Per ora non c’è un legame accertato fra due attentati che sembrano avere vari punti in comune. L’incontro mortale fra la propaganda online del califfato e i profili di instabilità prodotti in America
Gli inquirenti americani trattano la strage di New Orleans e l’esplosione davanti al Trump Hotel di Las Vegas come fatti indipendenti, ma allo stesso tempo cercano possibili collegamenti fra due attacchi che hanno evidenti elementi in comune, almeno a livello superficiale, e che hanno acceso nel paese la paura di un salto di qualità terroristico: il passaggio dai lupi solitari radicalizzati all’attacco multiplo accuratamente pianificato e coordinato.
Entrambi gli episodi sono legati ad automobili noleggiate sull’app Turo, ed entrambi gli attentatori sono veterani dell’esercito. Tutti e due sono morti, quello di Las Vegas a causa dell’esplosione innescata da fuochi d’artificio, bombe improvvisate e liquidi infiammabili, quello di New Orleans dopo una sparatoria con la polizia.
Gli obiettivi scelti e la circostanza celebrativa del Capodanno hanno un valore simbolico forte. Bourbon Street è la via del divertimento e degli eccessi di una città famosa per la sua vita notturna, uno dei pochi posti negli Stati Uniti dove è permesso bere alcolici per strada. Un’altra città in cui vale la stessa regola è proprio Las Vegas, dove il responsabile – di cui le autorità non hanno rivelato per il momento il nome – ha fatto esplodere un Cybertruck della Tesla, di proprietà di Elon Musk, davanti a un hotel della famiglia del presidente eletto. Segnali troppo chiari per essere del tutto casuali.
Il legame con l’Isis
Dalle indagini e dall’analisi dei profili social sono emersi diversi elementi sulla vita di Shamsud Din Jabbar, il 42enne che la notte di Capodanno ha ucciso almeno 15 persone e ne ha ferite svariate decine guidando un pick up nella via più trafficata della città, nel cuore della notte più frequentata dell’anno. I presidi della polizia non gli hanno impedito di raggiungere la via pedonale guidando su un marciapiede, manovra calcolata ed eseguita perfettamente, segno che lo stragista aveva studiato accuratamente la scena.
Jabbar era un ex militare originario del Texas che aveva servito anche in Afghanistan. Era poi diventato riservista e aveva abbandonato la carriera militare nel 2020, quando si era reinventato specialista informatico per Deloitte, poi agente immobiliare e piccolo imprenditore, accumulando poca fortuna e molti debiti.
Aveva alle spalle due matrimoni finiti male: dal primo aveva avuto due figli, di 14 e 20 anni, dal secondo era nato un altro figlio. Si era recentemente convertito all’islam e l’attuale marito della sua prima moglie ha detto che dopo questo fatto era diventato «tutto matto». Viveva in un quartiere popolare alla periferia di Houston abitato in larga maggioranza da musulmani.
I video in cui ha giurato la sua fedeltà all’Isis e minacciato di uccidere la sua famiglia fanno parte di un rituale codificato del radicalismo jihadista, e la bandiera del gruppo trovata nell’auto è stato un altro segnale inequivocabile. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha detto che lo stragista è stato «ispirato dall’Isis», ma il termine è generico e non spiega se siamo di fronte a una radicalizzazione solitaria o a legami espliciti con una struttura organizzata. L’Fbi ha detto che «sta lavorando per determinare le potenziali associazioni e affiliazioni del soggetto con organizzazioni terroristiche».
Il profilo di Jabbar non è atipico. Negli anni le autorità hanno incriminato decine di americani radicalizzati dalla propaganda online e pronti a colpire obiettivi in patria. La carriera militare è un’altra caratteristica ricorrente. Nell’ottobre scorso un altro soldato americano, Cole Bridges, è stato condannato a 14 anni di carcere per aver tentato di aiutare l’Isis a uccidere altri soldati americani, culmine di un processo di radicalizzazione sulla rete.
L’emergere di profili come quello di Jabbar conferma che il modello di penetrazione terroristica negli Stati Uniti assomiglia sempre di più a quello europeo, dove elementi locali vengono presi di mira dall’azione propagandistica. Il modello precedente – quello che ha portato all’11 settembre 2001, per capirci – si affidava invece all’ingresso di persone dall’estero. L’esperto di terrorismo Michael Weiss, autore di un informatissimo libro sul funzionamento dell’esercito globale dell’Isis, ha detto che la preoccupazione oggi non deriva dagli immigrati, ma «da elementi disaffezionati ed estremamente instabili emotivamente che nella nostra società stiamo producendo in quantità industriale». L’incontro fra la propaganda mortifera dell’Isis e il vuoto dell’America più fragile e marginalizzata genera effetti devastanti.
Esplosione all’hotel
Non ci sono notizie di legami dell’attentatore di Las Vegas con il mondo dell’estremismo, ma la vicenda è trattata come un atto terroristico dagli inquirenti. Un uomo ha noleggiato un Cybertruck in Colorado, lo ha riempito di petardi, bombole di gas, liquido infiammabile da campeggio e ha guidato fino a Las Vegas. Dopo vari giri di sopralluogo attorno al Trump Hotel, poco prima delle 9 di mattina di mercoledì ha attivato un detonatore che ha fatto esplodere il veicolo.
L’unica vittima è lo stesso attentatore, mentre altre sette persone sono rimaste ferite in modo non grave. La robusta struttura dell’iconica auto di Musk ha limitato la forza dell’esplosione, che si è orientata verso l’alto. Donald Trump non era a Las Vegas. Le autorità stanno indagando sui possibili motivi dell’azione.
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