- La Russia è impegnata, senza ritorno, in uno sconvolgimento totale degli equilibri internazionali. È altresì responsabile, direttamente e non, del riposizionamento e della ridefinizione del ruolo delle grandi potenze, tra queste Cina, Turchia, Stati Uniti ed Ue. E le conseguenze di tale riposizionamento, soprattutto per l’Ue, sono ancora difficili da valutare.
- La divisione tra le ventisette capitali rimane il vero game changer della reazione europea energetica alle azioni di Mosca, come dimostra la difficile adozione del nuovo pacchetto di sanzioni per ridurre la dipendenza dall’import energetico russo.
- Se da una parte Varsavia intende svolgere il ruolo di guida del protagonismo politico della sponda est e baltica dell’Ue, dall’altra Budapest ha manifestamente scelto di mantenere la propria posizione di vicinanza a Mosca. Il problema è che ha deciso di svolgere questo ruolo all’interno dell’Unione e come stato membro, posizione al momento inammissibile per Bruxelles.
A cento giorni dall’inizio della crisi, europea e multilaterale, scaturita dall’invasione russa dell’Ucraina, molte sono le conclusioni a cui si è già giunti. A partire dal contesto più ampio dell’ordine multilaterale, la Russia è impegnata, senza ritorno, in uno sconvolgimento totale degli equilibri internazionali. È altresì responsabile, direttamente e non, del riposizionamento e della ridefinizione del ruolo delle grandi potenze, tra queste Cina, Turchia, Stati Uniti ed Ue. E le conseguenze di tale riposizionamento, soprattutto per l’Ue, sono ancora difficili da valutare.
Restringendo la lente e guardando al contesto europeo, la Russia ha posto fine al già instabile status quo delle relazioni politiche, economiche, commerciali e culturali con Bruxelles, aprendo una nuova fase di rapporti che ha già ribaltato le categorie di pensiero e valutazione delle relazioni internazionali utilizzate dalla fine della Guerra fredda. Non ci sarà mai più un ritorno allo status quo ante, uno shock politico senza precedenti per la strategia europea verso la Russia degli ultimi decenni.
Reazione europea
Con la decisione di invadere l’Ucraina, Vladimir Putin ha preso consciamente una decisione irreversibile sul futuro della Russia e dei cittadini russi, ma inconsciamente l’ha presa anche sul futuro dell’Europa e delle sue dinamiche esterne e domestiche, con conseguenze alcune certamente inaspettate. Dal punto di vista della proiezione esterna dell’Ue, Mosca ha imposto uno stravolgimento dell’azione e strategia energetica europea, rendendo Bruxelles esposta a fragilità e a nuove relazioni di dipendenza energetica, rendendo l’obiettivo dell’Unione energetica europea più difficile da perseguire.
Sebbene la nuova strategia energetica europea rimanga un progetto ambizioso, come il precedente Next generation Eu nato dalla crisi pandemica, mantenere l’attenzione sulla centralità degli obiettivi green, ridurre la dipendenza da gas e petrolio russo e costruire relazioni con difficili produttori di energia costituiscono una trina di obiettivi ancora troppo difficili e divisivi se si pensa al medio-lungo periodo, sebbene la reazione di breve raggio sia stata inaspettatamente costruttiva ed efficace.
La divisione tra le ventisette capitali rimane il vero game changer della reazione europea energetica alle azioni di Mosca, come dimostra la difficile adozione del nuovo pacchetto di sanzioni per ridurre la dipendenza dall’import energetico russo. Malgrado l’adozione del sesto pacchetto di sanzioni, l’impasse in cui si è trovata l’Europa nel decidere data di entrata in vigore dell’embargo, modalità e scadenze e tipologia di import da sottoporre all’embargo, costituisce una vittoria indebolita da poter imputare alla mancata coesione europea come anche alle lobby di singole capitali.
I casi polacco e ungherese
Tra questi l’Ungheria di Orbán, la cui situazione costituisce oggi tra i più evidenti casi di isolamento totale all’interno dell’Ue, politico e culturale. Una volta traino del gruppo Visegrad e alleata di primo ordine della Polonia a guida PiS, oggi Budapest rimane un’isola, probabilmente non felice, all’interno del mare europeo. La riconferma politica di Orbán costituisce forse l’ultimo pilastro attorno a cui si sviluppa il futuro del paese all’interno dell’Ue.
Ed è qui che emerge una diversa chiave di lettura della rimodulazione delle dinamiche interne all’Europa. Se la guerra russa in Ucraina sta costituendo fonte di perdite economiche e di stallo politico, ha anche tuttavia il potenziale di rappresentare un’opportunità di ribilanciamento degli equilibri interni all’Ue come dimostrato dal caso polacco.
