Difficilmente avrebbe potuto immaginare un addio migliore, Margrethe Vestager, rispetto a quello che ha ricevuto martedì 9 settembre. Dalla Corte di Giustizia Ue, infatti, sono arrivate due sentenze pesantissime che, in un certo senso, danno ragione al lavoro portato avanti dalla vicepresidente della Commissione Ue negli ultimi anni nel tentativo di limitare lo strapotere delle grandi compagnie tecnologiche.

La prima riguarda Apple: la Corte di giustizia ha infatti annullato la sentenza del Tribunale Ue risalente al 2020 che aveva annullato la decisione della Commissione Ue di sanzionare la compagnia di Cupertino per gli aiuti di Stato ricevuti dall’Irlanda attraverso alcuni sgravi fiscali. Così facendo, la Corte ha in sostanza ripristinato quella decisione della Commissione del 2016, imponendo all’Irlanda di recuperare circa 13 miliardi di vantaggi fiscali irregolari.

Il governo di Dublino ha dichiarato che rispetterà la decisione della Corte Ue, mentre Apple si è detta delusa dal tentativo dell’Ue di «cambiare retroattivamente le regole», sostenendo di aver sempre pagato tutte le tasse dovute e che questo caso non riguardi «la quantità di tasse che paghiamo, ma lo stato a cui siamo tenuti a pagarle».

Equità

La Corte di giustizia, inoltre, ha anche confermato la multa da 2,4 miliardi di euro inflitta dalla Commissione a Google e alla casa madre Alphabet per abuso di posizione dominante, respingendo quindi il ricorso dell’azienda. Google era stata sanzionata per aver favorito il proprio comparatore di prodotti, Google Shopping, rispetto ai comparatori di altri concorrenti, sfruttando quindi in maniera irregolare la propria posizione dominante nel campo delle ricerche generiche su internet.

«Nessuno è al di sopra della legge»: è questo il messaggio principale che ha voluto trasmettere Vestager in conferenza stampa, definendo le sentenze come «una grande vittoria per i cittadini europei e per la giustizia fiscale». «Questo caso (quello di Google, ndr) è simbolico perché ha dimostrato che perfino le più potenti compagnie tecnologiche possono essere chiamate a rispondere delle proprie azioni».

Per Vestager, inoltre, sul caso Apple l’Ue ha dimostrato che i suoi «sforzi collettivi derivano da un semplice principio: l’equità». Quella tra piccole e grandi aziende, ma anche la giustizia sociale e l’equità tra gli Stati membri: «Non è possibile – ha affermato – che alcuni Stati membri permettano “offerte speciali” per attirare determinate imprese offrendo aliquote basse sulle imposte per le aziende, mentre in altri Paesi le imprese pagano tutte le loro imposte».

Vestager, infatti, ha puntato il dito contro alcuni paesi che praticherebbero “concorrenza fiscale dannosa”, come Malta e Cipro, sottolineando poi che secondo molti studi alcuni Stati membri, come Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Cipro, sarebbero centrali quando si parla di aziende che trasferiscono i propri utili altrove.

Impegno politico

Ma la portata storica delle due sentenze non deriva solo dall’entità economica della sanzione o dai paesi coinvolti. Le decisioni contro Apple e Google rappresentano anche un sostegno all’ingente sforzo messo in atto dall’Ue, soprattutto nell’ultima legislatura, nella regolamentazione delle compagnie del settore tech e in generale dell’ecosistema digitale.

Un impegno che si è tradotto in atti legislativi, come il Digital Services Act e il Digital Markets Act (che Vestager ha sostenuto essere ispirato, in parte, anche al caso relativo a Google Shopping). Fino ad arrivare all’AI Act o al regolamento sulla cybersecurity. Ma ha anche ingaggiato la Commissione in diverse battaglie legali contro i colossi multinazionali della tecnologia.

Basti ricordare, ad esempio, la multa da 1,8 miliardi inflitta di nuovo ad Apple, nel marzo scorso, per non aver permesso a Spotify e ad altri servizi di informare gli utenti relativamente a opzioni di pagamento diverse rispetto a quelle presenti nell’App Store, costituendo quindi di fatto un abuso di posizione dominante.

E anche Telegram, già investita dall’arresto del fondatore Pavel Durov, sarebbe finita nel mirino delle leggi Ue: secondo il Financial Times, infatti, l’app di messaggistica starebbe omettendo in maniera volontaria di aggiornare il numero dei propri utenti, che adesso si attesta poco sotto i 45 milioni. Ovvero, la soglia necessaria per essere riconosciuta come Vlop, “Very Large Online Platform”, e dover quindi sottostare alle regole più stringenti del Digital Services Act.

Grande protagonista della maggior parte di questo lavoro è stata proprio la danese Vestager, commissaria delegata alla Concorrenza da ben dieci anni e in procinto di lasciare la Commissione – la Danimarca ha nominato come nuovo commissario Dan Jørgensen – che non si è sbilanciata nell’indicare un suo possibile sostituto e, alla domanda su quale possa essere l’eredità del suo lavoro, si è profusa in lunghi complimenti per il suo staff, chiudendo con le lacrime agli occhi. Una chiusura degna delle migliori sceneggiature.

© Riproduzione riservata