La giornalista: «Ho letto Murakami». Interrogata «quasi ogni giorno» dai carcerieri. Il legale e l’ambasciatore iraniano visitano l’ingegnere. Le strade per la scarcerazione. Meloni: «Il suo caso è al vaglio di Nordio»
A ventiquattro ore dal suo rientro in Italia, Cecilia Sala ha detto, in una puntata del suo podcast Stories prodotto da Chora Media, che ora ha bisogno di «rimettere insieme i pezzi». Lo ha detto registrando da casa sua, mentre sotto le sue finestre i giornalisti si radunavano sperando di strapparle anche solo una frase. Intervistata da Mario Calabresi, la giornalista italiana detenuta per 21 giorni nel carcere di Evin a Teheran ha iniziato a ricomporre il puzzle di ciò che ha vissuto.
Ha raccontato di come le guardie rivoluzionarie l’abbiano prelevata dalla sua stanza in hotel, di quanto sia stata dura la permanenza in cella senza un materasso dove dormire e con la luce perennemente accesa. Che le erano state tolti gli occhiali e non aveva penne a disposizione perché potevano essere utilizzati per atti di autolesionismo. Che per le prime due settimane è stata interrogata tutti i giorni e non le è stato spiegato perché è finita in una cella di detenzione a Evin.
«Ho preso in considerazione l’ipotesi di essere accusata di reati come pubblicità contro la Repubblica islamica, o molto più gravi», racconta Sala. «Mi hanno detto che ero accusata di tante cose illecite compiute in tanti luoghi diversi», mentre pubblicamente le autorità iraniane le imputavano generiche violazioni della legge islamica. Ciò nonostante, Sala ha ribadito: «Amo ancora l’Iran e le donne iraniane».
La giornalista del Foglio, ha poi raccontato agli ascoltatori i trucchi per non perdere il senso del tempo («il nemico è il silenzio») contando prima «i giorni», poi «le dita», e infine leggendo «gli ingredienti del pane che erano l’unica cosa in inglese». Ha provato a chiedere anche una copia del Corano in inglese. «Pensavo che fosse l’unico libro in inglese che potessero avere dentro una prigione di massima sicurezza della Repubblica islamica. E non mi è stato dato per molti giorni», ha detto.
In compenso è riuscita a ottenere e leggere Kafka sulla spiaggia, romanzo di Haruki Murakami. A un certo punto ha anche temuto per la sua vita: «Quando hai paura di essere accusata di qualcosa di molto grave in un paese in cui ci sono punizioni definitive, certo hai paura anche di quello».
Nell’intervista Sala ha anche spiegato che ci sono indagini in corso e quindi ci sono tante cose che non può dire in questo momento, «anche per rispetto del lavoro che stanno facendo le persone che mi hanno portata via di lì», distruggendo la bramosia di dettagli e racconti che la stampa cerca ossessivamente in questi giorni.
E alla fine la fatidica frase: «Non ho dormito questa notte di gioia. Non ho dormito quella prima di angoscia. Sono sveglia da tre giorni e due notti di fila e quindi mi serve solo...mi serve rimettere insieme i pezzi».
Le porte di Abedini
Nell’intervista, la stessa Sala ha accennato al caso di Mohammed Abedini. Prima di essere stata prelevata dall’hotel aveva letto la notizia dell’arresto in Italia dell’ingegnere iraniano: «Ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l’intenzione di usarmi». Per questo era consapevole fosse «uno scambio molto difficile». Da lì la sorpresa quando ha scoperto che la sua detenzione è finita dopo tre settimane. Lo “scambio” non è ancora stato formalizzato ma ci sarà.
La premier Giorgia Meloni ha già ottenuto il via libera da parte di Donald Trump, fornendo in cambio almeno la consegna dei dispositivi elettronici (smartphone, computer e chiavette usb) sequestrati all’iraniano. Non è ancora chiaro quando, ma con il viaggio saltato di Joe Biden in Italia, perché alle prese con l’incendio che sta devastando l’area di Los Angeles, ogni giorno è quello buono.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha il potere di decidere in ogni momento il possibile rilascio di Abedini, accusato dagli Usa di aver aggirato le sanzioni fornendo all’Iran i componenti elettronici per i suoi droni Shahed.
Ora le strade sono due. Prendere una decisione politica forte revocando le misure cautelari contro Abedini, attualmente nel carcere milanese di Opera, senza aspettare la Corte d’Appello di Milano e in un secondo momento negare l’estradizione quando dagli Stati Uniti arriveranno le carte in via Arenula. Oppure attendere il giudizio della magistratura del prossimo 15 gennaio che, nel caso in cui confermi il carcere, come già accaduto rigettando la prima richiesta dei domiciliari, rischia di mettere in imbarazzo il ministro Nordio.
In questo caso il rilascio di Abedini potrebbe avvenire dal 15 al 19, prima dell’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump per evitare un grave smacco mediatico all’alleato e amico di Meloni.
Le strategie del legale
Lo scenario è in continuo mutamento. Il legale di Abedini, Alfredo De Francesco, ha modificato l’istanza presentata per la revoca dei domiciliari prevedendo un nuovo appartamento a Milano per il suo assistito e l’utilizzo del braccialetto elettronico come garanzia contro un suo pericolo di fuga. La nuova casa è stata presa in affitto privatamente, dallo stesso avvocato, per evitare influenze del consolato iraniano che invece era il proprietario dell’appartamento proposto in precedenza. Inoltre Abedini ha rinunciato anche ad avere una governante e alla possibilità di lasciare casa per uscire a fare la spesa. Oggi il legale, insieme all’ambasciatore iraniano, farà visita ad Abedini in carcere.
Per il momento, durante la conferenza stampa di ieri, Meloni si è limitata a dire che «il caso Abedini è al vaglio tecnico e politico del ministero della Giustizia: è vicenda che ovviamente bisogna continuare a discutere con i nostri amici americani, avrei voluto parlarne anche con Biden ma ha dovuto annullare il suo viaggio. Ma il lavoro è molto complesso, non è terminato ieri. Penso che si debba discutere nei dettagli nelle sedi competenti».
Nordio, invece, in un’intervista a La Stampa ha detto che «la situazione di Abedini è squisitamente giuridica, e va studiata nella sua complessità, indipendentemente dal felice esito della vicenda Sala». Ma nessuno ci crede.
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