La vittoria di Donald Trump è ormai sedimentata e anche l’Arizona, l’ultimo degli stati in bilico, domenica è stato assegnato al tycoon, completando la conquista di tutti e sette gli obiettivi della sua campagna elettorale.

Dopo aver cominciato a essere chiamato da molti capi di stato e di governo stranieri, appare più chiaro quello che sarà il suo atteggiamento nei confronti del conflitto tra Israele e Hamas, a cui si è aggiunto il Libano controllato da Hezbollah.

Le telefonate con Bibi

In una nota diffusa ieri, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato di aver sentito il presidente eletto in tre occasioni negli scorsi giorni, aggiungendo che sono state «conversazioni buone e costruttive». Nello stesso comunicato si legge che il premier e Trump «entrambi condividiamo la nostra visione sulla minaccia iraniana in tutte le sue componenti e sul pericolo che rappresenta».

Netanyahu conclude dicendo che «per Israele si apre una nuova stagione di possibile pace e di ulteriori opportunità».

Altre reazioni nel mondo provengono da altri governi anglofoni con due dichiarazioni molto diverse. Da un lato il tesoriere australiano Jim Chalmers, equivalente del ministro dell’Economia, ha detto che nemmeno il suo paese sarà immune all’escalation delle tensioni sul commercio internazionale, ma che il governo laburista di Anthony Albanese si farà trovare «pronto e preparato» nei mesi successivi all’inaugurazione di Donald Trump.

Dall’altro un altro funzionario economico, il segretario al tesoro britannico Darren Jones, ha detto che il governo di Londra quasi certamente non userà la mediazione di Nigel Farage per tessere un rapporto più stretto con la nuova amministrazione americana e che il Paese si prepara a esaminare ogni possibile opzione sull’Ucraina.

L’incognita ucraina

E proprio sul nuovo rapporto con Kyiv gli analisti si interrogano profondamente, data l’imprevedibilità di Donald Trump. Se negli scorsi giorni la telefonata con il presidente Volodymyr Zelensky è stata definita da parte ucraina come «costruttiva», nella giornata di domenica arrivano segnali poco confortanti.

Donald Trump Jr., il figlio maggiore del presidente eletto, ha ironizzato su Istagram sul taglio dei fondi all'Ucraina nel conflitto contro la Russia. Trump Jr ha condiviso una storia postata dall'ex candidata repubblicana alla vicepresidenza Sarah Palin, che mostra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e recita: «Pov (punto di vista): Siete a 38 giorni di distanza dal perdere la vostra indennità».

Ieri mattina invece il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov ha detto in un’intervista rilasciata sui maggiori media di Stato che ci sono «segnali positivi» sulla posizione di Trump sul conflitto, che lo si ritiene «capace di fare un accordo che porti alla pace» ma che comunque sarà difficile prevedere come si comporterà.

Senza contare le prese di posizione di Bryan Lanza, consigliere politico di Trump sin dal 2016, che due giorni fa ha detto alla Bbc che la posizione della nuova amministrazione sarà incentrata sulla ricerca di un accordo di pace più che sulla riconquistata dei territori perduti.

Lanza ha ribadito il concetto con una frase estremamente brutale: «Se il presidente Zelensky pensa che i combattimenti si fermeranno solo al ritorno della Crimea (in mani ucraine), ho una notizia per lui: la Crimea è andata». Una posizione così netta da costringere lo stesso staff di Trump a prendere le distanze da Lanza.

Il prossimo 13 novembre, infine, ci sarà l’atteso incontro con Joe Biden alla Casa Bianca, dove l’attuale presidente condividerà con il suo successore le sue idee di politica interna ed estera, soprattutto sull’Ucraina, scenario dove l’anziano presidente dem spera di incidere anche nel prossimo futuro.

Anche sul rapporto sulla Cina si comincia a capire la linea del futuro presidente. Il suo ex segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, alla Reuters ha definito cruciale riannodare i fili di un precedente accordo - il cosiddetto “Fase Uno” negoziato a gennaio 2020 - con cui Pechino si impegnava ad acquistare beni americani per riequilibrare la bilancia commerciale, cosa che finora «non è stata fatta».

Gli esclusi

Mnuchin ha poi ribadito l’importanza di rafforzare le sanzioni economiche non solo sull’Iran ma anche sulla Russia, chiamandosi fuori da un futuro ruolo nell’amministrazione di Trump. Ma è lo stesso presidente eletto ad aver dichiarato sui social media che due figure chiave del suo primo mandato non saranno con lui nel 2025: si tratta dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo e di Nikki Haley, pur «avendo apprezzato il loro contributo e ringraziandoli per il loro servizio al Paese».

Quasi certamente, non ci saranno nemmeno la figlia Ivanka e il genero Jared Kushner. La ragione per tutti è la stessa, la scarsa fedeltà nei confronti di Trump e l’opposizione alla loro eventuale nomina da parte di due stretti consiglieri informali del tycoon: l’ex conduttore di Fox News Tucker Carlson e il figlio Donald Junior.

Nonostante l’appello di sabato a una posizione «costruttiva» dei democratici pubblicato sui vari social media da parte del neopresidente, la fedeltà totale sembra una caratteristica che verrà richiesta non solo ai membri della nuova amministrazione, ma anche a chi vorrà fare parte dello staff della Casa Bianca, questa infatti è la linea che porterà avanti Howard Lutnick, l’amministrazione delegato della società di servizi finanziari Cantor Fitzgerald e responsabile, insieme a Linda McMahon, della transizione presidenziale: la prima cosa che chiederà agli aspiranti collaboratori del neopresidente sarà quella di voler «spingere l’agenda Trump» anziché «frenarla» con possibili scrupoli legali.

Intanto nella giornata di martedì il giudice newyorchese Juan Merchan, che ha presieduto il processo che ha coinvolto Donald Trump «cospirazione criminale» relativa al pagamento di 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels deciderà se la condanna comminata al tycoon su 34 capi di imputazione andrà annullata oppure no, mentre il prossimo 26 novembre dovrà decidere se procedere o meno con il comminare la pena esatta al presidente eletto.

Molto probabilmente non accadrà nulla di tutto questo, in linea con il relativo inabissarsi di tutte le vicende giudiziarie che coinvolgono il vincitore delle elezioni presidenziali dello scorso 5 novembre.

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