Se da una parte abbiamo Varsavia, oggi nuovamente in prima linea come paese proattivo, propositivo e coinvolto all’interno dell’Ue con l’obiettivo di sostenere completamente Kiev nella vittoria contro Mosca, dall’altra abbiamo Budapest incapace di porre fine al legale speciale con Mosca e di avviare il richiesto processo di indipendenza economica, politica, energetica da Putin.
Se da una parte Varsavia intende svolgere il ruolo di guida del protagonismo politico della sponda est e baltica dell’Ue, dall’altra Budapest ha manifestamente scelto di mantenere la propria posizione di vicinanza a Mosca. Il problema è che ha deciso di svolgere questo ruolo all’interno dell’Unione e come stato membro, posizione al momento inammissibile per Bruxelles. E lo sta facendo rendendosi molto più simile a Minsk che a Bruxelles.
La posizione ungherese sull’attuale guerra costituisce solo l’ultima delle criticità nelle relazioni Bruxelles-Budapest. Ma se nel pre-guerra tali criticità avevano, e hanno tuttora, a che fare con dossier interni legati a stato di diritto e democrazia e al rapporto con istituzioni e famiglie politiche europee, nell’attuale contesto bellico la posizione ungherese è andata ben oltre, con il chiaro obiettivo di proseguimento dell’indebolimento dell’Ue dal suo interno.
Non essendo riuscita in questo obiettivo facendo leva sulla continua sfida e provocazione nei confronti di Bruxelles, Budapest oggi sta facendo leva sul doppio tallone d’Achille europeo, dipendenza energetica e tradizionale divisione interna, temi in stallo da decenni e ora forzatamente in cima alle priorità europee, paradossalmente non per volere europeo ma come effetto della decisione russa.
Come dimostrato dalla crisi pandemica, l’Ue ha grande capacità di geniale reattività, come confermato dall’eccellenza del Next generation Ue, e dovrebbe fare buon uso di tale genialità per trovare una visione comune sul tema energetico che si fondi sul superamento delle tradizionali divisioni tra capitali.
Questo non solo per fermare Putin, sostenere l’Ucraina e dare una lezione politica a Orbán. Questa reattività è necessaria per gestire le conseguenze di lungo periodo dell’invasione russa dell’Ucraina, tra queste la realistica minaccia di recessione economica europea. Ma è tuttavia anche assolutamente necessaria per mantenere alta l’attenzione su quei dossier al momento in secondo piano, tra questi la gestione pandemica, il dossier migratorio e la violazione dei princìpi democratici e dello stato di diritto, di cui Budapest rimane ora unica protagonista sebbene fino a poco fa affiancata dalla Polonia.
Il fatto che Varsavia sia ora in prima linea nel sostenere l’azione europea contro l’azione russa e nell’accoglienza dei rifugiati ucraini non dovrebbe distogliere l’attenzione dalla direzione che il governo polacco a guida PiS ha deciso di dare alla Polonia negli ultimi anni. Una direzione fondata su una sfida continua ai princìpi e valori fondanti dell’Unione europea e sulla volontà politica di indebolimento della già fiacca politica migratoria dell’Ue, ma meno attenta al deterioramento del quadro economico del paese, una volta locomotiva trainante tra i ventisette, che vede la questione inflazione tra le più gravi in Europa.
Squilibri politici
Al termine dell’invasione russa dell’Ucraina, Bruxelles dovrà necessariamente tornare alla gestione primaria dei dossier in cima all’agenda europea prima del 24 febbraio 2022. Tra questi appunto Polonia, Ungheria e il fronte conservatore-euroscettico-nazionalista che negli ultimi anni si è rafforzato in Europa, seppur rallentato dalla nomina di Draghi in Italia e dalla recente riconferma di Macron.
Nel fare questo, l’Ue dovrebbe inoltre essere attenta ai cambiamenti di equilibrio tra questi attori per cogliere da una parte i dossier di comune accordo come la già citata questione democratica, dall’altra i fronti di divisione che potrebbero emergere post conflitto, come già successo tra Varsavia e Budapest sulla posizione verso Mosca, e come dimostrato dal gelo politico tra i leader politici di entrambi i paesi, Kaczynski ed Orbán.
Ma se da una parte Orbán detiene ora una forte stabilità politica confermata dal risultato elettorale di aprile, lo stesso non vale per Kaczynski, a breve sottoposto a voto politico nelle prossime elezioni e oggi non più stabile come a inizio mandato. La prospettiva politica può dunque rappresentare quel fattore che delineerà i rapporti tra i due attori e tra i due stati membri, con tre possibili scenari: divisione totale di intenti e obiettivi; collaborazione basata su necessità forzata; ricongiungimento e riallineamento.
In tutti e tre gli scenari, Bruxelles dovrà avere un’attenzione dedicata forse maggiore di quella ante-guerra in quanto gli squilibri politici interni all’Ue avranno tutto il potenziale per implodere una volta che il conflitto sarà terminato, diventando un fattore di ulteriore destabilizzazione di un contesto europeo già a forte prova.
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