Secondo una diffusa interpretazione, il presidente Usa avrebbe squarciato il velo d’ipocrisia che per un secolo e più ha dissimulato l’imperialismo americano. La franchezza trumpiana non è celebrazione della libertà di parola, ma teppismo retorico e negoziale. La “rivoluzione legale” di Trump vuole cambiare il sistema a forza di idee e metodi truculenti, così da incitare gli alleati d’oltreoceano a seguirlo
Tra colluttazioni nello Studio Ovale, palesi intimidazioni e ammiccamenti ai regimi autoritari, Donald Trump ha stravolto tutti i protocolli della diplomazia. Quello che viene presentato come il fare tipico dell’uomo d’affari è, a conti fatti, il comportamento di un corsaro che sceglie le sue prede con arbitraria e spietata disciplina. Alle sue vittime intima di arrendersi, perché non c’è alternativa nell’ordine nuovo che gli Stati Uniti vanno via via sbozzando in cooperazione esplicita o implicita con i nemici d’un tempo.
Secondo una diffusa interpretazione, così facendo Trump avrebbe squarciato il velo d’ipocrisia che, per un secolo e più, ha dissimulato l’imperialismo americano. Egli farebbe dunque a meno degli ammennicoli ideologici che i suoi predecessori mettevano a copertura delle stesse sue nefandezze. Quindi, tanto meglio: sappiamo almeno con chi abbiamo a che fare.
Franchezza o strategia?
In quest’ottica, dovremmo apprezzare il discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, col quale si assumeva la responsabilità politica e morale dell’omicidio Matteotti e con lodevole franchezza riconosceva l’attuazione di un piano dittatoriale.
E dovremmo ricordare come un momento edificante della nostra storia recente l’intervento del 3 luglio 1992 con cui Bettino Craxi rendeva manifesta la propensione tangentizia, dunque criminosa, dell’intera classe dirigente italiana. In fondo, furono slanci di sincerità, in cui veniva rimosso il belletto degli ideali per mobilitare un ben più onesto realismo dell’impudicizia.
Eppure, se possibile, la predilezione trumpiana per il teppismo retorico e negoziale segna un punto ancora più basso e più rischioso per tutti. Essa si lega infatti alla dubbia celebrazione della libertà di parola, di cui l’intera amministrazione Trump vuol farsi tedofora negli Stati Uniti e nel resto del pianeta.
Personaggi di primo piano, come Elon Musk e J. D. Vance, si consumano in accorate apologie di quelle forze antisistema che in tutta Europa vanno ottenendo risultati elettorali a doppia cifra. E mentre lamentano l’oltraggiosa censura politica ai danni di queste forze, che bellamente minacciano di mettere a soqquadro le tradizionali pratiche di democrazia, Musk e Vance lanciano ripetuti appelli contro lo strapotere dei giudici, che a loro avviso operano sediziosamente contro il legittimo volere del popolo e dei leader che esso legittimamente sceglie.
Il risveglio militante dell’Europa
L’intrecciarsi di questo duplice piano non deve stupire: la difesa della libertà di dire quello che si vuole cela il tentativo di sgomberare la strada per l’ascesa di queste forze antisistema, che nei loro rispettivi paesi stanno incontrando sempre nuovi ostacoli. Călin Georgescu viene fermato da un intervento senza precedenti della Corte costituzionale. I partiti conservatori e di centro-sinistra in Austria estromettono il Partito della libertà di Herbert Kickl. L’AfD viene escluso dall’ennesima Grosse Koalition, a dispetto del notevole risultato elettorale.
In sintesi, l’Europa sta ridestando le proprie difese immunitarie nel nome della veneranda idea di “democrazia militante” – quella in base a cui molti stati europei, un secolo fa, adottarono severe legislazioni di emergenza per delimitare l’abuso delle libertà fondamentali da parte delle forze filo-fasciste. È questo trabocco di militanza democratica il vero obiettivo polemico di Musk e Vance.
Corte suprema vs “rivoluzione legale”
La “rivoluzione legale” di Trump & Co. sta cercando di cambiare il sistema a forza di idee truculente, parole oscene e metodi para-delinquenziali. Altro che conquista in sincerità! Oltre a scaldare gli accoliti interni, vuole incitare gli alleati d’oltreoceano a seguirlo, per cambiare l’Europa dal suo interno. Il rischio allora è che l’unico freno efficace a questa deriva brutale sia la militanza democratica della Corte suprema statunitense, unica istanza che potrebbe levarsi al di sopra delle coazioni politiche. La decisione di mercoledì scorso, con cui cinque giudici contro quattro hanno respinto la misura emergenziale di Trump, segnala l’alto potenziale divisivo entro una Corte a trazione conservatrice.
Eppure, al momento solo da lì può arrivare un contrordine. Solo la Corte potrà far valere il punto fermo della Costituzione contro la presunta libertà di dire e disdire a capriccio. Al di là dei convincimenti politici individuali, e inevitabilmente caso per caso, a oggi solo i giudici costituzionali saprebbero svelare le mentite spoglie di quel gergo vuoto della libertà con cui Trump contrabbanda un privilegio e fa valere un’immunità, a scientifico danno delle libertà altrui.
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