Tutto comincia dai fischi, quelli che il 16 novembre scorso hanno accolto John Elkann sugli spalti delle Atp Finals di tennis. Questa contestazione plateale, per di più nella Torino che fu degli Agnelli, ha segnato in qualche modo un punto di non ritorno.

Quel giorno il presidente di Stellantis si è convinto che qualcosa bisognava fare, e in fretta, per arginare la frana che rischia di travolgere il futuro dell’azienda insieme all’immagine della sua famiglia.

Solo una settimana prima, Elkann era diventato il bersaglio anche di Giorgia Meloni che in tv gli aveva rinfacciato di aver mancato di rispetto alle istituzioni rifiutando l’invito in Parlamento per un’audizione sui problemi del settore auto. Parole e toni senza precedenti da parte della premier che pure non ha mai risparmiato le critiche ai vertici della multinazionale, accusati di aver abbandonato al loro destino le fabbriche italiane.

La svolta

Messo all’angolo, l’erede della dinastia che creò la Fiat si è trovato in qualche modo costretto a reagire. Il primo a farne le spese è stato Carlos Tavares, il capoazienda che aveva messo la faccia su una strategia sempre più impopolare. Una volta silurato il manager è partita una campagna mediatica disegnata su misura per raccontare la nuova rotta di Elkann e famiglia, pronti a conciliare le esigenze di un bilancio in pericoloso declino con quelle della politica, che non può permettersi l’addio all’Italia della più importante azienda privata del paese.

A meno di due mesi dalla crisi di novembre, l’aria attorno a Stellantis è già cambiata. Nelle settimane scorse, i giornali hanno rilanciato l’inchiesta pubblicata dal settimanale francese Le Point, un lungo racconto a tratti agiografico per ripercorrere vita e opere di Elkann, compreso il rapporto tormentato con la madre Margherita Agnelli, con cui da anni è in corso una clamorosa resa dei conti sull’eredità di Gianni Agnelli e della moglie Marella Caracciolo.

Stato azionista?

Poco prima di Natale, via televisione e social, un nuovo spot ha rilanciato i solenni impegni dell’azienda verso l’Italia. “Si può fare” è il titolo della canzone di Angelo Branduardi scelto per accompagnare le immagini del video targato Stellantis. Davvero “si può fare”?

La partita si gioca anche sui tavoli della politica. Elkann sembra aver capito che conviene prendersi nuovi margini di manovra nei rapporti con il governo, abbandonando la tattica dei botta e risposta a muso duro scelta in passato da Tavares con il via libera della proprietà.

Entrambe le parti hanno tutto da guadagnare da un approccio più morbido. In una fase di crisi ormai strutturale del settore automobilistico, Stellantis non può permettersi di affrontare la tempesta senza il sostegno dell’esecutivo. Meloni invece può presentare il cambio di rotta di Elkann come un proprio successo personale, un successo da rivendere al mercato della propaganda.

In questo nuovo clima non sembra causale che abbiano ripreso a circolare le voci di un’ipotetica trattativa per l’ingresso dello Stato nel capitale di Stellantis con l’obiettivo di sostenerne il rilancio.

Il Tesoro affiancherebbe così il governo di Parigi, già azionista con una quota del 6,1 per cento della multinazionale nata dalla fusione tra Fca e la grande azienda francese Psa (Peugeot-Citroen). Dopo il forte ribasso in Borsa dei titoli Stellantis, acquistare una quota pari a quella del governo transalpino costerebbe poco più di 2 miliardi, quasi la metà rispetto a un anno fa.

Queste sono le indiscrezioni che rimbalzano tra i palazzi romani. Indiscrezioni che per ora restano tali, ma intanto possono essere interpretate come la conferma della volontà del governo di aprire un capitolo nuovo nei rapporti con un’azienda che resta strategica per il paese.

Ben diversa è la situazione sul fronte francese. Il legame di Torino con Parigi resta stretto e saldo: il 16 dicembre scorso Elkann ha fatto visita al presidente Emmanuel Macron all’Eliseo. Meloni invece, a differenza di tutti i suoi predecessori, non ha finora mai ricevuto a Palazzo Chigi il presidente di quella che fu la Fiat.

Pax romana

Intanto però qualcosa si muove anche a Roma. Dopo il vertice del 17 dicembre al ministero delle Imprese alla presenza anche dei vertici dei sindacati, il governo ha potuto annunciare un nuovo “Piano Italia” varato da Stellantis per salvare i posti di lavoro in fabbrica grazie ai nuovi modelli in rampa di lancio da qui al 2030. All’atteso incontro prenatalizio la delegazione aziendale era guidata da Jean-Philippe Imparato, il manager francese a cui sono state affidate le attività del gruppo nella Penisola.

«La mia ossessione è continuare a produrre in Italia», ha detto Imparato presentandosi ai giornalisti. Una dichiarazione d’intenti che si scontra con i numeri impietosi dell’anno che si è appena concluso. Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dal sindacato Fim-Cisl, nel 2024 dagli stabilimenti Stellantis sono uscite 283 mila auto, il 45,7 per cento i meno rispetto al 2023. Se si contano anche i veicoli commerciali si arriva a 475 mila.

L’obiettivo aziendale, ribadito anche nel vertice con governo e sindacati, resta quello di raggiungere quota un milione entro il 2030, un traguardo che al momento appare lontanissimo, se non altro perché il mercato dell’auto, a livello globale, si confronta con una crisi senza precedenti e con una transizione verso la mobilità elettrica che ha completamente cambiato lo scenario competitivo, tirando la volata ai grandi gruppi cinesi.

Anche il governo è stato costretto ad abbandonare la retorica su “quota un milione” che fino a poche settimane fa era ancora il punto fermo su cui ruotavano le trattative con Stellantis. Secondo il ministro delle Imprese Adolfo Urso, intervistato qualche giorno fa dal quotidiano il Messaggero, ora la multinazionale è chiamata ad aumentare almeno del 50 per cento entro il 2026 la produzione delle sue fabbriche italiane. È questo il livello minimo necessario a evitare nuovi tagli della forza lavoro.

Annunci e promesse

Per misurare la distanza che separa la realtà dalle ambizioni del ministro, basta descrivere lo stato delle cose a Mirafiori. Lo stabilimento torinese, simbolo del passato splendore e allo stesso tempo della profonda crisi della più grande azienda privata italiana, riaprirà formalmente i battenti domani, ma la produzione della 500 elettrica riprenderà solo il 20 gennaio e per la Maserati l’attesa durerà fino a febbraio. Ferie natalizie prolungate anche negli impianti di Cassino e a Pomigliano dove gli operari torneranno al lavoro non prima del 17 gennaio. Queste soste forzate si aggiungono ai lunghi periodi di inattività dell’anno scorso.

Le speranze di una rapida ripresa sono affidate ai nuovi modelli annunciati già da mesi. La nuova 500 ibrida che uscirà da Mirafiori forse già a fine di quest’anno. I modelli compatti, almeno un paio, prodotti entro il 2028 con la nuova piattaforma Small a Pomigliano d’Arco, lo stabilimento che nel 2024 grazie soprattutto alla Panda ha garantito quasi i due terzi dell’intera produzione italiana. E poi le versioni ibride di modelli come Jeep Compass, DS7 e altri ancora affidate alla fabbrica di Melfi.

Questi i progetti annunciati per dare un futuro alle fabbriche italiane. Ma il tempo stringe e il mercato non aiuta. Per Stellantis il 2025 rischia davvero di diventare l’anno del giudizio.

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