Un fiume colorato di persone in maschera ha riempito le vie della Capitale al grido di: “Vogliamo una soluzione alla crisi climatica, e la vogliamo ora!”. Oltre 70 firme hanno aderito alla manifestazione indetta per oggi, sabato 16 novembre, denominata Climate Pride, tra cui Arci, Cgil, Legambiente, Fridays for future, Ultima generazione, Extinction Rebellion, Collettivo di fabbrica Gkn, A Sud, Esc.

Una street parade composta di musica, maschere, balli e rivendicazioni, un corteo al quale hanno partecipato migliaia di persone. Un corteo che è partito da Piazza Vittorio Emanuele alle 15 e ha sfilato per le strade del centro città diretta verso il parco dell’Ex Snia, nel quartiere di Roma est. Lì, un progetto immobiliare previsto dalla giunta capitolina minaccia l’ecosistema di un parco che è un simbolo delle lotte ambientaliste dei collettivi romani.

L’evento del Climate Pride è l’ennesima protesta contro la prospettiva di una COP29, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che quest’anno si svolge a Baku, in Azerbaijan, dall’11 al 22 novembre. Proprio la scelta di questo luogo, uno dei principali esportatori di gas e petrolio a livello mondiale, ha acceso le proteste degli ambientalisti.

La scelta di organizzare la COP in un Paese così fortemente dipendente dalle fonti fossili è la riprova che le politiche globali su energia e ambiente stanno andando nella direzione sbagliata, dicono gli organizzatori del Pride.

Tra i leader mondiali che hanno partecipato al summit c’è stata anche Giorgia Meloni che lunedì ha dichiarato: «L’Italia vuole continuare a fare la sua parte: abbiamo già stanziato 4 miliardi nella lotta al cambiamento climatico in Africa e continuiamo a sostenere il fondo “Loss and damage”». E nella “dieta” energetica per il futuro dell’Italia ha citato il gas, la cattura della Co2 e la fusione nucleare, suscitando più di qualche dubbio tra gli esperti di transizione energetica.

Allo stesso tempo, dal palco della COP 29 il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha detto che petrolio e gas sono «doni di dio» e che i Paesi che hanno la fortuna di avere delle riserve di combustibili fossili da immettere nel mercato non dovrebbero essere colpevolizzati.

Sotto i riflettori ci sono anche gli Stati Uniti dopo la vittoria di Donald Trump alla Presidenza, uno dei personaggi politici notoriamente più scettico nei confronti dei cambiamenti climatici: una nuova uscita statunitense dagli accordi di Parigi sembra ormai scontata.

Durante la marcia in favore del clima, si è parlato di giustizia climatica e sociale, si è celebrata la natura e si è chiesto a gran voce una giusta transizione ecologica che protegga tutti e tutte.

La peculiarità di questa manifestazione è la volontà di abbracciare il tema in una prospettiva “multispecie”: in centinaia hanno indossato maschere raffiguranti animali e piante, animate dalla musica dei carri che precedono il corteo.

Nell’aprile del 2023, l’Unione Europea si è impegnata a ridurre ulteriormente le emissioni climalteranti del 55% entro il 2030. Eppure, sono in molti a giudicare tale obiettivo come difficilmente perseguibile, se non impossibile.

Irene Di Marco, del comitato organizzatore del Climate Pride, ricorda alla politica, assente dalla piazza, che «la crisi climatica non è un problema del futuro ma del presente. Quanto abbiamo visto in Emilia Romagna e in Sicilia ci ricorda l’urgenza di questo problema, bisogna decarbonizzare tutto il comparto industriale italiano».

Di Marco è felice di vedere così tanta partecipazione al Pride, soprattutto da parte di realtà associative che normalmente non si occupano di clima, ma di diritti, nell’intento di unire tutte le istanze. «Contiamo di continuare la mobilitazione nei prossimi mesi con tutte le associazioni che hanno aderito quest’oggi e coinvolgendo anche tutte le altre che non l’hanno fatto, per pensare a un futuro migliore per l’Italia».

