Silvia dice che la prima immagine che le viene in mente quando pensa alla sua maternità è una carta dei tarocchi: la torre, tra pioggia e fulmini. È una carta che richiederebbe di abbracciare il cambiamento e accettare l'imprevedibilità, spiega Silvia. «E io mi sento un po’ così, una donna che attraversa la tempesta».

Ha 28 anni, è rimasta incinta quando ne aveva 23. Vive insieme a suo figlio e al loro cane in un piccolo bilocale a Bologna, dove lavora come educatrice in una cooperativa. «In realtà io volevo fare psicologia, ma ho dovuto scegliere il corso da educatore sociale e culturale perché la facoltà non aveva la frequenza obbligatoria e col bambino era impossibile altrimenti», dice.

«Ma anche oltre i compromessi che puoi fare, il problema è che rimani sotto a una soglia di povertà che non riesci a superare. E per avere il minimo devi lavorare il doppio, facendo un sacco di fatica», dice Silvia. «Fatica che magari non ti puoi neanche permettere, perché devi andare avanti, salutare tuo figlio la mattina, portarlo a scuola e rivederlo la sera per metterlo a letto».

Con un gap di genere che ne limita le risorse economiche, le madri single si ritrovano a fronteggiare da sole la gestione del tempo, del lavoro e delle finanze. In Italia esistono dei bonus destinati a loro, ma spesso neanche queste misure sembrano sufficienti a compensare i problemi strutturali di un sistema di assistenza all’infanzia e di un mercato del lavoro ancora discriminanti.

Quanto sono vulnerabili le mamme sole?

Nel 2023 in Italia l'82 per cento delle famiglie composte da un solo genitore sono madri single con figli a carico, per un totale di circa due milioni e 400mila donne. Ma di tutte queste mamme sole, nubili, vedove, separate o divorziate, una su dieci (11,5 per cento) vive in condizioni di povertà assoluta. 

I genitori single in Europa trovano con più probabilità lavori poco stabili, ma ad aggravare la “povertà lavorativa” delle madri single c’è il divario di genere, registrato in quasi tutti i paesi Ue.

Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia circa il 42 per cento delle mamme sole sono inattive o disoccupate. E anche quando trovano un’occupazione, le lavoratrici italiane guadagnano in media solo 8,3 euro l'ora.

Tante madri sole, quindi, affrontano con difficoltà le spese quotidiane: una su cinque è in ritardo con il pagamento di bollette, affitto o mutuo e una quota simile dichiara di non riuscire nemmeno a riscaldare adeguatamente la propria abitazione. Gli assegni familiari aiutano a ridurre queste condizioni di povertà, ma in Italia le misure specificatamente pensate per la monogenitorialità sono poche.

La legge di Bilancio 2025 sembra potenziare ad esempio le misure a sostegno dei congedi parentali, che però sono limitate ai lavoratori dipendenti: per una mamma single, spesso con contratti precari o autonomi, non c’è lo stesso accesso ai benefici.

Tra gli interventi sociali, viene rinnovata anche la Carta “dedicata a te”, riservata ai nuclei di almeno tre persone, e vengono ricalibrate le detrazioni fiscali sul “quoziente familiare”, che quindi considera il numero di figli a carico. Ma entrambe le misure lasciano fuori più della metà delle madri sole (il 52,9 per cento) in Italia, che invece hanno un figlio soltanto.

Secondo Giovanna Florio, consigliere nazionale dell’Associazione nazionale commercialisti, le detrazioni fiscali per spese essenziali, come quelle mediche, scolastiche o sportive, sono peraltro solo relativamente vantaggiose: la detrazione del 19 per cento sulle spese sportive (fino a un massimo di 210 euro per figlio) si traduce ad esempio in un risparmio di appena quaranta euro all’anno. «Stiamo parlando di briciole», dice Florio.

E nel 2025 la situazione potrebbe essere ancora peggiore, spiega Florio. Le misure annunciate nella legge di bilancio, tra cui la revisione delle aliquote fiscali, non compensano l’erosione delle detrazioni e i limiti sempre più stringenti degli assegni familiari: anche con una riduzione dell’aliquota di un punto percentuale, i risparmi si aggirerebbero intorno ai 200-260 euro all’anno per redditi fino a 50mila euro. 

