Il team di transizione presidenziale di Donald Trump continua a riempire le caselle della nuova amministrazione con nomi vecchi e nuovi e si prepara a conquistare uno dei pochi angoli di partito repubblicano dove ancora ci sono molti scettici sulla sua guida: il gruppo congressuale del Senato.

Però c’è grande incertezza su chi potrà essere il nuovo leader, eletto il prossimo mercoledì a voto segreto. Intanto la transizione continua a procedere a passo svelto.

Le nuove nomine

Dopo aver escluso dal suo team l’ex segretario al Tesoro Steven Mnuchin, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo e l’ex ambasciatrice presso le Nazioni Unite Nikki Haley, Trump ha nominato il suo ex consigliere per l’immigrazione Stephen Miller quale vicecapo di gabinetto con la delega alle policy da stilare.

Miller è rimasto nella sua cerchia durante i quattro anni lontano dalla Casa Bianca ed ha posizioni molto estremiste anche per gli standard trumpiani, tanto da essere considerato vicino dalle idee del nazionalismo bianco.

Infatti, gli analisti pensano che dalla sua nuova posizione lancerà una task force per combattere il razzismo “contro i bianchi”, un’idea considerata fino a pochi anni fa appannaggio di gruppi extralegali come i Proud Boys e che oggi potrebbe diventare una politica ufficiale che potrebbe smontare i vari programmi economici d’inclusione delle minoranze da parte dell’amministrazione Biden.

Un’altra nomina sempre in tema migratorio è quella di Tom Homan, già direttore a interim dell’agenzia per l’Immigrazione nel biennio 2017-18, che viene elevato con la carica informale di “zar del confine”, un modo di dire colloquiale per definire un compito di supervisione dell’intero sistema.

Homan ha dichiarato in un intervista alla rete Fox News che il piano di «deportazione di massa» non sarà «inumano» come viene descritto dai media progressisti e che ci si concentrerà sui «peggiori». Annunciando la nomina sul social Truth, Trump ha definito Homan come un «baluardo per la difesa dei confini»

Un’altra nomina che anticipa invece le linee di politica estera è quella della prossima ambasciatrice presso le Nazione Unite: si tratta della deputata di New York Elise Stefanik, ex moderata divenuta una sua strenua sostenitrice di Trump a partire dall’ultimo anno della sua prima presidenza.

Stefanik in questi ultimi mesi ha spesso attaccato l’Onu definendolo «un’organizzazione antisemita» e difendendo il diritto di Israele a condurre il conflitto contro Hamas prima e contro Hezbollah nel modo in cui crede, segno che non solo la vicinanza con Tel Aviv e Benjamin Netanyahu sarà estremamente simile a quella del quadriennio 2017-2021, ma anche che la linea nei confronti della più grande organizzazione sovranazionale del mondo sarà di scontro aperto.

Infine il senatore Eric Schmitt del Missouri si è chiamato fuori dalla nomina a nuovo procuratore generale, segno che per la guida del dipartimento di giustizia Trump vorrà scegliere un fedelissimo doc dopo la delusione espressa nel suo primo mandato nei confronti dei due occupanti della carica, Jeff Sessions e Bill Barr, ritenuti poco “leali” nei suoi confronti e con troppi scrupoli legalitari.

L’incognita del Senato

Sul tema delle nomine poi Donald Trump ha chiesto pubblicamente al Senato di consentire le nomine «in recesso», ovvero di scegliere i principali membri della sua amministrazione senza doverli sottoporre al vaglio delle commissioni.

Una mossa che rispolvera una norma caduta in disuso negli ultimi vent’anni ma che testimonia quanto sia ampio il capitale politico che il tycoon può spendere in modo da forzare la mano del potere legislativo.

Il problema è che al Senato non ci sarà più Mitch McConnell, leader uscente del gruppo repubblicano e geloso custode delle prerogative del Senato anche nei confronti degli abusi del presidente, ma il suo successore, che dovrà essere scelto tra il senatore del South Dakota John Thune, attuale numero due e fedele seguace di McConnell, il texano John Cornyn, ex bushiano divenuto conservatore ma su cui il mondo mediatico trumpiano nutre forti sospetti e infine il favorito della cerchia del tycoon, Rick Scott della Florida.

A spingere Scott è stato un post sui social dell’ex conduttore di Fox News Tucker Carlson, diventato a tempo pieno provocatore di estrema destra, che ha messo in guardia i repubblicani dal «golpe» che sta per essere condotto nei confronti dell’agenda Trump da parte di McConnell che vorrebbe favorire il «progressista» Cornyn.

Una nomea esilarante per uno dei membri più a destra del Senato ma che si giustifica per i suoi voti favorevoli a due provvedimenti importanti dell’amministrazione di Joe Biden: il piano di rinnovamento infrastrutturale del 2021 e la legge sul controllo delle armi d’assalto del 2022.

Quindi Carlson ha invitato i senatori a sostenere Scott, appello a cui si sono uniti sia il magnate di Tesla Elon Musk sia Robert Kennedy Junior, a sua volta in predicato di acquisire un ruolo importante in campo sanitario.

Nonostante questo, però, la segretezza del voto e il mancato sostegno esplicito di Donald Trump, che ha ricevuto rassicurazioni in merito alla sua agenda da tutti e tre i candidati. Negli scorsi mesi poi è stato lo stesso presidente eletto a esprimere dubbi su Scott, ritenendolo «poco serio» come candidato. Del resto, all’indomani delle elezioni di metà mandato del 2022, il senatore sfidò apertamente McConnell, ricevendo soltanto 10 voti su 47, segno di scarso consenso tra i suoi colleghi.

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