La cucina filippina no, non l’avevo considerata.

C’è una questione che mi attanaglia da tempo. Nonostante la storica presenza della comunità filippina in Italia, i suoi piatti li conoscono in pochi. A differenza della cucina cinese, che ha guadagnato fama trasversale, quella filippina è scarsamente rappresentata e poco conosciuta.

È una cucina ricca e varia, ma fatica a emergere sulla scena internazionale. Eppure, qualcosa sta cambiando: la cucina filippina sembra iniziare ad imporsi. Solo due anni fa, il ristorante Kasama degli chef Genie Kwon e Timothy Flores a Chicago ha ricevuto la prima stella Michelin per un locale filippino.

Storia e presente della diaspora filippina in Italia

La Repubblica delle Filippine è stata una delle nazioni più violate del mondo, sballottata e passata da una dominazione all’altra. Venduta agli americani dopo aver ottenuto l’indipendenza dagli spagnoli nel 1898, diventò davvero autonoma solo nel 1946, dopo l'occupazione giapponese. Per gran parte del ‘900, molti filippini emigrarono negli Stati Uniti per lavorare nelle piantagioni di zucchero e ananas. Negli anni '70, il governo Marcos incentivò l’emigrazione per soddisfare la domanda di lavoratori nei paesi del Golfo. La comunità filippina in Italia, una delle più antiche, risale agli anni '70 per motivazioni economiche, facilitate da accordi ufficiali bilaterali tra Italia e Filippine e dal supporto di missionari cattolici che mettevano in contatto le lavoratrici, soprattutto donne, con le famiglie italiane. «Lavoravamo soprattutto come badanti e in cucina, risparmiando ogni soldo per le nostre famiglie». Secondo lo chef Dario Guevarra Jr, proprietario dei ristoranti Mabuhay! a Milano, questo è il motivo per cui fino a una decina di anni fa la comunità filippina non apriva ristoranti, limitandosi a quelli frequentati solo da connazionali. Oggi, in Italia ci sono 156mila filippini (dati del Ministero del Lavoro), con oltre la metà nel Nord, soprattutto a Milano. Negli ultimi 10-15 anni, molti giovani della generazione detta 1.5 e 2 (cresciuti o nati in Italia), hanno iniziato a studiare, acquisire competenze diverse, mostrarsi ambiziosi e a padroneggiare bene l'italiano, sostenuti dalle famiglie nel perseguire i loro sogni nella ristorazione.

Il primo, ‘vero’ ristorante filippino in Italia

Perché gli occidentali non hanno idea di cosa sia la cucina filippina? È la domanda che si è fatto anche Marvin Braceros una decina di anni fa, prima di aprire il primo, ‘vero’ ristorante filippino in Italia, a Milano. Yum è nato nel 2016 con l'obiettivo di far conoscere la cucina filippina agli italiani e agli europei. «Ogni mio compaesano che voleva aprire un ristorante fuori dalle Filippine teneva sempre e solo in considerazione la clientela autoctona», racconta Marvin, «io invece sono stato il primo ad aprire un ristorante che offre cucina del mio paese, avendo come target gli italiani. Ed è stato molto difficile: dal principio, ho dovuto spiegare ogni sera cosa fosse il nostro cibo e dove si trovassero le Filippine. Quando qualcuno entra nel ristorante, spesso chiede le bacchette, che noi non usiamo affatto!»

Ma ora è molto soddisfatto. Lo chef, prima di aprire Yum, aveva lavorato nel ristorante di Dolce & Gabbana, dove aveva imparato a capire i gusti degli italiani. Un cliente, un giorno gli disse che, nonostante la presenza di carinderias — le trattorie filippine — a Milano, per gli italiani non si trattava di veri ristoranti. Fu allora che Marvin capì che doveva curare l'estetica del ristorante e presentare il cibo in modo diverso: «La nostra cucina è solitamente servita in grandi porzioni familiari, tipo buffet, ma dovevo trasformarla in piatti singoli: antipasti, portate principali, dessert». Dovette anche abbinare i piatti ai vini, poiché solitamente si accompagnano con succhi di mango o cocco. «Penso che sia stato questo il punto di forza: offrire un cibo filippino che sia appetibile per il palato italiano, ma senza comprometterne l’identità o i sapori autentici». Yum è ora gestito dalla sorella Marivel, mentre Marvin ha aperto un ristorante omonimo a Malta, con la stessa filosofia.