«Il problema, poi, è anche che il nostro welfare è molto frammentato e gli interventi statali non sempre interagiscono in maniera armonica», dice Elisabetta Ruspini, professoressa associata di sociologia all'Università di Milano-Bicocca ed esperta di maternità single. La sostituzione delle detrazioni fiscali per figli a carico con l'Assegno Unico Familiare ha reso, ad esempio, il sistema di sostegno economico paradossalmente meno accessibile per alcune famiglie.

Questo è dovuto al fatto che l’Assegno unico si basa sul calcolo dell’Isee, un parametro che non considera solo il reddito annuale, ma anche il patrimonio complessivo. Con risparmi o assegni di mantenimento, l’Isee delle mamme single può risultato più alto anche con un reddito modesto, riducendo l’importo dell’assegno o escludendole del tutto.

L’assistenza all’infanzia in Italia

Gli Stati con congedi ben retribuiti e aiuti statali riescono meglio a contrastare la povertà delle mamme sole. Ma nei paesi in cui queste misure non sono disponibili, le mamme single sono costrette a pagare alte quote del loro reddito, già basso rispetto a quello di altre tipologie di famiglie, per l’assistenza all'infanzia.

«Per per pagare il nido a un bambino, il genitore deve lavorare. Ma le mamme disoccupate, che hanno bisogno di tempo per cercare un lavoro, non possono permettersi di mandare i figli piccoli a scuola. Si crea così una grandissima contraddizione», spiega Pamela Zanotti, pedagogista di OneParent, associazione di promozione sociale sulla genitorialità single.

In Italia, ad esempio, le tariffe degli asili nido sono sempre più alte, sia nel privato sia nel pubblico, con un aumento delle tasse scolastiche dell'8,8 per cento in media rispetto a soli due anni fa. La legge di Bilancio 2025 prevederà un potenziamento del bonus nido, escludendo l'assegno unico universale dal calcolo dell'Isee, rendendo più famiglie idonee. Il problema, però, è che in Italia non ci sono posti nelle strutture.

Le disponibilità medie negli asili nido (il 30 per cento per il totale dei bambini in età, secondo gli ultimi dati) non rispetta infatti gli standard europei, che prevederebbero una copertura minima del 33 per cento, ed è sotto di circa otto punti percentuali rispetto alla media Ue (37,9 per cento). Alcune regioni, come Sicilia e Campania, non arrivano neanche al 15 per cento.

«In più c’è una distribuzione territoriale non omogenea», dice Ruspini. «E tutti questi fattori determinano svantaggi intersezionali che così colpiscono alcune categorie di madri sole più di altre: quelle che vivono in aree interne non urbane, quelle migranti, quelle con situazioni di disabilità».

Il Pnrr aveva previsto inizialmente la creazione di 250mila nuovi posti nei nidi per tentare di attenuare almeno il divario territoriale tra Nord e Sud, ma il numero è poi calato a 150mila. E questo impatta sia sulla sfera finanziaria sia su quella psicosociale delle famiglie lasciate scoperte.

«Se un bambino è privato dalla possibilità di interagire con altri bambini ed educatori preparati, perché la madre non ha una macchina o non ha i soldi per pagare l'asilo nido, ovviamente sono costretti a giocare in casa, magari in un appartamento piccolo e in un'area senza servizi», dice la professoressa Ruspini. «È ovvio che questo crea delle sacche di deprivazione materiale e di esclusione sociale, sia nei bambini sia tra le madri».

Diritto all’indipendenza

Silvia racconta che l’ultima volta che sua madre è andata a trovarla, l’ha vista lavorare, studiare, gestire il bambino, la baby sitter, portare il cane a passeggio. «Quando se n'è andata si è messa a piangere e mi ha detto: “Bravissima, non so come fai”», dice. Eppure dice di essere «felicissima» della sua vita, perché si è guadagnata tutto quello che ha e ha «lottato con i denti per mantenerlo». È sentire di non poter vivere mai completamente da donna autonoma che la fa arrabbiare.

«Io litigo con chiunque su questo. A Bologna vivo in un'isola felice, qui almeno il nido segue fasce di reddito abbastanza adeguate e la mia famiglia comunque c’è, che è una fortuna», dice. «Ma sono comunque quattro anni in cui mi sento bloccata in un bilocale con una sola camera da letto da 760€ di affitto, faccio la spesa, le bollette, mi sono pagata tutta l'università da sola. E non c’è supporto, senti che non esiste una via d’uscita».

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