Con un imminente cambio di leadership alla Casa Bianca, gli ucraini sono di fronte a un bivio strategico: giocarsi il tutto per tutto in vista del futuro negoziato o provare a tenere duro più a lungo del Cremlino e dei repubblicani
«Se Donald Trump diventerà presidente, lavoreremo insieme. Non sono spaventato». Così il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano di quella che appare una sempre più probabile vittoria repubblicana alle prossime elezioni americane.
Zelensky sembra fare buon viso a cattivo gioco, ma la verità è che tutti a Kiev vedono un cambio di inquilino alla Casa Bianca come una tragedia. Un sondaggio pubblicato dal Razumkov center ha mostrato una maggioranza di ucraini, il 44 per cento, favorevole a una negoziato con la Russia. L’arrivo di Trump potrebbe fornire alle autorità ucraina la scusa per seguire questa strada, senza inimicarsi il resto della popolazione contraria alle trattative.
Cosa vuole Trump?
Trump è imprevedibile, ma una cosa su di lui è certa: vuole che in Ucraina si arrivi presto al negoziato. «Posso far finire la guerra in 48 ore», aveva detto a giugno. Al premier ungherese Viktor Orbán, che ha incontrato la scorsa settimana, avrebbe specificato che vuole legare la consegna di nuove armi all’impegno di Kiev alla partecipazione a negoziati con la Russia.
Ovviamente, sono tutte informazioni che vanno prese con cautela: Trump non è il tipo da farsi legare le mani dalle sue dichiarazioni passate, tanto meno dalle voci non ufficiali. Ma il senso di una sua eventuale vittoria per Kiev è chiaro: gli aiuti dell’alleato più importante saranno ancora meno scontati e aumenteranno le pressioni per trovare una via di uscita al conflitto purchessia.
Gli alleati stanno cercando di minimizzare questi rischi. Al vertice Nato di Washington, la scorsa settimana, il presidente uscente Joe Biden e una ventina di membri dell’alleanza hanno provato a rendere il sostegno a Kiev “a prova di Trump”. Il nuovo pacchetto di armi da oltre 40 miliardi di dollari sottoscritto dagli alleati, unito a quello da 60 miliardi già approvato dal Congresso Usa, forniscono a Kiev un margine di manovra temporale relativamente ampio: armi e munizioni per almeno tutto il 2025, se non oltre.
Il bivio
L’eventuale vittoria di Trump costringe la leadership ucraina a confrontarsi con un fondamentale bivio strategico su come utilizzare queste risorse. La prima possibilità è quella di dare rapidamente fondo alle scorte così da infliggere la massima quantità di danni al nemico e arrivare all’inevitabile negoziato da una posizione migliore dell’attuale. Significa colpire duramente il territorio russo e la sua economia con tutte le armi a disposizione e lanciare una controffensiva già nella primavera dell’anno prossimo – una possibilità di cui Zelensky ha già iniziato a parlare nelle ultime settimane.
La seconda è fare l’opposto. Restare sulla difensiva e risparmiare risorse, così da aumentare l’autonomia delle forze armate ucraine anche in caso di netta riduzione degli aiuti americani. In questo ottica, Kiev potrebbe cercare di ritardare i negoziati e proseguire nella difesa, nella speranza di un cambio della situazione in Russia, negli Stati Uniti o nel sostegno dei suoi alleati europei.
Ognuna delle due alternativa ha i suoi sostenitori a Kiev. Molti militari, una buona parte della società civile più coinvolta nel sostegno alle forze armate e dell’opposizione nazionalista spingono da tempo affinché il paese entri in modalità di “difesa totale”, rinunciando a una vittoria a breve termine e mettendosi nelle condizioni di combattere una guerra lunga, anche a costo di allargare ancora di più le maglie della mobilitazione militare ed economica.
Il governo e lo stesso Zelensky sembrano invece più inclini a concentrare gli sforzi militari in un lasso di tempo relativamente breve, aumentando la frequenza di attacchi in Russia dando fondo alle scorte di armi e preparando nuovi attacchi di terra, così da spuntare le migliori condizioni quando inizieranno quelli che sembrano ormai i futuri ed inevitabili negoziati.
Trump o non Trump
L’inevitabilità, presto o tardi, di negoziati di pace è uno degli elementi messi in ombra dal dibattito sull’eventuale vittoria di Trump e le sue conseguenze per l’Ucraina. Molti nel paese ammettono ormai candidamente che, anche senza una vittoria repubblicana, il massimo che Kiev potrà fare sarà continuare a difendere il territorio che controlla e infliggere moderati danni all’economia russa. Se vittoria significa cacciare i russi da tutti i territori occupati, sostengono, allora l’Ucraina sta perdendo la guerra.
Senza un aumento radicale dell’impegno degli alleati, in pochi giudicano possibile cambiare questa situazione. E di questo aumento non si vedono le tracce, anzi. Pochi giorni fa, la Polonia ha annunciato che non userà i suoi jet per abbattere droni e missili russi vicini al suo spazio aereo. L’amministrazione Biden rimane incollate alle sue linee rosse e rifiuta il via libera agli attacchi a lungo raggio con armi Usa in territorio russo. In Francia, il presidente Emmanuel Macron che voleva inviare truppe di terra nel paese è uscito ridimensionato dalle recenti tornate elettorali ed ora di soldati in Ucraina non parla più quasi nessuno. Persino in Italia il fronte governativo anti-armi, guidato dalla Lega, è tornato a farsi sentire.
Una vittoria di Trump alle future elezioni potrebbe accelerare i futuri negoziati e costringere Kiev a fare scelte difficili in poco tempo. Ma non cambierà radicalmente la situazione ucraina. Già oggi la dinamiche del conflitto e del sostegno degli alleati indicano che la vittoria completa che in molti desiderano e ritengono l’unica giusta soluzione al conflitto è ormai fuori dalla loro portata.
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