Un altro passo avanti nella diffusione della cucina filippina

Dario Guevarra Jr, proprietario dei ristoranti Mabuhay! a Milano, è entrato nella scena nel 2018, facendo un ulteriore passo avanti nella promozione della cucina del paese e diventando primo ristorante su Tripadvisor durante gli anni della pandemia. Inizialmente, aveva temuto che gli italiani non fossero interessati alla cucina filippina, così aveva inserito piatti giapponesi nel menù. Ma presto si è reso conto che i primi clienti italiani volevano provare piatti filippini: «Ora i filippini che vengono nel nostro ristorante spesso vogliono provare la cucina giapponese. Invece, gli italiani scelgono i piatti filippini». I suoi ristoranti sono stati i primi ad avere un doppio target, italiano e filippino. Nello stesso anno, faceva il suo ingresso trionfale a Milano il primo Jollibee, colosso del fast food filippino, con i suoi menu ricchi di pollo fritto e spaghetti dolci.

La cucina delle 7000 isole

Scoprire la cucina filippina significa avventurarsi tra piatti sconosciuti e dai nomi poco intuibili. Secondo Dario di Mabuhay!, tra i piatti più apprezzati dalla clientela italiana ci sono l’adobo, il piatto nazionale fatto con carne marinata e cotta a lungo in un brodo a base di aceto, salsa di soia e spezie, il tapsilog, carne di manzo servita con riso e uovo fritto, e il bicol express, un piatto piccante con coppa di maiale, sugo di pomodorini e latte di cocco. Ma la cucina filippina si distingue per le tecniche, più che per i piatti. La descrive bene Yasmin Newman, autrice del libro di cucina Under Coconut Skies: Feasts & Stories from the Philippines (Smith Street Books, 2021), definendo le sue quattro note dominanti: aspro, salato, dolce e amaro — sapori che nascono dalla natura tropicale del paese e si intrecciano in strati complessi. I filippini accompagnano i pasti con il riso, «una tela bianca su cui dipingere una miriade di sapori», e c’è anche un quinto gusto: il malinamnam, che significa ‘delizioso’. La cucina del paese è il frutto di influenze diverse, e nonostante alcuni filippini possano sentirsi insicuri riguardo al loro cibo, oggi le nuove generazioni rivendicano con orgoglio questa cultura culinaria.

Il futuro (è già qui)

In Italia e all’estero, la percezione della cucina filippina è cambiata notevolmente in breve tempo.

A Milano, tra le nuove attività emergenti degne di nota ci sono Minta, della coppia Nicola Mincione e Ann Christine Taglinao, che propone un ibrido tra cucina filippina e del Sud Italia; BBQ-1, il primo barbecue filippino dove si mangia solo con le mani; Kasama, dei fratelli Jayson Castillo e Elienor Llanes-Castillo, che affonda le radici in due culture ricche e vibranti («quella filippina, che ci ha insegnato il senso della comunità e dell’ospitalità, e quella italiana, che ci ha accolto e dato una nuova casa»); e Fave Street Food House, un chiosco al chiuso che propone interessanti street food filippini.

Un'importante iniziativa è la creazione della The Filipino Chamber Of Commerce of Italy, con l'obiettivo di organizzare le imprese filippine e aumentarne la visibilità. Mario Santos, il Vice-Presidente: «i filippini sono spesso visti solo come colf o badanti, ma abbiamo molti studenti qui in Italia che meritano un futuro migliore. Essere organizzati ci permette di attrarre investitori stranieri nelle Filippine e viceversa, portare investitori filippini in Italia». La camera di commercio conta circa 80 imprese, di cui circa una trentina nel settore food. E poi c’è il Filipino Business Club Milan, associazione che vuole dare potere ai giovani, incoraggiare nuovi imprenditori e abbattere gli stereotipi.

Le iniziative non si limitano a Milano, grazie anche al supporto del Consul General di Milano, Elmer Cato, che ha appena portato la cucina filippina a Terra Madre Salone del Gusto 2024 a Torino.

Il futuro della cucina filippina appare entusiasmante.

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