Della carenza di medici si è parlato a lungo sui media, anche su queste pagine. Alla carenza di infermieri si è dedicata invece molta meno attenzione anche se, come ci ricorda una recente analisi prodotta dal Gimbe di Nino Cartabellotta, sarà la mancanza di questi professionisti a creare i maggiori problemi al nostro Ssn nei prossimi anni. 

I numeri

In Italia ci sono 6,5 infermieri ogni mille abitanti, ben al di sotto della media Ocse di 9,8 e di quella Ue di 9. Peggio di noi, in Europa, solo Spagna, Polonia, Ungheria, Lettonia e Grecia.

Uno degli aspetti più preoccupanti è il costante esodo degli infermieri dal Ssn: dal 2020 al 2022 – riporta Gimbe – circa 16.000 professionisti hanno lasciato il settore pubblico, con un picco di 6.651 dimissioni nel solo 2022. Molti si sono dedicati alla libera professione o si sono trasferiti in strutture private, preferenzialmente non ospedaliere. Altri, in numero sempre crescente, hanno preferito lasciare il nostro paese per lavorare all’estero, dove trovano stipendi e condizioni migliori.

Oltre alle fughe, il problema è che non si formano abbastanza infermieri per sostituire quelli che lasciano. Nel 2022, in Italia si sono laureati solo 16,4 infermieri ogni 100mila abitanti, mentre la media Ocse è di 44,9 e le iscrizioni del corso di laurea in scienze infermieristiche, sono in calo vertiginoso. Se prima della pandemia c’erano infatti 1,6 candidati per ogni posto disponibile, nel 2024-2025 il rapporto è crollato a 1,04: questo vuol dire che ormai ci sono appena abbastanza candidati per coprire i posti disponibili.

Anche il resto d’Europa e del mondo non è peraltro in floride condizioni, perché la professione infermieristica sembra sempre meno attrattiva per i giovani, indipendentemente dalle retribuzioni. In media nei paesi Ocse, la quota di giovani che prevede di lavorare come infermiere è scesa dal 2,3 per cento nel 2018 al 2,1 per cento nel 2022. Questa riduzione è particolarmente marcata negli Stati Uniti e in Canada, in alcuni paesi nordici (Norvegia e Danimarca), in Irlanda, nel Regno Unito e in Svizzera. Tutti paesi dove gli infermieri guadagnano molto più che da noi.

Al di là degli stipendi

Uno dei motivi principali del basso interesse per la professione infermieristica è che attrae principalmente ragazze. I risultati del Pisa 2022, il programma per la valutazione internazionale dello studente, mostrano che oltre il 90 per cento degli studenti quindicenni che si aspettano di lavorare come infermieri sono ragazze nella maggior parte dei paesi Ocse.

Una sfida continua in tutti i paesi sarà dunque quella di affrontare lo stereotipo persistente che vede l’infermieristica come una professione adatta principalmente alle donne. Questo aspetto ci porta a quello che è forse il cuore del problema: lo scarso riconoscimento sociale della professione di infermiere.

Dedicarsi agli altri, sostenere chi soffre, toccare e medicare i corpi (tranne che per massaggiarli o tatuarli) non è più una cosa “in”, se mai lo è stato. Il fatto che negli ultimi decenni gli infermieri abbiano fatto enormi passi avanti dal punto di vista culturale e clinico, che molti di loro siano oggi professori nelle nostre università, che nelle camere operatorie, nelle terapie intensive, nei pronto soccorso dei nostri ospedali, svolgano in autonomia compiti e interventi sempre più sofisticati, non scalfisce l’immaginario collettivo.

La figura dell’infermiere resta per i più quella di chi di notte si trova alle prese con un anziano che urla nel delirio, di chi viene aggredito verbalmente e fisicamente nei pronto soccorso sovraffollati, di chi ha rischiato la vita per assistere i malati di Covid (eroi per un giorno, certo, ma non sia mai che i miei figli si trovino a doverlo fare!).

Non ci si rende conto, o si finge di non vedere, che anche di questo c’è estremo bisogno in un paese che invecchia velocemente e che proprio per questa ragione dovremmo considerare con rispetto la professione infermieristica e valutarla al di sopra di molte altre.

Una strada da seguire

Alcune delle proposte di Gimbe vanno nel senso di riconoscere la centralità e l’importanza degli infermieri per la nostra collettività. «La profonda crisi che investe il personale infermieristico», scrive Cartabellotta, «impone un piano straordinario per la professione.

Accanto a un aumento salariale, è fondamentale intervenire a livello regionale e locale con misure di welfare mirate: alloggi a costi calmierati, agevolazioni per trasporti pubblici e parcheggi. Sul versante organizzativo, occorre garantire sicurezza sul lavoro e rivedere profondamente l'impianto operativo».

Non si tratta solo di surrogati di un aumento di stipendio per il quale probabilmente mancheranno a lungo le risorse. Si tratta invece di interventi allo stesso tempo di sostanza e di immagine che riconoscono pubblicamente la rilevanza sociale della figura dell’infermiere. Una professione di cui non possiamo permetterci di fare a meno e che resta tra le poche che l’intelligenza artificiale non riuscirà a sostituire.

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