La cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi parigine ha dato luogo a diverse polemiche. Molte sono state le rappresentazioni controverse: Maria Antonietta decapitata, a ribadire in modo macabro e sarcastico i valori repubblicani; oppure l’esibizione di Aya Nakamura con la banda della Guardia Repubblicana, davanti all’Accademia di Francia, che è il tempio della purezza della lingua: «Non parla francese», aveva detto Marine Le Pen della cantante.

Ma al versante politico si è aggiunto quello religioso. La scena più discussa è stata l’Ultima cena in versione queer, che ha suscitato la protesta dei vescovi francesi. E non solo: da Salvini a Musk, da Orbán al governatore del Mississippi, molte voci politiche si sono levate «in difesa di Dio».

Più che aggiungersi, allora, il versante religioso sembra schiacciarsi e confondersi con quello politico.

Ma il cristianesimo è altro, e probabilmente non ha niente da temere da rappresentazioni apparentemente inedite e sorprendenti. Il cristianesimo non è evidentemente una fazione, ma un fatto culturale di portata enorme, a fondamento dell’immaginario e dei modi di pensare. La nostra cultura lavora riprendendo e rielaborando la Bibbia, che è una vera e propria matrice. Citare un testo, anche in modo critico o provocatorio, non significa che rafforzarne il peso e il ruolo.

La citazione olimpica sembra confermare l’adagio crociano secondo cui «non possiamo non dirci cristiani». In questo senso non si tratta di una rappresentazione inedita, né sorprendente. Ma solo dell’ennesima ripresa di un modello, che evidentemente continua a valere nella sua esemplarità. La nuova voce offerta a un racconto che continua a parlare.

Se tuttavia questo vale a livello culturale, cosa si può dire invece su di un piano più strettamente religioso, ossia riferendoci al cristianesimo come fede? Nella sua intima natura, il cristianesimo (ma già gran parte della vicenda biblica) ha una natura storica. Il senso del cristianesimo, come fede, è storico. Storia in questo senso indica due cose: anzitutto un fatto concreto, realmente verificatosi, e non una idea astratta. E poi la possibilità che l’efficacia degli eventi accaduti una volta possa dilatarsi e continuare nel tempo.

L’incarnazione è universalmente salvifica non perché propone principî o valori ideali – come una teoria o una morale – ma perché la sua realtà e la sua efficacia si ripetono ogni volta di nuovo.

ANSA

Le scene bibliche

È per questo che l’arte ha costantemente attualizzato le scene bibliche. I personaggi sono stati raffigurati spesso con abiti e costumi tipici del periodo della rappresentazione. Attori e protagonisti della vita di ogni epoca si sono voluti inserire nelle raffigurazioni sacre, che sono state inscenate su qualsiasi sfondo geografico o storico, senza timore di contaminazione. La tradizione – rivendicata come cristianissima – del presepe è ispirata proprio a tutto ciò.

La raffigurazione olimpica può quindi essere letta come una rinnovata attualizzazione di una scena evangelica nell’epoca contemporanea. Il senso del rito della messa peraltro è proprio questo: la citazione dell’evento salvifico, con una efficacia ancora attuale.

L’obiezione qui potrebbe essere che si è trattato di una raffigurazione e di una ripresa offensiva: ma, di per sé, ciò che si è messo in scena nella cerimonia olimpica non era nulla di direttamente offensivo o contrario al cristianesimo. A meno di non voler considerare le drag queen o ciò che è queer (nelle sue diverse accezioni) come qualcosa di essenzialmente contrario al cristianesimo.

Negli ultimi decenni, un certo presunto cristianesimo ha insistito proprio in questa direzione. Tuttavia questa visione, che ha ipostatizzato un modello di sessualità – anzi la sessualità stessa – a paradigma del cristianesimo, non sembra fedele al messaggio evangelico. Essa perde infatti l’universalità e dunque la etimologica cattolicità della fede.

Il cristianesimo non è forse, per eccellenza, un messaggio rivolto a tuttə? Non ha a che fare con l’accessibilità, piuttosto che con l’esclusione? Non professa la liberazione, piuttosto che l’oppressione? Non si richiama alla grazia, anziché alla legge? Non è scandalo e stoltezza? Ribaltamento dei potenti dai troni? Non è rifiuto dell’ipocrisia dei sepolcri imbiancati? Ecco che la provocazione parigina può essere allora la stessa provocazione del Vangelo.

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