«I lavoratori picchiano chi capita. Le infermiere sono complici. Mettono gocce con la siringa nel cibo». Da inizio anno, il centralino Sos Cpr dell’organizzazione Naga di Milano, che fornisce assistenza sanitaria e legale ai cittadini stranieri, ha raccolto svariate segnalazioni come questa da persone trattenute nel centro di permanenza per il rimpatrio di Macomer, nel cuore della Sardegna. Sono state queste telefonate ad allarmare la rete Mai più Lager - No ai Cpr, che ha accompagnato la deputata di Alleanza Verdi Sinistra Francesca Ghirra nel corso di un’ispezione a sorpresa all’interno del centro, a marzo di quest’anno.

Durante la visita, durata nove ore, la delegazione ha esaminato tutti gli ambienti e parlato con i detenuti: «Abbiamo riscontrato gravi problemi di conduzione della vita all’interno del cpr, dove le persone sono abbandonate a loro stesse 24 ore su 24, senza possibilità di svolgere alcuna attività, nonostante i protocolli d’intesa ci siano», racconta la deputata. Tra le anomalie rilevate, nell’elenco dei trattenuti fornito dai gestori del cpr, Ghirra ha riscontrato anche la presenza di persone provenienti da paesi europei e di uno statunitense. «Non è chiaro perché siano lì e stiamo cercando di capire cos’è successo», dice.

Nel report “A porte chiuse”, in cui sono trascritte le telefonate delle persone trattenute a Macomer, le associazioni hanno documentato quanto osservato durante l’ispezione e il medico della delegazione Nicola Cocco ha riportato la sua analisi dei servizi sanitari del centro. Dal resoconto emerge una situazione di degrado e violenza diffusa sui detenuti, nonché la presenza di persone «con evidenti problematiche di salute mentale». Questo nonostante il ministero dell’Interno indichi i disturbi psichiatrici come criterio assoluto di non idoneità alla vita nei cpr.

Autolesionismo

Il cpr di Macomer è stato progettato per essere un carcere di massima sicurezza, poi la sua destinazione d’uso è cambiata. Attualmente è gestito dalla cooperativa Ekene, che gestisce anche i cpr di Gradisca d’Isonzo e di Milano, ha una capienza di 50 posti letto ed è organizzato su tre moduli. Ciascuno è suddiviso in celle con due letti dove dormono le persone in attesa di rimpatrio. Nella struttura si trova anche una zona di isolamento, composta da una stanza descritta dal personale del cpr come un locale utilizzato per contenere le persone a rischio di atti di autolesionismo.

Tra le persone in precarie condizioni di salute che non ricevono cure adeguate visitate dal dottor Cocco nel cpr, c’è un uomo di origine algerina che era stato inserito nella stanza di isolamento per essersi procurato una contusione alla mano. Al momento della visita ha detto di averlo fatto perché aspettava una risposta alla sua richiesta di rimpatrio volontario da due settimane. Secondo Cocco «la gestione del suo isolamento per gesti autolesivi pone seri quesiti sull’appropriatezza di alcune misure di gestione delle problematiche di salute mentale, nonostante la presenza una volta alla settimana di una specialista psichiatra».

Sedazione

A questa situazione si aggiunge la pratica di somministrare sedativi ai detenuti, denunciata da diverse persone all’interno della struttura. «C’era questo ragazzo che ha tentato di impiccarsi, ci siamo incontrati in isolamento, ha spaccato tutta la cella. E quando rifiutava la medicina allora qualcuno gli metteva la medicina nel caffè. Anche a me una volta hanno portato un tè marocchino, appena l’ho bevuto mi sono addormentato», ha raccontato uno di loro.

La delegazione ha provato a contattare il responsabile sanitario del centro per chiedere chiarimenti e verificare l’esistenza di un protocollo di intesa con l’Asl di Nuoro, ma al momento non ha ricevuto riscontro. Anche l’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale non ha finora risposto alle segnalazioni. Nel frattempo, a ottobre, il report è stato presentato alla Camera dei deputati con la partecipazione di un rifugiato che ha denunciato gli abusi subiti mentre era trattenuto nel cpr di Macomer.

Pestaggi

Secondo le sue testimonianze e quelle raccolte dal centralino milanese, l’uso di psicofarmaci non è l’unico problema. I pestaggi sarebbero una prassi comune per mantenere l’ordine all’interno del centro. In una delle trascrizioni presenti nel report “A porte chiuse” si legge: «Ci eravamo rifiutati di mangiare perché ci portavano sempre quella pizza dura e fredda. Abbiamo buttato tutto a terra e per questo sono venuti e ci hanno picchiati». Un altro testimone riferisce: «Un tunisino ha rifiutato di tornare in patria ed è stato massacrato da tre o quattro carabinieri: quando si stancava uno di colpire è il turno dell’altro e così per quasi quattro ore».

Nel corso dei colloqui avvenuti durante la visita, le persone trattenute hanno firmato le autorizzazioni alla consegna delle cartelle mediche all’onorevole Ghirra. Due di loro si sono presentati portando con sé un documento scritto a mano in cui raccontano di quanto accaduto all’interno della struttura nei mesi precedenti. Le loro testimonianze riportano i pestaggi subiti e a cui hanno assistito. «I trattenuti ci hanno presentato gravi carenze sul diritto alla salute, ma ci hanno anche descritto ripetuti episodi di prevaricazione e violenza. Presenteremo un esposto per verificare e fare chiarezza su questi elementi», commenta Francesca Ghirra.

Il giorno dopo l’ispezione, nel cpr di Macomer è divampato un incendio, il terzo in sei mesi. Secondo la ricostruzione della polizia è stato appiccato da alcune persone trattenute come segno di protesta.

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