Dopo un lungo silenzio, i bitcoin sono tornati sotto i riflettori. Inevitabile, considerando che dagli inizi di novembre a oggi sono cresciuti anche del 38 per cento e hanno raggiunto il nuovo massimo storico di 93mila dollari, prima che gli investitori decidessero di incassare una parte di guadagni causando una leggera discesa (nel momento in cui scrivo il valore è attorno agli 89mila dollari).

In realtà, era da qualche tempo che – senza dare troppo nell’occhio – i bitcoin e le altre criptovalute avevano dimostrato per l’ennesima volta la loro capacità di risollevarsi anche dalle peggiori cadute.

L’euforia speculativa che aveva caratterizzato il periodo del Covid è stata infatti seguita dal crollo del mercato degli NFT e del web3 (la nuova evoluzione della rete a base di blockchain e criptovalute, già finita nel dimenticatoio), e soprattutto dalla bancarotta di FTX (la terza più grande piattaforma di compravendita di criptovalute al mondo) e dall’arresto del suo fondatore Sam Bankman-Fried. Una sequenza di eventi che aveva fatto precipitare i bitcoin del 75 per cento nel corso del 2022, passando da 64mila a 16mila dollari.

Dopo aver toccato il fondo, è iniziata la risalita: sul finire del 2023, i bitcoin erano già tornati a quota 42mila dollari, mentre a marzo 2024 hanno raggiunto i 73mila dollari, prima di perdere slancio e scendere di qualche punto percentuale.

Da novembre, la situazione ha iniziato a evolversi rapidamente, fino a trascinare la più antica delle criptovalute al già citato nuovo record storico di 93mila dollari. Che nei primi giorni di novembre si sia anche verificata la vittoria elettorale di Donald Trump e del suo braccio destro Elon Musk non è ovviamente una coincidenza, al punto che gli addetti ai lavori si riferiscono a questa fase di crescita con il termine “Trump Bump” (la spinta di Trump), che ha portato l’intero settore delle criptovalute a superare il valore di 3mila miliardi di dollari: livelli che non si vedevano da esattamente tre anni. 

Che cosa lega l’elezione di Trump e la crescita delle criptovalute? Sono ormai lontani i tempi in cui Trump considerava i bitcoin “una truffa contro il dollaro”. Oggi The Donald ha addirittura una (trascurabile) moneta digitale che porta il suo nome e un’altra battezzata in onore del movimento MAGA. Trump commercia inoltre in Nft a lui stesso dedicati (le Trump Cards) ed è soprattutto diventato il beniamino del mondo cripto, al punto da apparire durante la conferenza Bitcoin 2024 e in quell’occasione fare una serie di promesse che hanno elettrizzato il settore.

L’avvicinamento 

Nonostante i bitcoin siano nati con l’obiettivo di rovesciare la politica monetaria dei governi, oggi i suoi adepti – più interessati a massimizzare i guadagni che all’ideologia alla base della blockchain – brindano agli annunci di Trump, che si è impegnato a trasformare gli Stati Uniti nella “cripto-capitale del mondo”, ha promesso di sostituire l’attuale e ostile presidente della Sec (l’equivalente della Consob italiana) con una figura «che costruirà il futuro invece di ostacolarlo» e ha addirittura ventilato la possibilità di creare una «riserva strategica di Bitcoin».

Un’idea incredibilmente azzardata – visto che i saliscendi delle criptovalute sono l’equivalente finanziario delle montagne russe – ma che sta già guadagnando terreno, al punto che il parlamento della Pennsylvania ha introdotto la prima proposta di legge che mira a creare una riserva strategica statale in bitcoin e lo stesso potrebbe a breve fare il Wyoming. Quanto crescerebbe il valore dei bitcoin se davvero queste proposte andassero in porto? Se davvero la più antica delle criptovalute desse vita a una sorta di Fort Knox digitale?

Se non bastasse, il responsabile del team di Trump che si occupa della transizione, Howard Lutnick, è un grande sostenitore delle monete digitali e potrebbe portare alcuni dei suoi amici cripto-entusiasti nella squadra economica del neoeletto presidente degli Stati Uniti, mentre anche il parlamento si popola di “crypto-bros” come Bernie Moreno, imprenditore del settore eletto al Senato in Ohio.

