Timori di una vittoria di Trump e sondaggi di opinione spingono Kiev a riaprire la strada delle trattative, ma nella città più bombardata dalla Russia la popolazione non crede a un possibile accordo con Putin
Ci sono 38 gradi a Kharkiv mentre l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, arriva sul luogo dove lo scorso 22 giugno una bomba planante russa ha squarciato un palazzo uccidendo tre persone e ferendone decine. La seconda città del paese, come il resto dell’Ucraina, è da oltre una settimana intrappolata in una morsa di calore resa ancora più difficile da sopportare a causa dei continui blackout, che rendono inutili ventilatori e aria condizionata.
Sotto il sole delle due di pomeriggio, il sindaco della città, Ihor Terekhov, mostra al commissario Grandi dove è caduta la bomba e gli indica i palazzi circostanti, che nel raggio di duecento metri non hanno più un vetro intero. Grandi si trova in città per osservare la situazione dei rifugiati, oltre 200mila, arrivati dalle zone più vicine al fronte. Ma anche in questo contesto è difficile sfuggire alla questione più pressante dell’attualità ucraina.
Lunedì, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha annunciato che intende partecipare a una nuova conferenza di pace entro il prossimo novembre e che a questa conferenza spera di vedere la partecipazione della Russia. Era da oltre due anni che la prospettiva di nuovi negoziati tra Russia e Ucraina non appariva così vicina.
«Io rappresento un organizzazione umanitaria che ha a che fare con le conseguenze della guerra, tutto quello che è fatto per promuovere la pace è positiva», ha commentato Grandi. «La pace dev’essere giusta e rispettare l’integrità dell’Ucraina. Incoraggio i governi e i politici di tutto il mondo a continuare su questo cammino».
La svolta del presidente
Sono molti a interrogarsi su come mai, dopo due anni senza alcuna trattativa tra le due parti, questo cammino abbia improvvisamente ripreso vita. È possibile che Zelensky abbia tenuto conto delle crescenti possibilità di vittoria di Donald Trump alle prossime presidenziali americane, soprattutto dopo l’attentato a cui è sfuggito sabato scorso. Non solo il sostegno americano è in bilico, ma anche quello europeo è sempre più incerto. Ieri, il Parlamento europeo ha riaffermato la sua volontà di sostenere l’Ucraina fino a che sarà necessario, ma con diversi voti contrari, come quelli della Lega - e lo stesso Pd non è stato compatto. Oltre all’Italia, arrivano segnali di stanchezza anche dalla Polonia, che di recente rifiutato di utilizzare i propri caccia per abbattere missili e droni russi nello spazio aereo ucraino, mentre dopo gli ultimi rovesci elettorali la Francia è tornata sui suoi passi rispetto all’invio di truppe sul campo.
Cosa pensano gli ucraini
Ma i fattori interni ucraini non vanno sottovalutati nell’analizzare questa svolta. Lunedì, per la prima volta in due anni, un sondaggio ha mostrato una pluralità di ucraini favorevoli al negoziato: 44 per cento contro un 35 per cento di contrari e un restante di indecisi. I più aperti alle trattative sono gli ucraini del sud e del centro. Nell’est del paese, dove si trova Kharkiv, i negoziati convincono meno. Solo il 33 per cento dice che è arrivato il momento di trattare, più o meno la stessa percentuale di indecisi e di favorevoli.
«Abbiamo già provato a negoziare con la Russia e non ha funzionato», dice una dei contrari, Yaryna Vintoniuk, 30 anni, responsabile di Animal Rescue, un’associazione di Kharkiv che si occupa di salvare animali abbandonati dalle città e villaggi sulla linea del fronte. Le loro attività disegnano una mappa dei combattimenti più intensi di questa guerra: dieci cavalli salvati da Avdiivka, una mucca recuperataa da Chasiv Yar e i nuovi arrivati: due dozzine di capre portate al sicuro da Toretsk, l’ultima città del Donbass a finire sulla linea del fuoco.
Vintoniuk dice che molti nell’Ucraina orientale vogliono arrivare a un negoziato, ma chi ha compreso davvero la situazione sperimentandola sulla propria pelle non ha intenzione di parlare con Putin. «Non vogliamo che i nostri figli debbano affrontare di nuovo questa situazione tra cinque o dieci anni».
In questa parte dell’Ucraina, ancora più che altrove, la popolazione appare lacerata. Chi è favorevole spesso preferisce non esporsi personalmente, come Elena, nome di fantasia di una responsabile commerciale che lavora da Kharkiv in remoto per una società europea. Per timore degli attacchi aerei si è trasferita in periferia e ora pensa che si arrivato il momento di trovare una soluzione al conflitto, ma non è un tema del quale intende parlare apertamente.
La svolta di Zelensky non hanno ancora infranto un tabù quasi assoluto nel paese: nessun parla ad alta voce di abbandonare i territori occupati, nemmeno temporaneamente. Nessuna forza politica o movimento di opinione si è intestato questa battaglia, anche se a porte chiuse e nei corridoi se ne parla sempre più spesso come di una realtà inevitabile.
Tango diplomatico
Quel che si dice a bassa voce potrebbe presto diventare un discorso pubblico, ma gli ucraini farebbero bene a non farsi illusioni, ha ricordato pochi giorni fa il popolare giornalista Vitaly Portnikov. Il tango diplomatico si può ballare soltanto in due e nonostante la crescente percentuale di ucraini favorevoli al negoziato, nulla per ora sembra indicare che il Cremlino sia pronto a intavolare trattativa su termini accettabili.
Un mese fa, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che le sue richieste minime per contemplare un cessate il fuoco prevedono la cessione da parte dell’Ucraina dell’intero Donbass, più la regione di Zaporzhzhia e quella di Kherson, ossia migliaia di chilometri quadrati ancora sotto controllo ucraino e che le truppe russe non sono state in grado di occupare.
Portnikov non ne parla, ma c’è anche un secondo problema. Per iniziare qualsiasi trattativa, Kiev chiede che gli alleati forniscano garanzie militari al paese. Significa barattare potenziali concessioni territoriali alla Russia con l’ingresso nella Nato. Ma nessuno, al momento, sembra disposto a inviare Kiev nell’alleanza.
Gli ucraini si trovano così in una situazione sempre più paradossale. Una fetta crescente dell’opinione pubblica è pronta a negoziare e anche la leadership politica appare ben più disposta che in passato. Ma con l’avvicinarsi di una vittoria di Trump e i crescenti segni di stanchezza da parte degli alleati dell’Ucraina, il Cremlino vede sempre meno la necessità di assecondare queste aperture. Putin sempra sempre più convinto di potersi prendere l’intero paese alle sue condizioni. E la volontà di trattare degli ucraini, in questo, gli appare sempre meno rilevante. Forse, lo scetticismo degli abitanti di Kharkiv non è poi così ingiustificato.
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