Le agende del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e del presidente russo, Vladimir Putin, si assomigliano molto in questi giorni. Il primo è nel pieno di uno sprint che lo ha portato giovedì 10 ottobre in Regno Unito, Francia e Italia e che venerdì lo vedrà in Germania, dove sta cercando di raccogliere sostegno al suo “piano per la vittoria” tra alleati sempre più riluttanti.

Il secondo si trova a una conferenza internazionale in Turkmenistan dove ha in agenda un incontro con il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, leader politico da cui lo separano ispirazioni e inclinazioni, ma a cui le circostanze lo stanno spingendo sempre più vicino.

Missione impossibile

Partiamo con Zelensky, tra i due quello che fronteggia la situazione di gran lunga meno invidiabile. Il presidente ucraino è reduce dalla sua visita a Washington di fine settembre, in cui ha presentato al presidente americano Joe Biden il suo “piano per la vittoria”: in sostanza, una richiesta di nuovi aiuti militari in quantità sufficiente da chiarire a Putin che non potrà vincere la guerra, unita alla richiesta di ricevere garanzie solidissime che al suo paese sarà consentito un rapidissimo ingresso nella Nato, così da essere sicuro di non doverne combattere un’altra. La Casa Bianca ha accolto il piano con estrema freddezza.

Non essendo riuscito a persuadere il capo della coalizione, ora Zelensky sta provando a convincere gli altri partner, ma nessuno sembra entusiasta. Anche se il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, è l’unico a sostenere apertamente che la sola soluzione è un negoziato entro la fine dell’anno, dietro le quinte gli altri leader sembrano pensarla allo stesso modo.

Il francese Macron ha messo in piedi uno show marziale, passando in rivista insieme la brigata Anna di Kiev, un’unità militare ucraina in addestramento in Francia. Ma oltre a questo non sembra intenzionato a fornire agli ucraini gli aiuti che chiedono. Meloni è in una posizione ancora più complessa e sotto le pressioni dei suoi alleati mantiene il divieto totale all’uso di armi italiane in territorio russo.

Qualche passo in avanti, in realtà, gli analisti se lo aspettavano al vertice di Ramstein fissato per sabato, quando Biden aveva convocato i capi di governo di tutti i circa 50 paesi che forniscono aiuti militari all’Ucraina. Ma di mezzo ci si è messo l’uragano Milton.

Biden è rimasto negli Usa e il vertice è stato rimandato.

Quasi amici

Quella di Putin e Pezeshkian è una situazione quasi speculare. L’iraniano è un esponente dei riformisti che, tradizionalmente, non hanno un grande amore per la Russia e sono più favorevoli a un riavvicinamento con l’Europa, se non addirittura con gli Stati Uniti. Ma le circostanze sono tiranne.

Giovedì sera il governo israeliano ha autorizzato il primo ministro Benjamin Netanyahu a mettere in atto la sua rappresaglia contro l’Iran per l’attacco missilistico di due settimane fa. Non è ancora chiaro cosa colpirà Israele, basi militari e centri d’intelligence – i bersagli più probabili e meno gravidi di conseguenze – oppure raffinerie di petrolio o ancora le installazioni del suo programma nucleare. In ogni caso, Teheran rischia di finire coinvolta in un’escalation contro un’Israele sostenuta senza più restrizioni dagli Stati Uniti. Escalation che non può vincere e che la costringe a gettarsi sempre più nelle braccia della Russia.

La cooperazione tra i due paesi, sostengono i principali analisti, è destinata ad approfondirsi. Già venerdì, l’Iran fornisce alla Russia droni kamikaze a lungo raggio e missili balistici a corta gittata che Mosca usa per colpire le città ucraine e le aree subito dietro al fronte. Dal canto suo, Teheran protegge i suoi cieli con missili antiaerei russi, ne vorrebbe disperatamente altri e chiede da tempo moderni jet da combattimento con cui rafforzare la sua aviazione, del tutto inadatta a un conflitto moderno.

Saranno tutti elementi sul piatto della discussione di venerdì. E ce ne sarà, probabilmente, anche un altro. Il più preoccupante, per molti osservatori, ossia la possibilità che, dopo aver fornito all’Iran il suo primo reattore nucleare, la Russia gli fornisca in futuro anche il supporto necessario alla rapida produzione di un’arma atomica.

Soltanto nel 2015, Putin faceva parte dei negoziatori che avevano raggiunto l’accordo per limitare il programma nucleare iraniano, poi abbandonato dal presidente americano Donald Trump. Ora, le circostanze della guerra in Ucraina e di quella di Netanyahu potrebbero trasformarlo nel tramite che porterà l’Iran alla parità atomica con Israele.

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