Non servirà al governo l’espediente del ricorso a una legge ad hoc di immediata applicazione che imponga la lista dei paesi sicuri. Ma adesso il rischio dello scontro istituzionali è altissimo. Ne vale la pena?
La disavventura albanese rischia di far deflagrare un gravissimo e irrimediabile scontro istituzionale con la magistratura di cui può ritenersi unico responsabile l’esecutivo Meloni, prigioniero della propria politica inutilmente declamatoria. Non mancano aspetti di farsa, ma la situazione non seria è molto grave.
Mentre la difesa di Salvini esponeva l’audace tesi che lo scopo di 147 disgraziati su di una bagnarola nel Mediterraneo fosse quello di una crociera finalizzata alla caduta del governo italiano (il diritto di difesa è anche libertà di spararle grosse, anche se l’accusa di sequestro di persona appare una forzatura), il tribunale di Roma emetteva una serie di ordinanze con cui annullava la deportazione nei campi italo-albanesi di ben 12 immigrati.
Ciò ha scatenato i soliti corifei e purtroppo la stessa premier e il presidente del Senato, che hanno straparlato di “opposizione istituzionale” e minacciato una “perimetrazione delle funzioni” dei magistrati. Si adombra addirittura un intervento legislativo con cui l’esecutivo, secondo il modello putinian-orbaniano, dovrebbe circoscrivere il ruolo della giurisdizione e dettarle i criteri di interpretazione delle proprie leggi (peraltro, abbiamo visto anche questo per annullare gli effetti di una sentenza della Cassazione).
Eppure entrambi mancano il bersaglio: nonostante una non necessaria intervista della presidente di Md, la “colpa” non è dei magistrati italiani, ma di un organo europeo che da qualche decennio sorveglia la corretta applicazione dei trattati europei e delle varie “carte” dei diritti umani. Come noto, con una sentenza recentissima del 4 ottobre ( opposizione “istituzionale” Ue?) la Corte di giustizia europea ha statuito il principio che sia il giudice nazionale a valutare i criteri in base ai quali un paese di provenienza dei migranti possa ritenersi “sicuro” così da potergli rispedire l’indesiderato ospite.
Nel caso di specie, i giudici italiani c’entrano nulla: a sollevare la questione sulla esatta “perimetrazione” della direttiva Ue è stato il tribunale ceco di Brno che doveva decidere sulla sicurezza non di un paese africano, ma della Moldavia, nazione che il 29 novembre 2013 ha firmato un accordo di associazione con l'Unione europea ed è in attesa, con parere favorevole del Consiglio europeo, di poter addirittura aderire all’Ue. Ebbene, anche per l’europea nazione moldava, la CgUe ha dettato il principio che il giudice dell’immigrazione debba accertare il rispetto dei diritti umani fondamentali, si badi, in tutto il territorio e nei confronti di tutte le comunità presenti, comprese le minoranze etniche e “gender”.
Il tribunale romano ha ritenuto che Egitto e Bangladesh non diano sufficienti garanzie. Sebbene la vicenda Regeni per l’Egitto di Al Sisi e una recente rivolta popolare con centinaia di morti nel Bangladesh per sbarazzarsi della premier Hasina sostituita, a furor di popolo, dall’economista premio Nobel Yiunis, siano eloquenti, va detto che lo stesso ministero degli Esteri italiano nelle apposite schede-guida approntate per l’immigrazione, pur inserendo i due paesi nella lista dei sicuri, non aveva potuto fare a meno di segnalarne alcune criticità in materia politica e di discriminazione sessuale.
Dunque la decisione dei giudici italiani, certamente opinabile, non è indice di alcun abuso di potere: come ho scritto su questo giornale, l’ideologia può incidere sulle valutazioni del magistrato e ciò è criticabile, ma non può incrinare la legittimità dei suoi atti, che vanno commentati liberamente.
Non servirà al governo l’espediente del ricorso a una legge ad hoc di immediata applicazione che imponga la lista dei paesi sicuri. È noto persino a uno studente dei primi anni che le direttive e sentenze europee prevalgano nella scala delle fonti pure sulle norme nazionali e che queste possano essere direttamente disapplicate. Nei piani di Meloni si dovrebbe invece passare prima dalla Consulta dove si confida nei nuovi arrivi tra i giudici. Il rischio di un conflitto istituzionale è altissimo. Tutto ciò per 12 migranti e uno spot elettorale.
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