sono giorni di grandi movimenti. C’è chi tra i milioni di sfollati torna nelle proprie case, chi dal sud della Turchia rientra nel paese e chi, invece, sta cercando vie di fuga per paura di una rappresaglia del regime. Tra questi ci sono circa quattromila soldati dell’esercito regolare libanese sconfitto che hanno attraversato il confine a sud con l’Iraq. Dal Libano, invece, fanno sapere che migliaia di persone hanno attraversato le frontiere.

In questo marasma di flussi i governi europei stanno già annunciando restrizioni nei confronti dei richiedenti asilo siriani. Primo fra tutti il governo tedesco, il quale ha annunciato di aver sospeso le valutazioni delle richieste di protezione internazionale dalla Siria per via della situazione incerta nel paese. La stessa strada è stata presa da Svezia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Grecia, Austria e Italia come annunciato in serata dalla premier Giorgia Meloni. Da Vienna, addirittura, si pensa già a un piano per i rimpatri.

«Se i siriani nei Paesi Bassi esultano per la nuova situazione in Siria, possono anche essere rimandati indietro. Presidente Schoof, decida immediatamente il blocco dell’asilo per i siriani!», ha detto invece il leader dell’ultradestra olandese Geert Wilders. Da Bruxelles restano in attesa: «Al momento teniamo la linea dell’Unhcr, per cui non ci sono le condizioni per un ritorno sicuro, volontario e degno dei rifugiati in Siria», ha detto il portavoce Ue per gli Affari Esteri Anouar el Anouni. «Starà a ogni individuo e a ogni famiglia decidere che cosa vogliono fare», ha aggiunto. D’altronde è paradossale che alcuni paesi neghino la protezione internazionale a chi proviene dalla Siria, che ora è in mano a un gruppo considerato terrorista e ancora sotto sanzioni da parte dell’Ue stessa.

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