«All Emergency staff, all Emergency staff, get ready to rescue». Quando Jonathan Nanì La Terra, il capo del team di soccorso della Life Support, la nave dell’ong fondata da Gino Strada trent’anni fa, ha annunciato via radio all’equipaggio di prepararsi per il salvataggio in mare, la maggior parte della squadra era già pronta.

La segnalazione dell’imbarcazione in difficoltà, probabilmente partita da Misurata, in Libia, un giorno e mezzo prima, verso le 2 del mattino del 30 ottobre, era già arrivata attorno alle 9 del mattino da Alarm Phone, la rete di volontari che si occupa di supportare le operazioni di salvataggio in mare. Poi confermata anche via radio da un mayday con cui è arrivato anche un aggiornamento sulla posizione.

Impossibile conoscere con precisione le sue coordinate: con il trascorrere delle ore necessarie al raggiungimento della barca da salvare alla deriva, la posizione dei naufraghi sarebbe cambiata. Ecco perché a circa due ore di distanza dall’ultima posizione ricevuta, in cui si sarebbe dovuta trovare la piccola imbarcazione in vetroresina da salvare, i turni di guardia, di pattugliamento del mare, sono raddoppiati.

Il salvataggio

Credits: Archivio Emergency

C’è fermento, infatti, nella plancia di comando dove oltre ai quattro membri dello staff Emergency impegnati a scandagliare il Mediterraneo con i binocoli, ci sono il Comandante Domenico Pugliese e il responsabile del soccorso Nanì La Terra, che alternano il coordinamento del team a bordo della nave con i tentativi di contattare le varie autorità del mare. Quella maltese, competente per l’area Sar in cui si trova la Life Support, risponde dopo varie prove e chiede di inviare un’email.

Nel frattempo l’imbarcazione in difficoltà inizia a vedersi anche a occhio nudo, seppur come una minuscola macchia che sporca l’orizzonte limpido che separa l’azzurro del Mediterraneo, piatto e lucente, da quello del cielo. «Le persone a bordo sembrano calme – dice qualcuno che vede meglio il mare grazie al binocolo –  ma la barca è tutta piegata da un lato».

Credits: Archivio Emergency

Pochi minuti dopo inizia il vivo del soccorso. Il primo gommone a scafo rigido, il rhib 1, viene messo in acqua, saltano sopra i membri dello staff di soccorso e si dirigono verso la barca alla deriva. A bordo ci sono 38 persone. Per la maggior parte giovani, sembra a una prima occhiata, e molte donne. Dicono di essere quasi tutti siriani.

«Thank you, thank you», ripetono in continuazione i naufraghi man mano che salgono a bordo dei gommoni di salvataggio. Qualcuno piange, qualcuno alza la voce un po più degli altri. Ma l’atmosfera tranquilla contraddice la disperazione dei volti, la complessità del viaggio affrontato, le sofferenze vissute. «Grazie per averci salvato. Eravamo affamati e assetati, alla deriva da ore», spiega in inglese uno dei naufraghi, che dice di avere vent’anni e di essere palestinese: «Siete le autorità italiane?», mi chiede: «Dove andiamo, in Italia?». «Siamo Emergency, un’ong italiana, sì andiamo in Italia». Sorride.

La seconda segnalazione

Credits: Archivio Emergency

Sulla Life support intanto tutto è pronto per accogliere i naufraghi che sbarcano dai due rhib che si alternano nel soccorso. Flavio Catalano, il responsabile del ponte di coperta, tende la mano a chi sale sulla nave per aiutarlo nel trasbordo. I mediatori culturali insieme al team hospitality li accolgono, registrano e provano a comprendere età e nazionalità.

Lo staff di medici e infermieri monitora le condizioni cliniche dei naufraghi via via che entrano nell’area shelter, quella in cui soggiorneranno fino allo sbarco nel porto sicuro: Livorno, in base alle indicazioni delle autorità italiane.

Ma oggi non c’è riposo per i soccorritori Emergency. Ancora prima che il primo salvataggio trovi compimento, un’altra segnalazione arriva da Alarm Phone: un'imbarcazione in distress (difficoltà) a circa 35 miglia dalla Life Support. A bordo dovrebbero esserci almeno altre 34 persone.

Credits: Archivio Emergency

LE PUNTATE PRECEDENTI DEL DIARIO

© Riproduzione riservata