Geanina Antemir, originaria della Romania, vive nel nostro paese dal 2005. Qui si è diplomata e laureata, per poi avviare la carriera da docente. Oggi insegna in due scuole pubbliche, ma si è vista respingere la domanda perché nel periodo del Covid ha perso il lavoro e di conseguenza il requisito della continuità reddituale. Ora ha presentato ricorso e scritto al Viminale: «Questa è casa mia, la mia storia diventi uno stimolo»
Vive e lavora in Emilia-Romagna, è residente in Sicilia, è una dipendente del ministero dell’Istruzione e del merito, ma lo Stato non le ha riconosciuto la cittadinanza italiana. Geanina Antemir è nata 42 anni fa in Romania e vive in Italia dal 2005. Si è diplomata e laureata a Messina e dallo scorso settembre insegna al liceo scientifico statale “Manfredo Fanti” di Carpi e all’istituto superiore statale “Galileo Galilei” di Mirandola. È docente di economia e la sua è una storia tanto di riscatto quanto paradossale.
Antemir, infatti, lotta da anni con la burocrazia per avere la cittadinanza italiana che fino a questo momento le è stata negata dallo stato. Eppure, vive in Italia da quasi vent’anni, si è diplomata in Sicilia in una scuola statale, si è laureata in un’università pubblica e attualmente insegna in due scuole superiori statali. Ma riavvolgiamo il nastro.
«Sono nata in un paesino di montagna che si chiama Sarbesti e a 23 anni sono partita per l’Italia – racconta Antemir –. In Romania facevo l’operatrice tessile per 50 euro al mese e la mia famiglia non poteva aiutarmi. Avevo gli zii in Sicilia e così ho deciso di raggiungerli con l’obiettivo di costruirmi un futuro migliore. La Romania non faceva ancora parte della comunità europea e sono arrivata in Italia da clandestina. Il viaggio? In pullman. Tre giorni e tre notti. Non parlavo l’italiano e ho cominciato a lavorare come badante e facevo le pulizie. Ho vissuto a Palermo per tre anni e poi mi sono spostata a Messina dove avevo un’amica».
Il riscatto
Proprio in riva allo Stretto Antemir ha trovato una città che l’ha accolta a braccia aperte: «A Messina ho cominciato a lavorare in un supermercato. Poi in un ristorante: lì ho iniziato come lavapiatti, ho fatto la cameriera e infine sono diventata anche responsabile di sala. E nel frattempo continuavo a fare le pulizie. Ma sentivo che dentro di me stava scattando qualcosa. Volevo crescere e migliorarmi. Lo dovevo a mia figlia e a me stessa».
Fondamentali sono state anche le persone che Antemir ha incontrato lungo il suo cammino: «Ho conosciuto una famiglia messinese che mi ha invogliata a prendere la patente – ricorda – e nel 2013 ho cominciato a fare le pulizie a casa di una persona di grande cultura. Rimasi colpita dalla sua enorme biblioteca e mentre spolveravo la curiosità suscitata da quei libri mi spinse a riprendere gli studi».
«Questa persona, oltre a stimolarmi culturalmente e intellettualmente, mi ha offerto un supporto prezioso nel corso del tempo e mi ha fatto capire quanto sia importante studiare e credere fino in fondo in sé stessi e nei propri sogni. Ho capito che potevo migliorarmi e che potevo cambiare la mia vita con la mia sola forza di volontà e impegnandomi. Così, tra una lettura e l’altra, mi sono diplomata in amministrazione, finanza e marketing all’istituto superiore statale “Antonio Maria Jaci” di Messina».
L’inizio da insegnante
Dopo la maturità, Antemir ha deciso di proseguire gli studi: «Sono straniera. È vero. Ma questo non doveva e non poteva essere per me un limite. Mi sono iscritta in economia aziendale all’università di Messina e mi sono laureata. Nel frattempo, ho sempre continuato a lavorare e dopo due anni mi sono laureata anche alla magistrale in management».
E poi? «Mia figlia è dislessica e l’aiutavo a fare i compiti. Lì ho capito che forse questa poteva essere la mia strada: fare l’insegnante. Sapevo che in Emilia-Romagna ci sarebbero state più possibilità e ho presentato la domanda lì. A settembre sono stata chiamata per la prima volta e in due scuole».
Eppure, alla donna è stata negata la cittadinanza italiana, per cui ha fatto domanda il 12 novembre del 2020. Il provvedimento di rigetto le è stato notificato lo scorso 21 ottobre, quasi quattro anni dopo.
Il paradosso della cittadinanza
«Il motivo? Il mancato possesso del requisito reddituale». Per ottenere la cittadinanza italiana bisogna dimostrare infatti di essere residente in Italia da almeno quattro anni (dieci per gli extracomunitari) e di essere in possesso di un reddito personale (o familiare) per i tre anni antecedenti a quello di presentazione della domanda pari a 8.263,31 euro per il solo richiedente, senza persone a carico. I tempi d’attesa per ottenere la cittadinanza italiana oscillano tra i ventiquattro e i trentasei mesi, ma possono variare in base a diversi fattori, tra cui la regione in cui si richiede, il numero di richieste pendenti e la complessità del caso.
«Al momento della presentazione della domanda – spiega Geanina – avevo tutti i requisiti previsti dalla normativa in vigore, ma successivamente a causa del Covid e dell’emergenza che ha colpito il settore della ristorazione in cui lavoravo mi sono ritrovata improvvisamente in una situazione di estrema precarietà lavorativa che non mi ha permesso di avere un reddito sufficiente. Durante quel periodo ho percepito comunque il reddito di cittadinanza e ho proseguito gli studi e la specializzazione».
L’insegnante ha presentato un ricorso amministrativo e ha scritto una lettera al ministero dell’Interno lo scorso 25 ottobre: «Mi sono documentata e a quanto pare non dovrebbe esistere un termine tassativo entro il quale debbano fornire una risposta all’istanza e dunque si dovrebbe avere la facoltà eventualmente di adire le vie legali in qualsiasi momento presentando un ricorso al tribunale amministrativo regionale», ha spiegato.
«Oggi sono una professoressa e insegno in due scuole statali e il mio reddito soddisfa ampiamente le richieste dello stato». Antemir attende una risposta e spera al più presto di diventare una cittadina italiana a tutti gli effetti. Nel frattempo, sta vivendo con entusiasmo e gioia la sua prima esperienza da professoressa: «Per me è stato il coronamento di tanti sacrifici – aggiunge –. Spero che la mia storia possa essere un esempio e uno stimolo. Nelle mie classi ho anche tante alunne e tanti alunni stranieri. Uno di loro in particolar modo sembrava scoraggiato e poco motivato allo studio. Diceva che in Italia avrebbe fatto sicuramente un lavoro umile e che avrebbe vissuto sempre all’insegna del pregiudizio. Gli ho raccontato la mia storia e ha cambiato totalmente atteggiamento».
«Queste per me sono le gioie più grandi. L’Italia? È casa mia. Mi sono diplomata qui, ho studiato qui, ho fatto tantissimi lavori e mi sono laureata con grandi sacrifici. Spero che anche lo stato lo riconosca e che possa riconoscermi come cittadina italiana a tutti gli effetti», conclude.
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