Anche le altre piazze europee non brillano e pure il mercato Wall Street va in rosso. L’Italia fa peggio per via dell’elevato debito pubblico e perché il governo si isola in Ue
Per la Borsa di Milano è stato uno dei venerdì più neri della sua storia. Alla chiusura l’indice Fitse Mib segnava meno 6,5 per cento, ma durante la giornata la Borsa Valori è scivolata ben oltre il sette per cento, per poi recuperare centesimi in serata.
Eccolo, il primo tangibile effetto negativo, della politica dei dazi di Trump, che a brevissimo imporrà al dieci per cento di export italiano (tanto è grande il mercato americano per i produttori made in Italy) una extra tariffa del 20 per cento.
Sprofondo Borsa
Così, l'invito meloniano di giovedì sera al Tg1 ad abbassare i toni, di sicuro, non è stato recepito dalle parti di Piazza Affari, che ha chiuso con un tonfo record. Meno 6,5 per cento. Crolli simili ricordano quelli dei momenti peggiori della storia recente: in occasione dell'11 settembre 2001, la triste data degli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono, Milano segnò meno 7,7 per cento. Il giorno in cui Silvio Berlusconi rassegnò le dimissioni da presedente del Consiglio - era il primo novembre del 2011 e eravamo all'inizio della crisi del debito sovrano – il tracollo della Borsa fu del 6,8 per cento. Un'altra seduta da incubo fu il 9 marzo 2020, quando per colpa del coronavirus l'indice segnò meno 11,7 per cento. Fin laggiù non ci siamo ancora spinti, ma i future americani, ieri, prima dell'apertura di Wall Street, prevedevano che le azioni nostrane potessero crollare anche oltre l'undici per cento. Tradotto, significa che la caduta libera della nostra borsa valori potrebbe non arrestarsi qui.
È vero anche che le altre piazze europee non hanno brillato - Francoforte ha chiuso a meno 4,68 per cento; Parigi meno 4,01 per cento; la Spagna scivola a meno 5,82 per cento; Londra registra meno 3,69 –, e neppure il mercato finanziario di Wall Street regge l'urto dei timori di una recessione globale e di una parallela guerra commerciale senza precedenti. Infatti, se Trump ha cannonato i partner commerciali nella giornata di mercoledì, la risposta della Cina non si è fatta attendere. Pechino ha annunciato tariffe speculari, ovvero al 34 per cento, ai beni importati dagli Stati Uniti. La Cina ha inoltre detto di aver inserito 16 aziende americane «che mettono a rischio la sicurezza nazionale e gli interessi di Pechino» nella lista di controllo delle esportazioni.
Stando a quanto precisato dal ministero del Commercio, a partire da oggi l'esportazione di articoli a duplice uso da parte di queste aziende, tra cui High Point Aerotechnologies, Universal Logistics Holdings e Source Intelligence, sarà vietata, mentre tutte le attività di esportazione in corso dovranno essere immediatamente interrotte. Pechino avrebbe anche sospeso l'idoneità di sei aziende degli Stati Uniti a esportare in Cina e, ancora, ha presentato una denuncia all'Organizzazione mondiale del commercio, il Wto, per gli ingenti dazi imposti dagli Stati Uniti sulle sue esportazioni che rappresentano «un palese atto di unilateralismo e una violazione delle regole del Wto.
Giù anche il greggio
Così come il ribasso del petrolio che si è registrato ieri è chiaro indice della recessione in arrivo, perché si prevede un rallentamento generale dell’economia e, di conseguenza, calare la domanda di greggio. Il Brent del Mare del Nord perde quasi il 7,7 per cento, scendendo per la prima volta dall'agosto 2021 sotto la soglia dei 65 dollari al barile. Mentre il petrolio Wti americano è calato dell'8,4 per cento a 61,3 dollari al barile. Per giunta, l'indice della paura di Wall Street, ieri è volato sopra quota 40, ai massimi da agosto: segnale che la volatilità è al massimo e gli investitori pensano che il futuro sarà instabile.
Banche in caduta
Ma torniamo a Milano. I motivi per cui, praticamente fino a metà giornata la Borsa valori è scivolata senza freni, per poi recuperare un poco nel pomeriggio, sono svariati. Prima di tutto pesa l'elevata presenza di titoli bancari e proprio le azioni degli istituti di credito hanno subito i ribassi maggiori, specialmente per quelle coinvolte nelle opa nazionali. L’indice di settore, il Ftse Italia Banche, ha ceduto quasi il nove per cento, e in quest'area si collocano Mps, Unicredit, Bper, Banco Bpm, è andata un poco meglio per Intesa Sanpaolo che ha chiuso a meno 7,63. Il timore degli investitori è che la brusca svolta protezionistica di Trump e la relativa risposta cinese, possano frenare la crescita economica europea e creare forti pressioni recessive.
La crisi economica, a quel punto, si abbatterebbe sulle banche che, specie in un'economia fortemente bancocentrica come l'Italia, sono più esposte alle fluttuazioni del ciclo economico. E se da un lato gli analisti osservano che gli istituti di credito italiani sono attrezzati ad affrontare uno scenario di frenata economica, dall'altro non si esclude che la brusca correzione al ribasso dei prezzi possa avere effetti sugli esiti delle operazioni bancarie in atto.
Italia isolata
Un altro motivo che espone Milano più di altre piazze, è il gigantesco debito pubblico italiano, che non consente al sistema paese di avviare una strategia di autodifesa di fronte a una possibile recessione. Per capirci, il progetto messo a punto dal tedesco Merz, di emettere debito pubblico per investire mille miliardi di euro in dieci anni utili al riarmo nazionale, offrendo quindi un ombrello ai venti di crisi per l’economia tedesca, qui da noi è di gran lunga più complicato da realizzare.
E questo lascia l'Italia in balia della burrasca, e il paese sta proprio seduta in prima fila, insieme alla Germania, che sono i paesi europei più dipendi dalle esportazioni. La terza motivazione è di ordine politico. Meloni ha una posizione diversa da quella di Emmanuel Macron e Friedrich Merz. Il francese minaccia di chiudere il rubinetto agli investimenti verso gli Stati Uniti. Il tedesco manifesta tutta la sua preoccupazione per quello che potrebbe essere il terzo anno di recessione per Berlino. Per dire, persino John Elkann, il capo di Stellantis, ha alla fine deciso di usare le maniere forti con il governo americano, licenziando temporaneamente 900 lavoratori in cinque stabilimenti statunitensi, oltre ad aver sospeso la produzione in due impianti in Messico e Canada.
La presa di distanza di Meloni dalle posizioni di von rer Leyen e dei colleghi francesi e tedeschi, nonché la sua mai rinnegata vicinanza a Trump, rende il nostro paese più isolato, rispetto a quella che dovrebbe essere una risposta razionale e unanime alla scellerata politica economica trumpista.
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