Lo scorso 18 novembre, in un videomessaggio registrato in occasione della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera, il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara ha detto, tra le altre cose, che il patriarcato «come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza». Questa posizione ha scatenato numerose polemiche, che si sono concentrate anche sulla focalizzazione del ministro su una matrice di immigrazione illegale per le violenze sessuali, non dimostrata da alcun dato. Non è però il primo personaggio pubblico a parlare di fine del patriarcato. Prima di lui si era già espresso in questo senso anche il filosofo Massimo Cacciari.

Abbiamo quindi chiesto a voi, lettori abbonati e lettrici abbonate che ricevono ogni giorno la nostra newsletter Oggi è Domani, cosa ne pensaste: «Sabato siamo tornate/i in piazza contro la violenza sulle donne e il patriarcato. C'è chi dice che il patriarcato non esiste, noi invece ne cogliamo i segnali ogni giorno. È così anche per voi?»

Le risposte che ci sono arrivate vanno tutte in una direzione: il patriarcato, nella nostra società, esiste ancora. Una lettrice ci ha detto, in modo molto diretto, di percepirlo «quando reclamo di vivere i miei diritti».

Elena Gagliasso, un’altra lettrice, ci ha invece scritto: «Lo riconosco da mille indizi che non basterebbe una tassonomia. Il patriarcato è cambiato. Il suo agio palese è finito. Non la sua dispersione granulare. Il patriarcato ferito è un fiume piombato: quando esplode lo fa con violenza, quando lo vuoi identificare nettamente trovi indizi controversi. I suoi portatori sono spesso inconsapevoli – come da colte dichiarazioni giuridiche o storiografiche. Il femminismo spiega, raccoglie, avverte, denuncia ma è solo metà del percorso. L’altra metà la possono rivelare e curare in sé solo gli uomini. Non i ragazzi che lo assorbono dai gesti e dagli sguardi virilisti, non gli anziani per cui è inconoscibile come l’aria che respiri, ma gli uomini adulti che amano sé stessi, la vita e le donne».

Tra lettori e lettrici c’è anche chi ha esplicitato i vari ambiti della società in cui si può vedere il patriarcato. Per esempio nel linguaggio: «Il linguaggio non riconosce mai la declinazione al femminile in quasi tutte le sue espressioni e abusa del maschile plurale e già fosse solo per imitazione i ruoli di maschio\femmina sono ancora difficilmente del tutto interscambiabili e si condizionano ancora i bambini dai colori, ai giocattoli, ai giochi, all' educazione dove la bambina comunque è avviata alla cura del prossimo mentre il bambino è libero di rompere, sfasciare, rimontare e fare giochi più di organizzazione. Inoltre siamo veramente ancora tanto lontani né ritenere il sesso il primo o quando va bene il secondo criterio di classificazione della razza umana». 

Oppure si evidenzia come manchino «figure apicali femminili che incarnino valori diversi da quelli del patriarcato di dominio, controllo, e superiorità e quindi di diritto di prevalere sugli altri: solo modificando questi presupposti culturali potremmo arrivare ad una cultura di pace».

O ancora, le religioni sono spesso un “luogo” dove il patriarcato è ancora visibile: «Per chi crede in qualche dio la divinità è a immagine e somiglianza del maschio, è così in tutte le chiese del mondo che esercitano o culturalmente o totalmente il dominio patriarcale».

Una lettrice ci fa notare inoltre che alla base dei femminicidi c’è il convincimento patriarcale del possesso di una persona, che appartiene all’uomo, e che il patriarcato si vede anche nel modo in cui vengono trasmessi i cognomi: «Nel caso si scelga di essere genitori e non si esprima esplicitamente la volontà di assumere un cognome o il doppio cognome automaticamente per legge si adotta quello paterno, pur essendo con certezza che chi ha dato la vita è la donna».

Il mondo del lavoro, infine, mostra in sé molti aspetti della società patriarcale: «Perché solo meno del 50% delle donne accede a un lavoro, a uno che la gratifichi: il mondo lavorativo è ancora organizzato su una logica maschile che concepisce il mondo a suo servizio». E soltanto il 58 per cento delle donne, in Italia, ha un conto corrente personale

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