Tiziano Robìa, membro del collettivo che gestisce il centro sociale Esc a San Lorenzo e del sindacato indipendente Clap (Camere del lavoro autonomo e precario) sposa questo concetto: «La giustizia climatica e quella sociale devono andare di pari passo. Il filo comune che stiamo costruendo oggi tra tutte le realtà che hanno partecipato è proprio quello di far avanzare i diritti sociali di tutti e di tutte». E, continua, «queste piazze devono difendere ciò che ci provano a togliere ma bisogna anche disegnare una visione di società differente». Poi, chiede che i governi presenti a COP29 diano più importanza ai territori, a coloro che vivono la crisi climatica ogni giorno.

Una delle associazioni che ha organizzato la piazza del Climate Pride è Legambiente.

Carmen Malagisi, che oltre a essere nel comitato promotore della manifestazione fa parte di Legambiente, ricorda quanto importante sia la Conferenza per il clima a Baku sui nuovi obiettivi di finanza climatica che, secondo lei, «devono essere raggiungibili attraverso azioni concrete».

Ma la manifestazione si occupa anche di temi di politica interna, in particolare del rifiuto del nuovo “decreto sicurezza”, il Ddl 1660, che porterà, dice Malagisi, a «una nuova criminalizzazione degli attivisti e delle attiviste per il clima».

Le persone che hanno partecipato al Climate Pride lo hanno fatto con la consapevolezza che la lotta per il clima interseca varie rivendicazioni. Infatti al corteo hanno sfilato persone di tutte le età, un elemento che conferma l’intento dei comitati organizzatori.

Tra di loro c’è Lorenzo, un uomo cosparso di piante dalla testa ai piedi, ci tiene a dire che la piazza è gioiosa, nonostante i motivi che l’hanno portato lì non lo siano: «Siamo qui anche per tessere relazioni rispetto all’urgenza della crisi climatica, al periodo di decadenza e paura che ci sta colpendo. I cambiamenti climatici ci travolgeranno, e noi tutti e tutte dovremo affrontarli».

È lo stesso pensiero di Annalisa, che è felice di vedere così tanta partecipazione. «Siamo fiduciosi che questo Pride possa risvegliare un po’ le coscienze sulla realtà della crisi climatica. Le evidenze non sono più solo scientifiche, ma le vediamo davanti ai nostri occhi tutti i giorni».

La geopolitica del clima, e non solo alla conferenza di Baku, è lontana da quello che queste piazze chiedono in termini di riduzione delle emissioni di CO2 e di salvaguardia dei territori dall’innalzamento delle temperature. L’obiettivo rimane quello di restare sotto all’incremento di 1,5°C delle temperature medie globali rispetto all’era preindustriale.

Un termine già toccato a febbraio 2023 e che denuncia un trend che difficilmente potrà migliorare.

Il governo italiano di Giorgia Meloni ha recentemente annunciato uno stanziamento di 150 milioni al Fondo italiano per il Clima, uno strumento istituito per finanziare progetti legati al cambiamento climatico in Paesi in via di sviluppo.

È il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, a margine della COP a Baku a ricordare il nuovo Piano Mattei del governo di centrodestra, che sposta il focus sull’Africa: «Abbiamo scommesso sull’Africa: è un continente vicino a noi e di cui vogliamo favorire lo sviluppo e la crescita. Per questo abbiamo deciso come governo di dedicare il 70 per cento del Fondo all’Africa», ha dichiarato all’Agenzia Nova.

Dalla piazza di oggi, il grido è rivolto anche e soprattutto al governo italiano. La premier Meloni si è sempre detta scettica riguardo alle conseguenze del surriscaldamento globale, ma sono piazze come questa a ricordarle l’urgenza del problema.

«È arrivato il momento di fare qualcosa di concreto», chiede Annalisa. «Le conseguenze della crisi climatica non si possono più ignorare».

(fotoservizio di Simone Manda)

 

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