Il caos 

Al di là delle promesse di Trump e delle speranze dell’ambiente, quanto visto nelle ultime settimane conferma una volta di più l’improbabile sodalizio che si è creato tra un neoeletto presidente degli Stati Uniti che fino a poco fa disprezzava le criptovalute e un mondo che ha invece sempre disprezzato qualunque istituzione.

È probabile che Trump venga considerato – in un’ottica che potremmo definire “accelerazionista” – l’agente del caos destinato a scardinare il sistema da destra. E magari permettere, volontariamente o meno, quella rivoluzione anarcoliberista sognata dai guru delle criptovalute, in cui si fa piazza pulita dello stato e lo si sostituisce con la pura legge del mercato (come ambisce a fare Milei in Argentina).

Il supporto di Musk 

E poi, ovviamente, c’è Elon Musk. L’uomo più ricco del mondo è un grandissimo sostenitore delle criptovalute, al punto da battezzare il suo nascente dipartimento per l’efficienza governativa Doge, come la moneta digitale da lui storicamente sostenuta (senza alcuna ragione particolare, visto che è un clone dei bitcoin come ce ne sono migliaia) e che, in seguito alla vittoria di Trump, ha triplicato il suo valore. Per i cripto-entusiasti, l’approdo di Musk alla corte di Trump non può che essere un ulteriore motivo di gioia.

L’entusiasmo del settore sembra aver contagiato anche gli investitori istituzionali, che ormai da anni seguono con attenzione i bitcoin e le altre criptovalute e che sono stati i principali protagonisti della grande ascesa – e altrettanto imponente tonfo – del 2021. Per misurare l’interesse dei grandi fondi d’investimento si guarda oggi agli ETF relativi ai bitcoin (strumenti che ne seguono l’andamento senza l’onere di acquistarli e custodirli). Nella sola prima metà di novembre, gli ETF dei bitcoin hanno attirato oltre quattro miliardi di dollari, ovvero il 15 per cento del totale investito da quando, nel gennaio 2024, sono stati lanciati questi strumenti.

«Le persone desiderano chiaramente una maggiore esposizione alle criptovalute in seguito alla vittoria di Trump e vogliono, in generale, una maggiore esposizione agli asset più rischiosi», ha spiegato l’analista di Citi Group David Glass alla Reuters.

Il rischio dei dazi 

E se invece Trump non mantenesse le promesse fatte al mondo cripto e, al contrario, le sue politiche economiche finissero per penalizzare i bitcoin e le altre monete basate su blockchain? I dazi che Trump si prepara a imporre potrebbero infatti rilanciare l’inflazione e portare a un aumento dei tassi d’interesse, che sono storicamente correlati con un calo delle criptovalute, che viceversa si avvantaggiano quando i tassi d’interesse scendono.

Fino all’insediamento di gennaio, le politiche di Donald Trump rimarranno solo sulla carta, mentre l’entusiasmo degli investitori ha già avuto notevoli effetti sul mercato e fa prevedere agli analisti di Coindesk che i bitcoin potrebbero (e il condizionale è più necessario che mai) avere davanti a loro una crescita ancora sostenuta.

Quel che è certo è che una spinta alle criptovalute era attesa da tempo, dopo il varo a gennaio dei già citati ETF, dopo l’ascesa di marzo e l’halving di aprile (il momento in cui, ogni quattro anni, viene dimezzata la ricompensa per i miner che certificano le transazioni in bitcoin, a cui storicamente segue un sostenuto aumento del valore). Per infiammare il mondo delle criptovalute, insomma, serviva solo un’ulteriore scintilla, che si è rivelata essere la vittoria di Trump.

Se si ripeterà quanto già avvenuto in passato, i prossimi mesi saranno prima all’insegna di una crescita dei bitcoin e poi, una volta iniziato il rallentamento della principale criptovaluta, sarà la volta delle varie “alt-coin”, a partire da Ethereum. È ancora presto per sapere se siamo agli inizi di una nuova bolla speculativa o se invece si rivelerà solo una fiammata. Molto dipenderà anche dalle mosse di Trump: dopo aver conquistato i voti della criptosfera darà un seguito alle sue promesse o se ne dimenticherà appena varcata la soglia della Casa Bianca?

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