«Stanotte non ho dormito per la gioia, quella precedente per l'angoscia. Sono confusa, felicissima, sto bene, mi devo riabituare e devo riposare». Sono queste le prime parole che Cecilia Sala, liberata giovedì 8 gennaio dopo aver passato 21 giorni in isolamento nel carcere di Evin, a Teheran dove si trovava con regolare visto giornalistico per svolgere il suo lavoro, nella nuova puntata del podcast Stories di Chora Media.

Intervistata da Mario Calabresi, la cronista ha precisato di non poter rispondere a tutte le domande per l’indagine che è ancora in corso, ma ha raccontato della felicità che ha provato il giorno in cui ha ottenuto il visto per andare in Iran: «Era il paese dove più volevo tornare, dove c'erano le persone a cui più mi sono affezionata. Qualche volta delle persone che intervisti che incontri diventano amici, persone di cui hai bisogno di sapere come stanno. Questo viaggio è iniziato per incontrare quelle persone e dare loro voce. Ci tenevo».

La cattura

Sala ha confermato di non aver mai ricevuto alcuna spiegazione sul perché sia stata incarcerata, prima di raccontare la cattura, avvenuta mentre si trovava in albergo: «Stavo lavorando alla puntata di quel giorno che non è mai uscita, un giorno uscirà. Mi hanno bussato alla porta. Io pensavo che fossero signore o signori delle pulizie. Ho detto che non avevo bisogno di nulla, che stavo lavorando e però sono stati insistenti. Ho aperto e non erano signori o signore delle pulizie».

«Poco prima avevo letto la notizia del fatto che c'era stato un arresto in Italia (Mohammed Abedini-Najafabadi, accusato dagli Usa di aver trasferito ai Pasdaran tecnologia militare per droni e su cui pende una richiesta di estradizione negli Stati Uniti, ndr) e ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l'intenzione di usarmi. Ho pensato che fosse uno scambio molto difficile».

L’isolamento

La cosa più difficile di quei 21 giorni? «È stato il silenzio. L'isolamento è la tua testa. A un certo punto mi sono ritrovata, ad esempio, a passare il tempo, a contare i giorni, a contare le dita, a leggere gli ingredienti del pane che erano l'unica cosa in inglese. E io non ho mai pensato che sarei stata liberata così presto. Quando non hai nulla da fare non ti stanchi, quindi non hai sonno, quindi non dormi. E già lì dentro un’ora sembra una settimana. E se non dormi e devi riempirne 24 di ore è più faticoso».

«La cosa che più volevo era un libro. Era la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori, un'altra storia in cui mi potessi immergere e che non fosse la mia in quel momento, perché non riuscivo ad avere tanti pensieri positivi rispetto alle mie prospettive», ha continuato Sala.

Calabresi ha poi ricordato la drammatica telefonata tra la giornalista e la madre il 1° gennaio, durante la quale la famiglia ha scoperto che Sala non stava bene, come aveva invece dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, anzi: si trovava in isolamento, in una stanza stretta, senza nemmeno un letto su cui appoggiarsi. Per dormire aveva solo due coperte, nessun materasso, nessun cuscino. Il pacco che la famiglia le aveva fatto recapitare, con dentro alcuni libri, gli occhiali e qualche dolce, non le era mai stato consegnato. 

«Gli occhiali non me li hanno mai dati fino agli ultimi giorni perché sono pericolosi, puoi spaccare il vetro e usarli per tagliarti. Non ho potuto scrivere, non ho potuto avere una biro per lo stesso motivo. Però non mi hanno dato neanche le lenti a contatto. Io ho chiesto il Corano in inglese perché pensavo che fosse l'unico libro in inglese che potessero avere, non mi è stato dato per molti giorni. Ho detto che andava bene stare senza gli occhiali, potevo mettermi il libro molto molto vicino agli occhi e però per tanti giorni non è stato possibile», ha dichiarato Sala.

Il futuro

La giornalista ha anche raccontato che aveva messo in conto il rischio di essere arrestata e che, anche per questo, una volta ricevuto il visto e quindi prima di partire aveva chiesto dei consigli per interpretare cosa c’era scritto e quanto il viaggio potesse essere pericoloso: «Però il nuovo governo del primo riformista - riformista è il nome del suo schieramento politico, non è una mia valutazione - aveva obiettivamente aperto un pochino a dei giornalisti stranieri e stavano dando un po’ più di visti, è andata la CNN a Teheran di recente. C'erano ottime possibilità che io facessi parte dei visti dati per via di questa piccola apertura nei confronti dei giornalisti occidentali».

«La prima cosa che mi sono detta è che non avrei mai più passato una giornata intera in una stanza al computer, che non ci sarebbe stata più una giornata della mia vita in cui non sarei stata all'aria aperta almeno per un po’. E avevo molta voglia di andare al mare, anche se fa freddo. E poi c'è questa cosa che è il privilegio che noi abbiamo. Noi che abbiamo una casa sicura in un paese sicuro, no? Quando andiamo in Afghanistan, in Ucraina, a Jenin, possiamo andarcene, possiamo scegliere, possiamo tornare a casa e le persone che incontri lì non possono farlo. E questa è la prima volta che mi capita di perdere per un periodo questo privilegio. Questa cosa mi ha fatto sentire una responsabilità ancora in più», ha continuato.

Per questo motivo, tornerà presto a fare quello per cui tutti la conosciamo: «Mi serve rimettere insieme i pezzi. E non c'è nient'altro che mi piaccia fare più di questo. Quindi certo che non vedo l'ora di continuare a raccontare».

© Riproduzione riservata