Le prime reazioni americane sono improntate alla cautela e prudenza. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken ha detto che gli Stati Uniti erano all’oscuro dell’operazione con cui Israele ha ucciso il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, in Iran.

«Si tratta di qualcosa di cui non eravamo a conoscenza o in cui non eravamo coinvolti», ha detto Blinken in un’intervista con Channel News Asia a Singapore. «È vitale raggiungere un accordo sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi da Gaza», ha aggiunto, ribadendo la politica fin qui seguita dagli Stati Uniti, volta a evitare l’escalation nella regione e che vede nella fine delle ostilità a Gaza il fulcro di ogni soluzione futura per riprendere la tela degli Accordi di Abramo, cioè l’unificazione dei paesi arabi sunniti con Israele in funzione anti iraniana.

Blinken ha avuto delle conversazioni telefoniche con il ministro degli Esteri giordano e con il premier e ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, sottolineando «l’importanza di continuare a lavorare per raggiungere un cessate il fuoco nel conflitto a Gaza che garantirebbe il rilascio degli ostaggi e sbloccherebbe la possibilità di una maggiore stabilità». Ha quindi ribadito che «gli Stati Uniti continueranno a lavorare per garantire che venga raggiunto un accordo» e «ha ringraziato il primo ministro per il ruolo fondamentale del Qatar nel lavorare per una pace regionale duratura».

Colti di sorpresa

L’impressione è che il doppio raid israeliano a Beirut (il consigliere per la sicurezza, Jake Sullivan il 28 luglio aveva chiesto a Benjamin Netanyahu una risposta circoscritta e, soprattutto, di evitare di colpire la capitale libanese) e a Teheran abbia colto di sorpresa l’amministrazione americana.

Che ora si trova spiazzata sebbene il segretario alla Difesa Lloyd Austin, pochi minuti dopo la diffusione della notizia della morte di Haniyeh, abbia garantito che «Washington aiuterà a difendere Israele se verrà attaccato» affermando che una «guerra più ampia in Medio Oriente non è inevitabile».

D’altra parte in questo momento la capacità di influire su Tel Aviv dell’amministrazione Biden sembra molto modesta. Il fatto che il presidente americano abbia rinunciato a candidarsi in favore di Kamala Harris ha lasciato un senso di incertezza e vuoto nella politica estera Usa. E il premier israeliano sembra aver colto al volo l’occasione.

Nel suo discorso al Congresso del 24 luglio ha chiarito la volontà di usare la linea dura contro l’Iran e i suoi alleati, Hamas e Hezbollah in primis. E così è stato. Il raid a Teheran spiega molte cose sullo stato dei servizi di sicurezza iraniani e la loro permeabilità da parte del Mossad.

Tel Aviv ha evitato di colpire a Doha per non peggiorare i rapporti già tesi con il Qatar, ma ha neutralizzato sul nascere il nuovo corso dialogante del nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian costringendolo di fatto alla rappresaglia.

Senza contare che Haniyeh era considerato il "moderato” all’interno di Hamas e ora, alla testa dell’organizzazione, sono rimasti i falchi e Yahya Sinwar.

Il fantasma di Trump

Netanyahu ha una sua personale visione del Medio Oriente che si scontra con quella dell’amministrazione Biden. Bibi e i suoi alleati di estrema destra ritengono che vada «schiacciata la testa del serpente», cioè la dirigenza iraniana, per avere stabilità nell’area. Il presidente americano e il segretario Blinken, al contrario, puntano sul cessate il fuoco a Gaza e sul rilascio degli ostaggi ancora in vita per riprendere il discorso dell’alleanza tra Arabia Saudita paesi del Golfo e Israele in funzione anti Teheran.

Su tutto incombe la possibile vittoria di Donald Trump a novembre. Con il tycoon che continua a ripetere che, con lui alla Casa Bianca, non ci saranno più conflitti.

Inoltre i democratici non possono certo perdere i voti degli ebrei americani e questo ridurrà gli spazi di manovra di Harris che sembra più attenta alla causa palestinese. Nel tempo che lo divide dal 5 novembre Netanyahu ha deciso, al ritorno dal suo viaggio a Washington e in Florida, di giocare le sue carte per ottenere una vittoria netta contando sul “vuoto di potere” a Washington con un presidente molto simile a un’anatra zoppa.

D’altra parte tra i due contendenti alla Casa Bianca gli scontri sono molto accesi ma di poco contenuto: «Donald, spero che tu riconsideri l’idea di incontrarmi sul palco per un dibattito, perché, come si dice, se hai qualcosa da dire, dimmelo in faccia», ha dichiarato Harris, salendo sul palco di Atlanta, in Georgia. Pronta la replica di Trump alla Fox. Per l’ex presidente i nemici stranieri considererebbero Harris «come un giocattolo» se fosse eletta. Scambio di colpi a salve che consentono ad altri di scatenarsi con i raid mirati.

© Riproduzione riservata