Durante la pandemia quasi la metà dei paesi poveri del mondo ha ridotto la propria spesa pubblica nel settore sanitario. La crisi ha ulteriormente allargato la forbice del divario socio-economico tra economie sviluppate e paesi a reddito basso e medio basso
Durante la pandemia quasi la metà dei paesi poveri del mondo ha ridotto la propria spesa pubblica nel settore sanitario. È forse il dato più significativo tra quelli emersi dal nuovo rapporto sulle disuguaglianze di Oxfam e Development finance international (Dfi). Il documento è stato pubblicato in occasione degli incontri annuali di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, in programma dal 14 al 16 ottobre a Washington.
La forbice si allarga
Lo studio ha analizzato le politiche fiscali e del lavoro e le principali voci della spesa pubblica durante il biennio di pandemia: la crisi globale ha imposto tagli in 77 dei 161 paesi osservati. «Gli interventi pubblici di contrasto alle disuguaglianze hanno in molti casi mostrato livelli di grave inadeguatezza», spiega Oxfam.
Emblematico, in questo senso, è il taglio alle risorse destinate alla sanità, proprio in concomitanza con la peggiore emergenza sanitaria della storia moderna. In Giordania, ad esempio, gli investimenti in questo settore sono calati del 20 per cento rispetto alla spesa pubblica complessiva.
La crisi innescata dal Covid-19 ha ulteriormente allargato la forbice del divario socio-economico tra economie sviluppate e paesi a reddito basso e medio basso. Laddove è stato possibile adottare misure di welfare emergenziale, come in Italia, queste hanno permesso di mitigare una prevedibile “esplosione delle disuguaglianze”, che pure ha lasciato segni visibili. Mentre i paesi più vulnerabili «si sono trovati senza liquidità disponibile per analoghe misure di supporto al reddito».
Il debito
Ogni ipotesi di espansione della spesa in favore della collettività è soffocata dal cappio del debito pubblico. Matthew Martin, direttore del Dfi, ha spiegato che «per ogni dollaro speso per la sanità pubblica i paesi in via di sviluppo spendono quattro dollari per ripagare i propri debiti contratti in prevalenza con ricchi creditori esteri».
Nel 2021 il servizio del debito è costato ai paesi a basso reddito –nel mondo sono 46, secondo gli ultimi dati delle Nazioni unite – il doppio della spesa destinata all’istruzione e 12 volte la spesa per la protezione sociale.
Secondo Martin dovrebbero essere garantiti «un’immediata sospensione del servizio del debito e favoriti accordi equi per una sua ristrutturazione».
Tassazione e salari
Le leve a disposizione dei governi per favorire l’equità sociale non sono state applicate. I redditi dei lavoratori non crescono né nei paesi poveri né in quelli ricchi. In Nigeria il salario minimo legale non viene ritoccato da prima dello scoppio della pandemia, negli Stati Uniti addirittura dal 2009. Nel biennio 2020-2021 in due terzi dei paesi osservati i salari minimi non hanno subìto incrementi.
E nello stesso periodo non è aumentata anche la tassazione sui redditi più alti. Soltanto 18 governi su 161 sono ricorsi a un aumento del prelievo sui patrimoni più elevati. «Non si è intervenuti nemmeno per la tassazione straordinaria degli extraprofitti pandemici incamerati da operatori dei settori farmaceutico, dell’It o del commercio online», vale a dire quei settori che hanno visto crescere il proprio di giro di affari nei due anni di crisi.
Alla vigilia del ciclo di incontri, Gabriella Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International, pone i vertici finanziari riuniti a Washington di fronte a un bivio: «Contribuire alla costruzione di economie più dinamiche ed eque o continuare con lo status quo», e una «immotivata sofferenza per gli strati sociali più vulnerabili».
© Riproduzione riservata