Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado, la numero 514/06 dei magistrati della terza sezione penale del tribunale di Palermo, presidente Raimondo Loforti e giudice estensore Claudia Rosini.


Dopo trent'anni sappiamo ancora molto poco. Ci sono state indagini, ci sono stati processi, sentenze di assoluzione ma nessuno ha ancora capito esattamente cosa è avvenuto a Palermo la mattina del 15 gennaio 1993, il giorno della cattura di Totò Riina.

La storia, per come ce l'hanno raccontata, è nota. Il capitano “Ultimo”, al secolo Sergio De Caprio, con la sua squadra arresta in mezzo al traffico di Palermo, alla rotonda di Viale Lazio, il latitante più ricercato d’Italia, scomparso nel nulla per ventiquattro anni e sette mesi.

Totò Riina si era dato alla macchia nel giugno del 1969, un quarto di secolo e più di mille morti ammazzati dopo, il capo dei capi di Cosa nostra è scivolato in trappola.

Come sono arrivati a lui? Quali le tracce seguite? Qualcuno l'ha tradito?

La versione ufficiale presenta fin da subito lati oscuri. A cominciare dalle soffiate di Balduccio Di Maggio, un boss che era stato autista di Riina e che viene arrestato pochi giorni prima di quel 15 gennaio in Piemonte.

Il caso però si tinge di altro mistero quando si scopre che i carabinieri del Ros, i reparti speciali dell'Arma, abbandonano - appena cinque ore dopo l'arresto del capo dei capi - la sorveglianza del covo dove lui abitava con la moglie Ninetta Bagarella e i loro quattro figli.

Nessuno perquisirà quel rifugio per diciannove giorni. E quando il nuovo procuratore capo della repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli entrerà lì dentro, il 2 febbraio, troverà un covo vuoto. Era stato ripulito.
Il colonnello Mario Mori e Sergio De Caprio finiranno sotto processo e saranno assolti fino in Cassazione «perché il fatto non costituisce reato». Molti dubbi su ciò che è accaduto però restano. Oggi abbiamo un resoconto più accettabile sulla vicenda ma, certamente, ancora incompleto.

Intanto continuano a circolare bufale e ricostruzioni fantasiose, si ripropongono cronache approssimative e perfino libri che sembrano sceneggiature di fiction nonostante i fatti abbiano sufficientemente dimostrato il contrario

Per i prossimi trenta giorni pubblicheremo sul Blog Mafie ampi stralci della sentenza di primo grado, la numero 514/06 dei magistrati della terza sezione penale del tribunale di Palermo, presidente Raimondo Loforti e giudice estensore Claudia Rosini.

Qui di seguito tutti gli articoli della serie (in aggiornamento):

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