Sì, aveva un’espressione livida il presidente americano mentre lunedì parlava ai giornalisti a bordo dell’Air Force One. «Se dovessi pensare che i russi ci stiano prendendo in giro non sarei felice», ha sibilato il capo della Casa Bianca rispondendo a una domanda sulla “tregua che non c’è” in Ucraina, ossia l’accordo di un cessate il fuoco che a oggi sembra scritto nella sabbia e non mostra nessuna evidenza tangibile, tanto che le bombe e i droni cadono da una parte e dall’altra del confine.

Esiste una «scadenza psicologica» entro la quale Mosca dovrà accettare un accordo, insiste Donald Trump, che però continua a sostenere che il presidente russo «è sincero, l’apertura al dialogo è reale».

Il primo a non sembrare convinto sembra proprio lui, Donald, tanto che nella stessa frase ipotizza di imporre dazi sul petrolio russo. Non vuole certo finire impelagato in un negoziato estenuante ed interminabile, che però è esattamente quel che gli ha prospettato Vladimir Putin, nel suo ormai famigerato discorso della settimana scorsa di fronte ad un sottomarino nucleare, quello in cui evoca un governo Onu di transizione in Ucraina, al termine del quale si dovrebbero tenere delle elezioni, dato che lui continua a considerare «illegittimo» Zelensky.

Ancora attese

Benché dal presidente ucraino pare sia arrivata l’indicazione che tale voto potrebbe tenersi entro l’estate (il che equivarrebbe comunque ad altri mesi d’attesa), per Trump l’uscita del capo del Cremlino è stata una doccia fredda: finalmente ha cominciato a sospettare che la materializzazione delle mirabolanti promesse di una pace veloce e rapida, con annessa una specie di divisione del mondo conosciuto con l’amico Vladimir («sono sempre andato molto d’accordo con lui», giura) si stia allontanando sempre di più, invece che avvicinarsi, proprio come in un racconto kafkiano. E un po’ come la storia della “riviera di Gaza”: anche lì la pace è sempre più distante, la conta dei morti sempre più lunga, il cessate il fuoco è stato messo a tacere dall’altro amico suo, Benjamin Netanyahu.

Non va meglio con le famose “terre rare” ucraine. Trump ha annunciato almeno tre o quattro volte l’imminenza di un accordo: evidentemente finanche Volodymyr Zelensky, per quanto umiliato e bullizzato in mondovisione nello Studio Ovale, dimostra di sapere come tenere in scacco la Casa Bianca.

Il tycoon ha mostrato una notevole irritazione anche nei confronti del presidente ucraino, colpevole di tergiversare sulla possibile intesa con gli Stati Uniti per l’accesso alle risorse minerarie del suo paese. Se non si deciderà a firmare «avrà dei problemi, dei grossi grossi problemi», ringhia Trump, nervoso come non mai. Zelensky vuole rinegoziare l’intesa, ha affermato ancora il presidente americano, «vuole entrare nella Nato, ma sa benissimo che non ci entrerà mai».

Ecco: non sembra proprio essere una buona settimana per il presidente. Pochi giorni fa l’incredibile scandalo della “chat di guerra” animata dai fedelissimi Mike Waltz e Pete Hegseth, con i piani d’attacco contro gli houthi nello Yemen che venivano diffusi via social con tanto di emoji, tanto da far sobbalzare (dietro le quinte) i pezzi grossi del Pentagono, sconvolti dalla faciloneria con la quale venivano in un gruppo allargato (c’era finito anche il direttore di The Atlantic) informazioni «altamente classificate».

Al di là dei proclami roboanti, Trump è parso per chiaramente sulla difensiva: secondo svariati analisti ed ex funzionari dell’intelligence sentiti dalla Cnn e da altri media, quella chat ha violato tutte le regole della sicurezza, oltreché del buonsenso, e la storia potrebbe anche costare il posto a Mike Waltz, il consigliere per la sicurezza nazionale, come minimo. Non un bel viatico per un presidente che continua a proclamare l’imminente inizio di una nuova “golden age” per l’America.

Ha avuto gioco facile la sua avversaria alle presidenziali del 2016, Hillary Clinton, a parlare di «dumb power» (in contrasto al soft power che per decenni ha guidato la politica americana nel mondo) in un editoriale pubblicato dal New York Times. «Invece di un’America forte che usa tutta la propria forza per guidare il mondo, l’America di Trump è sempre più cieca e sbadata, debole e senza amici», scrive l’ex segretaria di stato, che non esita ad evocare il rischio che gli Stati Uniti potrebbero trasformarsi in una «repubblica delle banane».

Evoca anche i tagli all’Usaid, la signora Clinton: «Se i dollari americani aiutano a fermare una carestia o una pandemia, quando rispondiamo ad un disastro naturale o apriamo scuole, noi conquistiamo cuori e menti che altrimenti potrebbero finire tra i terroristi oppure a rivali come la Cina. È un modo per rafforzare amichevolmente governi che altrimenti collasseranno», aggiunge Hillary. Tutto il contrario di quello che fa l’America del tycoon: e l’impatto devastanti di questi tagli e della “rivoluzione culturale” della nuova amministrazione è ancora tutto da calcolare. Compresi i contraccolpi sugli Usa, che potrebbero finire travolti dalla destabilizzazione globale che stanno disseminando.

Suspense in Wisconsin

Non finisce qui. Trump resterà sulla graticola anche nei prossimi giorni: oggi si vota per due seggi della Camera in Florida, lasciati liberi appunto da Waltz, passato alla Casa Bianca, e da Matt Gaetz, dimessosi per diventare segretario alla giustizia (ma poi obbligato a rinunciare per i tanti scandali che l’hanno travolto). Ebbene, se i repubblicani dovessero perdere uno o tutt’e due i seggi, la maggioranza al Congresso si farebbe pericolosamente esigua.

Poi c’è l’elezione in Wisconsin di un nuovo giudice della Corte suprema dello Stato: a dimostrazione di quanto sia importante per casa Trump questo voto, nella competizione è intervenuto a gamba tesa lo stesso Elon Musk, che in un comizio a favore del candidato conservatore Brad Schimel ha consegnato personalmente due assegni da un milione di dollari a due partecipanti all’evento.

«È una sfida apocalittica»: così ha spiegato il tecnomiliardario il suo gesto. Il fatto è che, secondo il capo di SpaceX, se i democratici vincessero il seggio «ridisegnerebbero i distretti elettorali» a loro vantaggio. Dunque, per Musk «la posta in gioco è il controllo della Camera dei rappresentanti. Questa corsa per la Corte suprema del Wisconsin potrebbe decidere il futuro dell'America e della civiltà occidentale».

C’è chi pensa che l’appuntamento del Wisconsin e il voto il Florida rappresentino un primo test politico per Trump a meno di tre mesi dal suo insediamento. E c’è chi giura che anche per questo Donald ieri aveva quell’espressione livida in volto.

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