A dimostrarlo il WeWorld Index 2025, l’ultimo rapporto dell’ong WeWorld che analizza le condizioni di inclusione sociale nel nostro Paese: le disuguaglianze, i divari territoriali e le difficoltà nel conciliare vita lavorativa e privata penalizzino soprattutto le donne con figli che vivono nel Sud Italia. Ma non solo
L’Italia non è un Paese per famiglie. È uno Stato a misura di uomini. Meglio, però, che non siano padri. A dimostrarlo oltre ai dati sulla scarsa occupazione femminile, la facilità con cui le madri vengono espulse dal mercato del lavoro e i numeri troppo alti che indicano che un minore su quattro è a rischio povertà, c’è anche il WeWorld Index Italia 2025, l’ultimo rapporto dell’Ong WeWorld, estratto da un’indagine internazionale con focus su più nazioni, che ogni anno, ormai da quattro, analizza le condizioni di inclusione sociale nel nostro Paese, concentrando l’attenzione, in particolare, sull’evoluzione dei diritti di donne, bambini e bambine, per evidenziare le criticità e proporre politiche di trasformazione possibili per lo sviluppo.
Dal rapporto presentato il 25 marzo in Senato, pochi giorni dopo la festa del papà, emerge come le disuguaglianze, i divari territoriali e le difficoltà nel conciliare vita lavorativa e privata penalizzino soprattutto le donne con figli che vivono nel Sud Italia. Ma non solo.
I dati sui congedi di paternità e parentale, ad esempio, mostrano che si tratta di privilegi a cui hanno accesso ancora pochi padri. Il primo, anche se è cresciuto il numero di chi ne usufruisce (dal 19,25 per cento del 2013 al 64,5 per cento nel 2023) è troppo breve. Il secondo ha una retribuzione che non basta per il sostentamento della famiglia. Con il risultato che il carico di cura continua a pesare quasi interamente sulle madri, che in troppi casi sono costrette ad abbandonare il mondo lavoro: in Italia il 72,8 per cento delle dimissioni di neogenitori è dato da donne.
La famiglia, ma solo a parole
«Sentiamo parlare continuamente nel discorso politico di famiglia. Eppure le famiglie reali, quelle fatte di madri che lottano per conciliare lavoro e vita privata, di padri che vorrebbero ma non possono essere presenti, di bambini e bambine privi di servizi essenziali, restano fuori dalle priorità del Paese. Per non parlare delle famiglie non tradizionali, monoparentali, con background migratorio, omogenitoriali, i cui bisogni restano completamente ai margini. Il WeWorld Index Italia 2025 lo conferma: l’Italia non sta investendo abbastanza su infanzia e famiglie. Servono politiche strutturali, non misure spot», chiarisce Dina Taddia, consigliera delegata di WeWorld, a commento dello spaccato di Italia che emerge dal Rapporto: nel nostro Paese, più di una donna su quattro e più di un minore su quattro vivono in Regioni con uno scarso accesso ai diritti fondamentali.
Essere madri al sud
Le Regioni meridionali sono le più carenti nell'implementazione di diritti fondamentali, come educazione e salute, e presentano gravi carenze anche se si stringe il focus condizione economica delle donne o sulla loro partecipazione politica. L’ultima regione in classifica è la Sicilia, preceduta da Campania e Calabria. Le madri del Sud, quindi, sono le più penalizzate non solo per le basse opportunità lavorative. Ma anche perché la copertura dei servizi socioeducativi è ferma al 17,3 per cento mentre per rispettare gli obiettivi dell’Unione europea dovrebbe toccare il 45 per cento. Ma neanche la Nord la situazione è idilliaca, neanche nella Provincia Autonoma di Trento che è la prima in classifica (con un punteggio di 67,3 su un massimo di 100), a dimostrazione che è tutto il Paese che fa fatica a investire in politiche per l’infanzia e la parità di genere.
Per offrire un quadro completo sulle condizioni di inclusione sociale in Italia, il WeWorld Index 2025 contiene anche i risultati di un sondaggio condotto con Ipsos, su un campione rappresentativo di 1110 lavoratrici e lavoratori, per monitorare la situazione del settore occupazionale. Vengono confermate, senza incertezza, le significative disuguaglianze di genere che caratterizzano il mondo del lavoro italiano da sempre. Ma emerge anche che le discriminazioni iniziano da subito, già durante i colloqui per ottenere il lavoro. Al 61 per cento delle donne intervistate è stato chiesto se avessero figli o figlie, al 44 per cento di loro se stessero pianificando di averne. 22 punti percentuali in più rispetto agli uomini.
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