Ecco perché la vittoria del capogruppo della Lega al Senato al congresso leghista della Lombardia non avrà conseguenze sulla leadership del Capitano
Il congresso della Lega Lombarda è stato un esercizio di illusionismo. Ognuno ha interpretato la parte assegnatagli dalla storia recente del corso salviniano. Perciò le dichiarazioni rilasciate durante o a margine del congresso del partito lombardo vanno lette per quello che sono: frasi di circostanza, assai distanti da un reale orizzonte di cambio di linea politica che guardi alle istanze del nord come prioritarie. La genesi stessa del congresso regionale è indicativa del senso vero dell’evento politico che ha incoronato Massimiliano Romeo nuovo segretario della Lega Lombarda. O meglio della Lega Salvini premier Lombardia. La distinzione non è secondaria, è anzi il cuore del problema. Così come lo è la selezione dei candidati.
Romeo è il capogruppo della Lega al Senato, è considerato un fedelissimo di Matteo Salvini, ma è anche ritenuto una figura di collegamento con i nordisti isolati dopo la svolta nazionalista del partito. La vittoria di Romeo al congresso regionale non avrà conseguenze sulla leadership del Capitano, che attende la sentenza del processo Open Arms di Palermo, prevista per il 20 dicembre. Romeo ha cavalcato le battaglie sovraniste come altri e in alcuni casi con più determinazione. Non si è mai speso a difesa di chi nei mesi scorsi è stato isolato, marginalizzato.
«La linea politica resterà identica», dice a Domani Paolo Grimoldi, ultimo segretario della vera Lega Lombarda, cacciato nei mesi scorsi dai salviniani perché per niente allineato e tra i pochi che ha espresso pubblicamente le critiche al segretario, accusato dai nordisti di aver tradito il settentrione, ossia la Padania. «L’unico cambiamento possibile è uno solo, ma non mi pare sia all’ordine del giorno: cambiare nome e simbolo al partito ormai personale di Salvini», ragiona Grimoldi, che parla per non per sé ma per un gruppo nutrito di iscritti che hanno aderito anche alla sua nuova associazione Patto per il Nord, un movimento che unisce numerose sigle federaliste, tra cui il partito dell’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, bossiano di ferro.
In pratica, secondo Grimoldi, la rivoluzione interna passa attraverso la cancellazione nello statuto della frase Salvini premier: «Finché resterà quell’etichetta nel simbolo nessun vero cambiamento sarà possibile, solo Salvini non l’ha capito». Il dissidente nordista corrobora la sua analisi interna con i numeri delle ultime elezioni: «La Lega non è mai stata così povera di voti al Nord dagli anni Novanta, persino all’epoca di Belsito e dello scandalo diamanti prendeva più voti».
I nordisti spiegano la progressiva discesa verso l’irrilevanza con un esempio concreto: «Il partito di Salvini è quello che trova miliardi da mettere nel ponte sullo stretto e poi lascia che in legge di bilancio rimanga la previsione di aumento delle tariffe dei caselli autostradali fin all’1,8 per cento, e noi della Lega Nord eravamo quelli che andavano a Roma a chiedere di toglierli i caselli». Per non dire dei sacri confini, ironizza Grimoldi: «Se pensasse ai problemi del nord, andrebbero eliminate le frontiere, come quella Svizzera che crea un danno enorme al territorio». Certo Romeo non può dirsi in dissenso con Salvini sul ponte: «La sinistra di dimostra nemica delle grandi opere», aveva dichiarato qualche tempo fa difendendo il pallino che fu di Silvio Berlusconi e ora del ministro delle Infrastrutture, suo segretario Salvini.
Ecco, dunque, che letta con le lenti dei fedelissimi di Umberto Bossi, il congresso della Lega Lombarda mostra tutte le sue contraddizioni. L’unica cosa certa, al di là dell’elezione di Romeo, è la debolezza di Salvini: negli equilibri nazionali è ormai un Capitano dimezzato, internamente si blinda con suoi uomini per non perdere ciò che resta della sua leadership.
Il resto è solo un teatrino della politica: con un nuovo segretario lombardo presentato come presunto anti Salvini, con dichiarazioni che servono a condire questa narrazione rassicurante per i dissidenti veri, ma che in realtà è una scelta per dare continuità al progetto di Salvini di una lega a sua immagine e somiglianza. Tanto che l’atteso congresso federale, cioè il momento in cui un partito discute della leadership, non sarà un’assemblea in cui si voterà il segretario, ma sarà solo programmatica. Un’altra magia lessicale per dire che il capo, nonostante le ripetute sconfitte, sarà sempre e solo lui: Salvini.
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