Nella manovra non ci sono risorse per le 30 mila assunzioni promesse dal ministro Schillaci. Pochi spiccioli per le pensioni. Forza Italia contro il tetto ai compensi dei manager pubblici
Più che quello che c'è, colpisce quello che non c'è. Dopo infiniti annunci e le conseguenti aspettative create, nella legge di bilancio alla fine non è stata inserita una delle misure più attese: il piano di assunzioni di medici e infermieri, essenziale per potenziare il sistema sanitario nazionale. «Puntiamo a un piano su tre anni per assumere medici e soprattutto infermieri che sono quelli che mancano di più», aveva annunciato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, a inizio ottobre.
Secondo le informazioni fatte filtrare dal governo, dovevano essere circa 30mila ingressi in tre anni. Invece, nel testo inviato per la discussione al Parlamento dopo la firma di Sergio Mattarella, del piano di assunzioni non c'è traccia.
Non è l'unica sorpresa negativa per i camici bianchi. La manovra prevede che il «fabbisogno sanitario nazionale», cioè la spesa pubblica per il settore, verrà aumentato di 1,3 miliardi di euro nel 2025. Sono quasi 2 miliardi e mezzo in meno rispetto alle attese (3,7 miliardi di euro). Logico pensare che proprio da questa riduzione della spesa derivi il mancato piano di assunzioni.
La protesta dei sindacati
Come prevedibile, la novità ha fatto saltare i nervi ai sindacati di categoria. Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up hanno proclamato uno sciopero di 24 ore per il prossimo 20 novembre. I leader sindacali hanno parlato di «giravolte del Ministero dell’Economia che vanificano gli sforzi del Ministero della Salute», e hanno anche ricordato che il governo continua ad «aumentare i finanziamenti per la sanità privata».
Tra i 20 articoli della manovra dedicati alla sanità, ce n'è uno che aumenta il budget dedicato a rimborsare le strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale. Come quelle del parlamentare della Lega, Antonio Angelucci. L'aumento di spesa previsto è dello 0,5 per cento nel 2025 e dell'1 per cento nel 2026. Tradotto: 61,5 milioni di euro in più per l'anno prossimo, 123 milioni per quello successivo.
A calmare gli animi non sono serviti nemmeno gli aumenti salariali per il personale della sanità pubblica. Per il 2025 la finanziaria prevede un incremento mensile netto in busta paga di 17 euro per i medici, di 14 euro per i dirigenti sanitari, di 7 euro per gli infermieri. Previsto anche un ritocco all'insù per chi lavora nei pronto soccorso e degli incentivi per i giovani medici specializzandi. «Briciole», secondo i sindacati, convinti che sia «ormai evidente» lo «smantellamento del Servizio sanitario nazionale».
Sul resto della manovra, che vale in tutto circa 30 miliardi di euro, tra le misure più importanti annunciate è stata confermata la riduzione a 3 delle aliquote Irpef e il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, alzando la soglia da 35mila a 40mila euro annui. Secondo Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia, di quest'ultima misura beneficeranno 1,3 milioni di lavoratori in più rispetto a quelli già coinvolti quest'anno (13 milioni), che grazie al taglio hanno ricevuto mediamente 100 euro in più in busta paga. Solo questi due provvedimenti costano circa 15 miliardi di euro.
Confermato anche l'aumento delle pensioni minime, sebbene più contenuto del previsto e inferiore all'incremento di quest'anno. Rispetto alle indiscrezioni dei giorni scorsi, che prevedevano un rialzo degli assegni più bassi del 2,7 per cento, il ritocco sarà del 2,2 per cento per l'anno prossimo.
In pratica i beneficiari riceveranno 3 euro in più al mese: l'assegno passerà infatti dagli attuali 614,77 euro a 617,9 euro (la base di calcolo è quella precedente all'aumento del 2,7 per cento dato l'anno scorso). Considerando che l'aumento dei prezzi al consumo in Italia l'anno prossimo (stime del Fondo monetario internazionale) dovrebbe attestarsi al 2,2 per cento, il potere d'acquisto reale dei pensionati italiani più poveri resterà invariato.
Banche e manager
Infine, i due punti più attesi della finanziaria: la norma su banche e assicurazioni, e quella sugli stipendi dei manager della pubblica amministrazione. Entrambe le misure saranno essenziali per racimolare le risorse necessarie a realizzare gli aumenti di spesa citati sopra. Il contributo proveniente da banche e assicurazioni (non è una tassa sui cosiddetti extraprofitti, come si era ipotizzato inizialmente) dovrebbe permettere allo Stato di risparmiare 4 miliardi di euro nei prossimi due anni.
Non si tratta di un perdita secca per le banche, ma di un rinvio. In sostanza, invece di poter dedurre nei prossimi due anni, come fatto finora, i costi delle svalutazioni, dell'avviamento di attività e le perdite sui crediti, gli istituti dovranno aspettare il 2027.
Sugli stipendi dei manager della Pubblica amministrazione, invece, le prospettive sono molto più fosche. La manovra prevede, a partire dal prossimo gennaio, un tetto massimo annuale di 120mila euro lordi (pari, si legge nel testo, «al 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo spettante al primo presidente della Corte di cassazione») come stipendio per i manager apicali degli enti pubblici. Sembrerebbe semplice, non fosse che la norma è seguita da 17 righe, scritte in burocratese strettissimo, per spiegare a quali enti «le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano».
Citati, fra i tanti: «organi costituzionali e a rilevanza costituzionale», Regioni, «province autonome di Trento e di Bolzano, enti locali e i loro organismi ed enti strumentali», Istat, Inps, Inail, Agenzie fiscali, Enasarco, Enpam, Inpgi, Cassa nazionale del notariato, dei commercialisti, degli avvocati, degli ingegneri e degli architetti. Solo per mensionarne alcune.
Forza Italia ha già annunciato di non essere d'accordo con la norma: «In questi anni, proprio a causa del tetto (che finora era pari a 240mila euro, ndr), molti manager hanno lasciato la pubblica amministrazione per le aziende private. Serve una riflessione», ha detto il capogruppo di Fi in commissione Bilancio al Senato, Dario Damiani. Tutto fa presagire una lunga battaglia in Parlamento. E non potrebbe essere altrimenti: il tema tocca direttamente i manager nominati dai partiti.
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